Society | kalašnikov&valeriana

J'accuse

Del chiamare un femminicidio per nome e della mancata assunzione di responsabilità di noi tutte e tutti.
femminicidio, violenza
Foto: nudm

Noto una certa riluttanza a chiamare le cose per nome, ovvero ad usare il termine femminicidio. Forse questa riluttanza è dovuta al fatto che molte persone ignorano che il termine non si riferisce "solamente" al genere della persona uccisa, ma oltre a questo definisce il movente dell'omicidio.

I femminicidi colpiscono le donne in quanto donne. Non sono incidenti isolati, frutto di improvvise perdite di controllo o di psicopatologie. Sono piuttosto l’ultimo atto di un continuum di violenze economiche, psicologiche, fisiche o sessuali (o tutt’insieme). Questi tipi di uccisione sono gesti estremi di violenza che sottendono una realtà complessa di oppressione, di disuguaglianze, di abusi, di violenza e di violazione sistematica dei diritti delle donne. Il ciclo della violenza si nutre della condizione di subalternità riprodotta da discriminazioni di genere, stereotipi sulle donne radicati nel contesto socioculturale, divisione di ruoli e l’esistenza di relazioni di potere disuguali tra donne e uomini.

Ecco perché il femminicidio non può essere ridotto a un uxoricidio, questa definizione non tiene conto del substrato patriarcale. Mentre proprio questo si intende quando si parla di fallimento come società. Della mancata assunzione di responsabilità di noi tutte e tutti.

Quale responsabilità si assume un omicida, violento comprovato e condannato che si sente provato ed è pentito? Intanto, ha tolto la vita alla sua compagna e il suo pentimento non la farà resuscitare.
Quale responsabilità si assumono quelle difese (che avvengano al bancone di un bar o nei tribunali) improntate sulla relativizzazione del femminicidio imputandolo a un gesto repentino, risultato di una relazione conflittuale da ambo i lati? Intanto, la responsabilità di un femminicidio non ha scusanti e la voce della donna in causa non è più data sentire.
Quale responsabilità si assumono quei giornalisti e quelle giornaliste che nascondono le notizie voyeuristiche dietro al "portare notizie in modo oggettivo" e usano foto rubate da profili fb di una coppia sorridente e felice, passando l'impressione che tanto violento il rapporto non può essere stato? Intanto, come la mettiamo con l'articolo 5-bis del codice deontologico*?
Quale responsabilità si assumono quei politici che si indignano e condannano un femminicidio? Intanto, non fanno ciò che è in loro potere e dovere per garantire alle donne in situazioni di violenza una casa nella quale trovare protezione – come succede sul territorio comunale di Bolzano.
Quale responsabilità si assumono quei commentatori e quelle commentatrici sui social che imputano la violenza estrema del femminicidio a radici lontane e insinuano un’eventuale corresponsabilità della donna ammazzata? Intanto, relativizzano l'accaduto e colpevolizzano colei che non c’è più.
Quale responsabilità si assumono quelle cittadine e quei cittadini che reclamano a gran voce pene più severe? Intanto continuano a riprodurre quegli atteggiamenti che rendono la violenza non solo possibile, ma addirittura accettabile.
Quale responsabilità si assumono quelle persone che quando si parla di diritti delle donne tirano fuori il cartello del benaltrismo? Intanto, chiudono gli occhi davanti al fatto che il diritto umano di una vita libera dalla violenza è tutt'altro che rispettato. Anche oggi, anche in Südtirol.
Quale responsabilità si assumono quegli addetti ai lavori che continuano a confondere la violenza domestica con un conflitto e un femminicidio con un omicidio dettato da un raptus momentaneo? Intanto, non tengono conto che la violenza domestica è un reato e il femminicidio la sua espressione più visibile.

J'accuse, perché ogni femminicidio è uno di troppo e la responsabilità è di noi tuttə.
Ci vogliamo vive!

*Codice deontologico Ordine dei Giornalisti (in vigore dal 1.1.2021) - Articolo 5-bis

Rispetto delle differenze di genere
Nei casi di femminicidio, violenza, molestie, discriminazioni e fatti di cronaca, che coinvolgono aspetti legati all’orientamento e all’identità sessuale, il giornalista:
a) presta attenzione a evitare stereotipi di genere, espressioni e immagini lesive della dignità della persona;
b) si attiene a un linguaggio rispettoso, corretto e consapevole. Si attiene all’essenzialità della notizia e alla continenza. Presta attenzione a non alimentare la spettacolarizzazione della violenza. Non usa espressioni, termini e immagini che sminuiscano la gravità del fatto commesso;
c) assicura, valutato l’interesse pubblico alla notizia, una narrazione rispettosa anche dei familiari delle persone coinvolte.