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“Hanno ucciso il giornalismo di guerra”

L’inviato Rai Salah Methnani racconta come gli ultimi 3 anni siano stati fatali per chiunque voglia ancora raccontare in maniera obiettiva i conflitti aperti nel mondo.
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Foto: Luca Sticcotti

Nel maggio del 2013 il giornalista di RaiNews24 era stato già a Bolzano per testimoniare i pericoli ma anche gli straordinari risultati del suo lavoro ‘non embedded’, portato avanti con fatica ed efficacia sulla scia dei ‘varchi’ aperti dalle primavere arabe in realtà già agonizzanti.
La scorsa settimana Methnani è tornato a Bolzano per parlare di Siria e non solo. Descrivendo un quadro completamente pregiudicato per quanto riguarda la concreta possibilità, nell’epoca dei social media, di raccontare in maniera obiettiva quanto avviene nel gran numero di paesi del Maghreb e del Medio Oriente dove sono in atto conflitti sanguinosi ed i regimi hanno ripreso completamente in mano la situazione
Com’è noto l’informazione corretta e puntuale in merito a quanto avviene nelle ‘ferite’ più virulente della società globale va di pari passo con le prospettive future dello sviluppo della democrazia e della salvaguardia dei diritti umani e dei popoli, oggi più che mai messi in discussione. In un ampio dialogo con Salah Methnani abbiamo allora cercato di affrontare alcuni punti cruciali del nuovo disequilibrio globale.

salto.bz : Partiamo dalla Siria, al momento senz’altro la ferita più grave della nuova grande emergenza umanitaria nel Medio Oriente.
Salah Methnani - Già nel 2013 prima dell’avvento dell’ISIS si è notato un certo disinteresse della comunità internazionale e dell’informazione in generale nei confronti conflitto siriano. Questo avveniva un po’ perché l’opposizione siriana appariva non  rappresentativa e incoerente. Ogni giorno sentivamo infatti parlare di un nuovo gruppo armato che si costituiva e spesso questi gruppi finivano addirittura per scontrarsi tra di loro. Ebbene: nel 2013 l’informazione internazionale non fece nulla per andare a capire quello che stava davvero succedendo, anche se al momento esisteva ancora la possibilità di recarsi sul posto. Nella primavera del 2013 poi alcuni eventi hanno fatto precipitare la situazione. Nel mese di aprile c’è stato il rapimento di Amedeo Ricucci da parte di al-Nusra, con il giornalista che per fortuna poi è stato liberato. Dopo qualche giorno ad essere rapito è stato Domenico Quirico, tradito da chi lo aveva fatto entrare in Libano vendendolo ad un gruppo armato. Da quel momento in poi tutti hanno capito che solo un pazzo avrebbe potuto potuto pensare di entrare autonomamente dal Libano in Siria. In realtà dei giornalisti disposti ad entrare magari c’erano, ma le testate hanno cominciato a non voler più mandare nessuno. Anche perché la stessa politica internazionale come dicevo ha cambiato atteggiamento nei confronti della Siria. 

“A quel punto siamo diventati telespettatori del bollettino quotidiano, che dava conto del numero dei morti sui vari campi di battaglia e niente altro”

E poi sono arrivati quelli dell’ISIS.
Sì, cominciando a rapire non solo civili ma anche e soprattutto giornalisti occidentali trasformando la Siria una zona pericolosissima. L’atrocità con la quale quelli dell’ISIS hanno realizzato la messa in scena dell’orrore è stata incredibile, sembrava di essere ad Hollywood. Il loro intento era quello di impedire ai giornalisti non solo di pensare ad arrivare in Siria ma addirittura di avvicinarsi al confine. Anche se in realtà proprio sul confine soprattutto in Turchia hanno continuato a stazionare persone che avevano l’unica intenzione di fingersi informatori, adescando i giornalisti con lo scopo di venderli poi al miglior offerente.

Anche lei ha corso questo pericolo? 
In effetti diverse volte in precedenza ero entrato in Siria attraverso i contatti che avevo sul posto. Ma non mi buttavo mai nella mischia, stando molto attento. Altri colleghi free lance invece tendevano a rischiare di più spinti, dalla voglia di raccontare e fare uno scoop. 

Quindi è stato per via dell’ISIS che i giornalisti non sono più riusciti ad entrare in Siria. 
Se è per quello la stessa cosa l’ha fatta il regime. Anche loro non volevano testimoni. Non era solo una questione confessionale oppure legata al Johnny di turno che tagliava la gola. Lo stesso metodo spettacolare per colpire e spaventare i giornalisti l’ha utilizzato il regime di Assad quando uccise la giornalista statunitense Marie Colvin ad Homs insieme ad altri sui colleghi. 

