Culture | Salto Weekend

Van Gogh alla Basilica Palladiana

A Vicenza si celebra il genio olandese. Oltre cento opere dal Kröller-Müller Museum di Otterlo, intervallate dalle lettere al fratello Theo.
Vecchio che soffre
Foto: Otterlo, Kröller-Müller Museum, The Netherlands

Nessun percorso artistico è stato originale e personale quanto quello di Van Gogh, sempre intento al raggiungimento di una vita vera e dell’assoluto che si trattasse di teologia o di arte.
La sua modernità si esprime nell’andare oltre la verità oggettiva, a cui gli Impressionisti ancora guardano. Si manifesta nell’infondere anima alle sue opere, nel non distinguere più tra l’arte e la vita, nel sentimento panico con cui si rivolge alla natura trasfigurandola attraverso i suoi stessi stati d’animo.

Questa è anche la ragione per cui Van Gogh è un artista così amato, in grado di scuotere tutti. Non sono i colori accattivanti, le immagini che facilmente sanno catturare gli sguardi ad averlo reso così popolare e apprezzato. La mostra è costruita come un viaggio faticoso che evidenzia chiaramente come l’artista abbia imparato “ad ascoltare i colori” attraverso un lungo processo, partendo anzi da disegni pieni di grigi e neri, secondo le influenze della pittura olandese e della Scuola dell’Aia. Traspare durezza attraverso i tratti e l’assenza del colore per rappresentare la condizione dei lavoratori dopo l’esperienza di predicatore laico ai minatori del Borinage. Scava nella durezza della vita per restituirle luce attraverso i mezzi pittorici. Nel primo periodo olandese le figure a volte sproporzionate, hanno la stessa forza espressiva delle caricature a sfondo sociale di Honorè Daumier.

Uno spettacolo teatrale, un film documentario, nuove pubblicazioni completano il progetto del curatore Marco Goldin

E’ la fase del realismo e Van Gogh trova risposte alla sua ricerca riprendendo i soggetti di Millet, soprattutto umili e contadini. Seminatori, falegnami, zappatori, donne al focolare, tessitori sono i protagonisti dei disegni.
Si appassiona alla storia dei tessitori di Nuenen, quasi trovando una corrispondenza tra tessitura e trama pittorica, che contribuirà forse all’evolversi del suo linguaggio pittorico in pennellate filamentose.
Nelle lettere che costituiscono la narrazione che guida il viaggio rappresentato attraverso le sale espositive, l’artista si rivolge al fratello Theo chiedendogli di procuragli riproduzioni delle opere di Millet. E’ l’epoca in cui è protagonista lo schiavismo del lavoro. Questa attrazione per il realismo, si manifesta sia in pittura che in letteratura. Uno degli scrittori preferiti è Charles Dickens. Il tenere assieme la scrittura con il disegno e la pittura, intervallando le opere con le lettere, rende bene l’animo con cui Van Gogh si pone davanti alla vita e all’arte.

Passa i primi anni a contatto con i diseredati, con i miserabili, trova le risposte in situazioni lontane e marginali. E’ a Nuenen che Van Gogh si sente in grado di dipingere qualsiasi cosa con qualsiasi colore, è la fine del primo periodo. Giungono I mangiatori di patate. In mostra vengono presentati studi e bozzetti preparatori dell’opera. Van Gogh infatti dirà: “Ho vissuto e respirato questo dipinto.”
Ma l’artista ha ancora difficoltà ad ascoltare i colori.
Nella mostra si rincorrono temi e soggetti che si estendono a tutta la carriera di Van Gogh superando lo spartiacque del soggiorno parigino. Il problema della luce, la figura del Seminatore ripresa da Millet, ritorneranno nella sua produzione. Rembrandt è il grande riferimento per Van Gogh a proposito di luce, ma poi saranno Delacroix e i divisionisti francesi ad indicargli la soluzione. La mostra segue il percorso di Van Gogh che si apre al colore affondando il pennello nella materia, alla ricerca di un linguaggio personale.

Proseguendo il percorso la durezza degli esordi si trasforma nella forza espressiva delle pennellate e dei colori.
In una lettera fa riferimento alla teoria dei complementari di Delacroix, a come far risaltare la luminosità. Ormai il grigio olandese ha lasciato spazio ad una nuova ricerca sul colore. L’amico Pissarro lo introduce al divisionismo.
In Interno di un ristorante del periodo parigino si avverte infatti l’influenza di Paul Signac.
Questa sua ricerca così tanto personale lo porta lontano dai grandi centri.

Ad Arles Van Gogh ricerca la luce, i colori delle stampe giapponesi. Quel percorso che inizia con l’interesse per Rembrandt e si aggiorna sulle novità parigine vede la luce farsi colore.
E’ il tempo dei grandi capolavori Salici potati al tramonto  e Il ponte di Langlois e dell’ossessione per il giallo cromo, richiamo al sole e ai colori del Midi.
La tavolozza non può essere più quella nordica, prevalgono invece l’azzurro cielo, il verde chiaro, il giallo, tutto è subordinato al sentire del pittore e quindi al colore.
Grande spazio viene offerto anche alla produzione legata al ricovero presso l’Istituto di cura di Saint-Rémy riprodotto in mostra attraverso un grande plastico. Si possono notare alle pareti i giardini e i sentieri che Van Gogh vedeva dalla casa di cura. 

Il vecchio che piange unisce i diversi periodi della carriera di Van Gogh, è un’immagine potente di un’anima straziata che chiude la fase di Saint-Rémy.
La mostra si inserisce in un più ampio progetto che mira a catturare l’anima del pittore. A conclusione del percorso espositivo l’artista Matteo Massagrande interpreta con la sua pittura l’ultimo giorno di Van Gogh e il primo film documentario del curatore Marco Goldin chiude la mostra scandita dalle lettere dell’artista riproposte in una nuova edizione.