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“Ridicoli teatrini e grandi sprechi”

Alla vigilia dell’approvazione della nuova legge finanziaria, è ora di tornare a parlare di Cpr, la cui costruzione in Trentino-Alto Adige potrebbe diventare realtà.
CPR
Foto: lasciatecientrare

Entro il 31 dicembre il Parlamento italiano dovrà approvare la finanziaria 2023. Se la proposta del Governo non verrà stravolta, verrà previsto un finanziamento di 42 milioni per ampliare i Cpr per cittadini stranieri, acronimo di “centri per il rimpatrio”. Conseguenza: in futuro la costruzione di un Cpr in Trentino-Alto Adige potrebbe, forse, diventare realtà.
Anche a 200 metri da casa mia ne hanno costruito uno. Situato nella periferia di Gradisca d’Isonzo, questo edificio grigio è piuttosto discreto: se non fosse per la processione di furgoni della polizia che regolarmente vi ci fanno la spola e di qualche manifestazione di protesta ogni tanto, difficilmente ci si accorgerebbe della sua esistenza. Ed è un peccato perché, pensando a quello che potrebbe dire Voltaire, questi luoghi sono la cartina tornasole di tante cose.

 


Istituiti per la prima volta nel 1998 con la legge Turco Napolitano, gli è stato cambiato il nome diverse volte, forse per provare a ripulirli dalla fama che con il tempo si sono creati.
Sono serviti diversi equilibrismi giuridici, del legislatore come dei giudici, per farli stare in piedi. Del resto, la libertà personale è inviolabile e privarla a qualcuno dovrebbe essere sempre l’extrema ratio. Il trattenimento nei Cpr, infatti, è una forma di detenzione amministrativa disposta pur in assenza di qualsivoglia violazione penale e ciò crea non poche tensioni con diversi principi costituzionali.
Fino a quando però ci saranno le frontiere, e con loro le regole per chi le può passare e chi no, rimarrà anche la necessità di capire come comportarsi nei confronti di chi non ha i requisiti per restare nel paese. Al riguardo, i Cpr sono quanto partorito della fantasia dei legislatori italiani. Di solito si dice che quando non si sa fare, si copia. In questo caso però, anche i vicini europei non sembrano avere tante idee migliori. 

Fino a quando però ci saranno le frontiere, e con loro le regole per chi le può passare e chi no, rimarrà anche la necessità di capire come comportarsi nei confronti di chi non ha i requisiti per restare nel paese


Sono passata davanti al Cpr di Gradisca molte volte, in auto, in bici o di corsa, riflettendo spesso sul fatto che le persone al suo interno, per quanto vicine, hanno una vita totalmente distante dalla mia, impenetrabile. 
Ultimamente, nel prato adiacente al centro, sono sputate anche diverse tende, nelle quali decine di immigrati, nel freddo friulano di dicembre, arrangiano come possono il loro soggiorno. Perché alcuni di loro sono lì, altri nei Cpr o altri in centri per migranti con diversa denominazione? Prima di approfondire dettagliatamente la normativa, percepivo che la linea di confine tra chi finiva qui e chi lì fosse piuttosto sottile. Da quando l’ho fatto, ne sono abbastanza convinta.
Provando comunque a fare un po' di chiarezza, va innanzitutto detto che per essere trattenuti in un Cpr è necessario che sia stato previamente emanato un provvedimento di espulsione. Infatti, in tali centri non transitano tutti i migranti che arrivano in Italia, ma solo chi non ha i presupposti per il soggiorno e deve essere allontanato. La legge prescrive che debba previamente essere dato un termine per la partenza volontaria, o, in alcuni casi, disposto l’allontanamento coattivo alla frontiera. I Cpr entrano in scena qualora nessuna di queste due misure risulti effettiva, per evitare che la posticipazione dell’espulsione possa andare a pregiudicarne l’effettività. In teoria i casi in cui può essere disposto il trattenimento sono tassativi. In pratica, le definizioni sono generiche e danno spazio alla discrezionalità di chi deve metterle in pratica.

Gli ingenti stanziamenti della nuova finanziaria dovrebbero servire ad aumentare questa percentuale ma è una strategia totalmente fallimentare


Vi è una direttiva europea del 2008 che pone un tetto alla durata massima del trattenimento, il quale, in Italia non può mai superare i 120 giorni e deve essere limitato al tempo necessario all’identificazione dello straniero da espellere. Qui però iniziano i problemi visto che, a fronte di un esborso finanziario piuttosto consistente, gli stranieri effettivamente allontanati dopo il periodo di trattenimento non superano, ormai da anni, il 50% del totale. 
Gli ingenti stanziamenti della nuova finanziaria dovrebbero servire ad aumentare questa percentuale ma è una strategia totalmente fallimentare: la causa di percentuali di rimpatrio così ridotte non è tanto legata al sovraffollamento o alla mancanza di strutture idonee, quanto piuttosto all’estrema difficoltà di accertare l’identità dello straniero, vista anche la scarsa collaborazione delle autorità consolari dei paesi di provenienza. Per questo nei Cpr transitano solo cittadini provenienti da Paesi con i quali ci sono accordi di riammissione e, in concreto, questo significa che negli ultimi anni le strutture ospitano prevalentemente cittadini tunisini. 

Un ridicolo teatrino? Non solo, è un grande spreco


Cosa succede quindi, quando non si è in grado di espellere uno straniero dopo il periodo di trattenimento? Viene disposto un ordine di allontanamento del questore, con il quale lo straniero è obbligato ad autoespellersi entro sette giorni dal territorio dello stato. La mancata ottemperanza è reato, esito più che probabile visto che, se non lo aveva fatto prima sua sponte, difficile immaginare che risponda con diligenza al monito. Primo o poi verrà nuovamente intercettato, probabilmente finirà di nuovo in un Cpr, dove non si riuscirà ad espellerlo. 
Un ridicolo teatrino? Non solo, è un grande spreco. Di soldi per i contribuenti, perché questi centri li finanziamo noi. E di tempo per gli stranieri ivi trattenuti, perché in queste strutture, dove la relazione con l’esterno è del tutto tagliata, le persone sono in un limbo. Aspettano e la loro vita è in standby, fuori dal loro arbitrio e da ogni dimensione.