“Da quel momento il racconto è risultato falsato. Le uniche immagini che ci arrivavano erano quelle del regime e quindi di parte. Oppure di alcuni attivisti che si attrezzavano in qualche modo.” 

Dall’attuale situazione di impermeabilità all’informazione indipendente è in qualche modo aggirabile?
E’ molto molto difficile. Le fonti che abbiamo al momento sono quelle del regime e dei suoi alleati. Come la TV libanese Al Mayadeen, le TV russe rivolte al mondo arabo come Russian Today in arabo oppure la cinese CCTV sempre in arabo. Ci sono naturalmente anche media occidentali che hanno mandato inviati embedded, tra cui anche alcune testate italiane sia della carta stampata che della TV. 

Anche la Rai? Lucia Goracci quando fa le sue corrispondenze è protetta dall’esercito di Assad?
Certo. E’ sempre entrata dal Libano e si è mossa con il regime. Non ci sono alternative. 

Si tratta di una forte limitazione…
Certamente. E la macchina propagandistica del regime di Assad naturalmente ne ha approfittato, riuscendo a fare il suo gioco e a risultare ormai oggi legittimata e praticamente vincitrice del conflitto. 

Nonostante la qualità delle fonti come fate a RaiNews24 per avere comunque uno sguardo il più possibile attento ed obiettivo su ciò che accade?
Quando mi occupo di Siria cerco di raccontare i fatti, però naturalmente la linea editoriale non la decido io ma il direttore. In ogni caso quello che si vede è che negli ultimi anni quello che accade in Siria non è stato raccontato in modo corretto. Ad esempio quando c’è un bombardamento o un raid russo invece di fare un approfondimento si fa solo una ‘breve’. Cioè si fanno vedere due o tre immagini e si fa cenno a quello che è successo. Ma la notizia perde forza, diventa come un’altra, mentre fino al 2013 non era così. Prima facevamo anche dei ragionamenti così la gente capiva e riusciva a distinguere. 

“Si dovrebbe avere più coraggio. Dire che c’è l’ISIS è un po’ una scusa. Oggi si tende a zoomare sull’albero, dimenticando la foresta. Dove ci sono milioni e milioni di sfollati. Quello di Assad è un regime sanguinario. Non mollerà il potere, potrebbe però essere sacrificato ad un certo punto dai suoi alleati se diventa scomodo."

Lei nel 2015 ha raccontato l’esodo dei profughi compiendo il viaggio insieme a loro, dalla Turchia a Stoccarda.
Sì, con me c'erano anche molti curdi. Da noi spesso si tende a pensare che i curdi siano una risorsa garantita al 100% per un futuro assetto democratico in Siria. Ai curdi in fuga ho chiesto perché scappavano e loro mi hanno detto che pure i loro connazionali in Siria vogliono il potere e sono repressivi. Ancora una volta spesso il racconto che arriva in occidente è falsato, evidentemente.

In Siria oggi i giovani sono in grado di comunicare attraverso i social network? O anche sotto questo profilo sono stati chiusi tutti i ‘rubinetti’? 
I social media hanno avuto un ruolo importante nel 2011 nella riuscita delle cosiddette primavere arabe. All’epoca i social erano infatti un canale attraverso il quale si riuscivano a comunicare dati veri. Ricordo che tutti erano diventati dei reporter, bastava un telefonino, uno filmava e postava, facendo arrivare la notizia in due secondi nel mondo intero. Dopo un paio di anni però i governi hanno capito che questo canale poteva essere usato per far passare disinformazione, manipolazioni, filtrare e far dubitare della bontà d’azione di un gruppo piuttosto che di un altro. E quindi i social ora sono diventati una pattumiera. E’ molto deprimente: in Facebook a me basta leggere il titolo e passo oltre, ma ci sono molte persone che non hanno gli stessi strumenti e che quindi possono essere ingannate da un titolo fatto bene ma falso. Si tratta di un danno pericolosissimo. 

