Economy | Ritratto

Mr. Startup Man

Marco Bicocchi Pichi, presidente di Italia Startup, sulla velocità da crociera dell’Italia in materia di giovani imprese innovative e il ruolo del Trentino-Alto Adige.
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Foto: upi

A volte, per iniziare, basta un garage (Steve Jobs docet). Gli wannabe startupper con il loro invisibile cappello pensatore di disneyana memoria, paladini del “fare impresa nuova”, introducono - per definizione - soluzioni di grande originalità, e dunque sono anche soggetti a un alto rischio di fallimento, ma hanno - per vocazione - le potenzialità per crescere esponenzialmente. Lo sa bene il presidente di Italia Startup Marco Bicocchi Pichi, 56enne nato a Lugano ma cresciuto a Torino che dopo la laurea in Economia e commercio ha lavorato come dipendente d’azienda e poi come manager per multinazionali dell’informatica (Eds Electronic DataSystem, oggi HP) e come consulente. Nel 2008 arriva la svolta. “Quando è nato il mio terzo figlio - racconta - ho iniziato una nuova vita. Mi sono interessato di startup e di angel investing, due mondi che ben si sposavano con la mia natura di curioso e la mia predilezione per l’innovazione”.

Il 2008 fu anche l’anno del fallimento della Lehman Brothers, ovvero quando divenne chiaro a tutti che la crisi, ben presto, avrebbe raggiunto proporzioni globali. Una debacle che evidenziò inevitabilmente anche “le problematiche strutturali del nostro Paese, non fu, insomma, un timing esattamente fortunato quello con cui decisi di lanciarmi in questa nuova avventura”, sottolinea Bicocchi Pichi.

Nel 2012 qualcosa cambia all'insegna del rinnovamento: l’allora ministro dello sviluppo economico (oltre che delle infrastrutture e dei trasporti) nel governo Monti, Corrado Passera, decide di istituire una task force che avesse il compito di analizzare e individuare le misure da attuare per rendere l'Italia startup-friendly. Ed è in queste circostanze che sorge l’associazione Italia Startup, una nuova piattaforma che “rappresenta, sostiene e dà voce all’ecosistema dell’innovazione italiana” e Riccardo Donadon, numero uno di H-Farm, ne diventa il presidente prima di lasciare il testimone a Bicocchi Pichi. “Le difficoltà non mancano - ammette l'attuale presidente -, perché quella delle startup non è una storia di soli successi”. Il motivo: in Italia, nel settore dell’innovazione e delle startup, si investe ancora poco. Lo dicono i benchmark, “dal confronto con i mercati francesi o inglesi, ad esempio, che per dimensioni e Prodotto interno lordo possono essere paragonati all’Italia, emerge quanto quei paesi finanzino notevolmente di più le startup innovative rispetto a quanto facciamo noi”, spiega l’imprenditore.

 

Le ragioni di questa scarsa lungimiranza? “Innanzitutto manca ancora la cultura delle startup - chiosa Bicocchi Pichi -. Se si guarda al rapporto fra capitalizzazione di borsa e Pil si nota che l’Italia è molto indietro rispetto appunto alla Francia o all’Inghilterra, così come lo è per quel che riguarda il livello di conoscenza e sapere, espressa per esempio da indicatori come il numero dei laureati sul totale dei dipendenti. Auspicavamo che le startup potessero rappresentare l’eccezione virtuosa, aziende con più alto tasso di scolarizzazione (anche se rispetto alla media sono più ‘colte’), con capitale proprio maggiore dell'indebitamento, e quindi tassi di crescita più elevati, ma in verità ci troviamo di fronte a una serie di imprese che hanno caratteristiche ancora troppo simili a quelle già esistenti e questo rivela che non abbiamo ancora trovato la ricetta per uscire da quelli che sono i difetti strutturali che presenta il nostro sistema imprenditoriale”. 

Sul fronte del talento e della creatività, tuttavia, l’Italia non ha da invidiare nulla rispetto alla media, ma anche all’eccellenza, degli altri Paesi. Il guaio è che non si assiste alla completa realizzazione di queste capacità se non in casi rari. Del resto, secondo il presidente del network delle giovani imprese innovative italiane, “in un mercato efficiente le risorse dovrebbero essere reimmesse in quelle iniziative che mostrano di avere più potenziale. Non viene peraltro garantito quel minimo di investimento necessario per andare a verificare se sui mercati internazionali una determinata idea, prodotto, o servizio possa avere una domanda e un successo significativo. Il punto è che nel mondo globalizzato non è detto che il mio servizio debba essere venduto prima in Italia, poi, mettiamo il caso, in Germania e successivamente negli Stati Uniti. Si può evidentemente puntare direttamente a quest’ultimo mercato perché, ad esempio, la domanda è più vivace, o all’Asia perché l’età media è più bassa, e ci sono più giovani disposti a rischiare e sperimentare un certo prodotto rispetto a un'Italia demograficamente più anziana e dove i ragazzi non hanno reddito disponibile, sono sottopagati o disoccupati. Ecco, insomma, va detto che in queste condizioni il nostro paese non è nemmeno il mercato ideale dove cominciare a fare questo tipo di impresa”.

Marco Bicocchi Pichi è approdato, nei giorni scorsi, in Trentino-Alto Adige per “esplorare”, su invito di Francesco Anesi dell’Eurac, il microcosmo regionale dell’innovazione in cui, secondo il numero uno di Italia Startup, ci sono imprese interessanti anche grazie al fatto che, a questo comparto, vengono indubbiamente destinate risorse, eppure “alcuni dei limiti che sussistono a livello nazionale si ritrovano anche nella Regione, il sistema delle due province autonome ha alcune componenti favorevoli che possono essere simili a quelle che si riscontrano nella città stato di Singapore o in Svizzera, ma ritengo che non ci sia ancora abbastanza spinta, c’è poca propensione a guardarci con un occhio esterno, e non intendo criticare, piuttosto incoraggiare. C’è da dire inoltre che la vicinanza con i mercati di lingua tedesca, pensiamo ad esempio al sistema federale germanico, policentrico nel campo dell’innovazione, dà più opportunità di esposizione alle giovani imprese”. L’equazione, sulla carta, è semplice: più le aziende sono esposte sui mercati internazionali, e su più market parallelamente, più hanno successo e i tassi di crescita salgono anno per anno.

“La startup è troppo piccola per lanciarsi su più mercati contemporaneamente perciò va aiutata ad integrare la sua capacità di innovazione con quelle imprese che necessitano di essere modernizzate e digitalizzate così da presentarsi con più forza sugli scenari internazionali. Non dimentichiamoci che il 40% della popolazione sul pianeta è sotto i 24 anni e che il Pil mondiale fra il 1990 e il 2015 è raddoppiato. Il mondo è giovane e in crescita, e le opportunità ci sono”, sostiene Bicocchi Pichi. Lo sguardo, infine, sul Parco tecnologico di Bolzano sud: “Non pensiamo - avverte il presidente di Italia Startup - che siano i luoghi fisici a essere determinanti o sufficienti, perché Intendiamoci, non basta chiudere qualcuno dentro una stanza perché questi produca qualcosa, c’è bisogno di spazi aperti, di scambio continuo, di osmosi con l’ambiente esterno, gli ecosistemi funzionano se tutti gli attori interagiscono, dall’impresa al capitale, dalla politica ai cittadini. È il ‘software’ che fa funzionare il sistema non la struttura materiale”.