“Facebook oggi è popolato da costruzioni ad arte realizzate con l’unico scopo di portare a compimento campagne denigratorie”

In Italia sono ormai in molti a dire che per l’informazione è cominciata una vera e propria battaglia per la sopravvivenza contro le bufale che infestano i social. La cosiddetta post-verità oggi rischia di risultare più credibile dei fatti reali. Che fare?
Si potrebbe istituire un osservatorio come quello di Pavia, che si occupa di monitoraggio permanente di pluralismo politico, elezioni e formazione. Ma sono cose che richiedono soldi e tempo, naturalmente. Resto convinto che il miglior contrasto alla falsa informazione si fa comunque riportando con i fatti. Ancora oggi conservo una copia del giornale Le Monde, che non è né il Corano né la Bibbia né la Torah. Ma semplicemente ha avuto il merito di riportare in francese e cioè in una lingua a me accessibile perché non conosco il tedesco, un’inchiesta fatta da Der Spiegel. Che sulla base di documenti veri spiega com’è nato ISIS. Si tratta di uno strumento fondamentale per smontare tutte le menzogne che sono state scritte sul sedicente stato islamico. 

Insomma: la vera arma è dare la possibilità all’informazione vera di circolare. 
Sì, far vedere non la mia verità ma quello che è veramente successo. E documentando il tutto. In Tunisia recentemente ho incontrato un italiano che si chiama Gabriele Del Grande e che ha girato un film che “Io sto con la sposa”, con il quale racconta di un matrimonio inscenato per riuscire a far arrivare in Svezia alcuni profughi siriani. Ebbene: lui ha incontrato alcuni siriani che hanno assistito all’uccisione di Haji Bakr, proprio l’ex colonnello dell’aviazione di Saddam Hussein che inventò l’Isis con tutto il suo organigramma che assomigliava ad una Stasi islamica, proprio come come ha raccontato Der Spiegel, . 

Insomma: anche senza andare in Siria ci sono in giro testimoni e testimonianze che possono aiutare a capire meglio quanto sta avvenendo nei paesi più insanguinati del Medio Oriente.
Bene in questo senso sta lavorando anche la TV francese pubblica, andando proprio a recuperare questi personaggi per consentire loro di raccontare. Naturalmente poi bisogna filtrare ed è un lavoro quasi da inquirenti, ma un compito che possono svolgere anche tutti quei giornalisti che vogliono di fatto contrastare tutte menzogne che circolano e che in sostanza hanno lo scopo di mantenere Assad al potere. 

Oggi ci sono ancora giovani in circolazione che nonostante tutte le difficoltà sognano di fare i giornalisti di guerra
Negli ultimi 3 anni non credo di aver più incontrato giovani che vorrebbero fare questo tipo di mestiere. Tra il 2011 e il 2012 invece c’erano, poi questo interesse è scemato. 

In questi giorni si ricorda Giulio Regeni ad un anno dalla sua scomparsa ed è circolato un video in cui è diventato ancora più chiaro il fatto che quel ragazzo è morto per aver mantenuto la schiena dritta. La figura di Regeni potrebbe oggi ancora scatenare un effetto di emulazione tra i giovani?
No. Perché oggi i regimi repressivi hanno preso completamente il sopravvento. All’epoca nei momenti momento di disattenzione potevamo ancora riuscivamo ad entrare nei paesi arabi, ma successivamente le maglie sono diventate ancora più strette dei prima. Ci sono spie dappertutto e inoltre i governi hanno tanti soldi con cui riescono a comprare il silenzio e la complicità più o meno di tutti. 

E’ così anche nel suo paese d’origine e cioè la Tunisia che diede il via alle primavere arabe?
Stupendomi recentemente sono riuscito ad avvicinarmi ai parenti di chi è andato a combattere, persone che si trovano sono sotto sorveglianza. Tra questi anche i parenti dell’attentatore di Berlino che sono riuscito ad intervistare a fine dicembre. Ma forse ci sono riuscito perché le autorità ancora una volta sono incorse in un momento di disattenzione. Sarebbe bastata una telefonata minacciando di non consentire il ritorno della salma del figlio che la madre non mi avrebbe detto più nulla. 

“In Tunisia in ogni caso al momento c’è ancora una dose libertà d’espressione ormai inesistente dalle altre parti, anche se talvolta viene mischiata ad un po’ di immondizia comunicativa”

A livello italiano ci sono organi di stampa che si distinguono dagli altri per la qualità dell’informazione sulle tematiche relative ai conflitti in Medio Oriente?
Sfortunatamente non ne vedo. Seguo molto la TV francese e certi reportage di Canal+ e FranceTV. Poi c’è il canale franco tedesco Arte. Fanno un lavoro straordinario che però richiede parecchio tempo. Le inchieste che fanno richiedono 6/8 mesi e  purtroppo la stampa italiana oggi non è in grado di dare ad un inviato tutto questo tempo.