Society | L'Intervista

"Senza stranieri crollerebbe tutto"

Monica Rodriguez Natteri, ideatrice del progetto 'Un'impronta del mondo in Alto Adige' spiega l'importanza e il contributo dei nuovi residenti per l'economia provinciale.
Monica Rodriguez Natteri
Foto: Volontarius

Come fosse una cosa normale, in Alto Adige da decenni ragazze e ragazzi di lingua italiana e di lingua tedesca crescono e maturano separati. Come se fosse normale, in nome della tutela della comunità di appartenenza, di fatto si privano ogni giorno migliaia e migliaia di persone della possibilità di realmente integrarsi; fin dalla scuola, che resta ovviamente il perno di tutto. Sempre come fosse normale, si perdono di fatto preziose, inestimabili opportunità di conoscenza, di reciproca frequentazione, di reciproco arricchimento umano, sociale, culturale.

Ci sono progetti, pochi, insufficienti, contro questa enorme occasione sprecata. Epperò c'è anche una realtà che cambia profondamente, dall'interno,  E se un certo tipo di svolta, magari anche solo parziale, arrivasse dall'esterno?

Aiuta riflettere su alcuni numeri: ci sono scuole a Bolzano e provincia, come ad esempio l'elementare Dante, dove la presenza di stranieri, provenienti da ogni parte del mondo, è così massiccia da sfiorare il 50 per cento di studenti. Questo dato, già da solo, aiuta a capire il disegno di quella che sarà la società altoatesina del futuro. A proposito di immigrazione, nel concreto, in una città che propone molte luci (tra interventi pubblici in campo, associazioni, volontariato) e anche molte ombre (una certa ostinata chiusura e diffidenza) una sera, nel 2016, una famiglia litiga lungo una ciclabile, in pieno centro storico. Monica Rodriguez Natteri, bolzanina del Perù, ha fretta di passare, e chiede di poterlo fare.

Un uomo le si scaglia contro, le mette le mani al collo, le urla: "E tu cosa vuoi, straniera? Torna da dove sei venuta". Dev'essere stata quella stretta, quella aggressività, quella violenza a spingere Monica, ancora di più, a capire che della sua vita deve fare qualcosa di utile, di positivo anche per gli altri.

Forse proprio quella sera nella sua mente nasce il concetto "Un'impronta del mondo in Alto Adige", progetto di Volontarius nato proprio da una sua idea, e che tende valorizzare e rendere visibile il contributo dei nuovi italiani in Provincia.

Salto.bz - Signora Rodriguez Natteri, qual è l'impronta che i nuovi arrivi già stanno lasciando e soprattutto lasceranno in questa terra?

Rodriguez Natteri: Enorme, assai più visibile di quanto adesso possa sembrare. Stiamo incidendo profondamente nella società, e in tantissimi casi con impegno, capacità, competenza e voglia di darsi da fare.

Cosa sarebbe del modello Alto Adige se, di punto in bianco, tutti gli stranieri se ne andassero?

Il sistema crollerebbe all'istante, come un castello di carte. Veda, esistono due livelli di società: quella visibile, e quella invisibile. Pensate ai tanti alberghi, ad esempio: potrebbero mai sopravvivere senza lavapiatti, inservienti, camerieri, aiuti cuoco, senza tutta una manodopera che arriva da fuori? Che servizi mai potrebbero offrire ai clienti, ai turisti? Non siamo solo una presenza preziosa, direi ormai che siamo assolutamente indispensabili per consentire al mondo visibile di esistere e prosperare.

Solo manodopera di basso livello o non è più così?

Nella prima ondata prevalentemente sì. Ma adesso ci sono migliaia di ragazze e di ragazzi, spesso i figli della prima ondata, che stanno studiando, si stanno specializzando, che grazie alla loro capacità stanno invadendo il mondo delle professioni, dei mestieri di livello più elevato. Tra 20 anni l'Alto Adige non sarà nemmeno paragonabile a quel che è oggi. Sarà una società molto più aperta, più libera anche mentalmente, fatta di meno steccati, rigidità e divisioni. Soprattutto se paragoniamo i differenti tassi di natalità tra i nuovi residenti e la società tradizionale, non c'è paragone, sarà un Alto Adige sempre più cosmopolita e sempre meno chiuso.

Tutte queste ondate di arrivi, solo rose e fiori?

Guardi, sinceramente no. Immigrazione è anche luogo di problemi, a volte di eccessi, purtroppo in alcuni casi anche di criminalità, o di vittimismo, e il vittimismo non aiuta mai. Ci sono limiti, difficoltà che sarebbe sbagliato negare. Però il tutto si inserisce in un quadro complessivo fortemente virtuoso che contribuisce peraltro ad ammodernare il sistema di vita e a creare sempre nuove opportunità. Perché sono proprio le opportunità la chiave di tutto.

 

Ci spieghi meglio.

Bisogna mettere chi viene da fuori nella condizione di conoscere perfettamente i propri diritti e cosa può fare, come può rendersi utile. Sta poi a lui inserirsi, e sono la prima a dire che non mi piace l'immagine dello straniero tutto rivendicazioni e lamentele. Tu arrivi qui, lo sai che almeno per i primi anni non sei a casa tua, devi conoscere tutte le opportunità, perché sono davvero tante, e darti da fare.

La società altoatesina è una società chiusa?

Molto. Soprattutto negli anni attorno al 2015-2016 per gli stranieri il clima era davvero pesante, come del resto un po' in tutta Italia, ma qui di più. Va però detto che, quando riesci a conquistarne la fiducia, allora gli altoatesini sono molto disposti ad aiutare, e con grande impegno e partecipazione.

Spesso noi parliamo degli stranieri, dei nuovi arrivi, e ci confrontiamo anche con la scelta delle parole. Per lei, meglio dire "stranieri" o "non italiani"?

Mah... straniero è la realtà, anche per esempio per me extracomunitaria è la realtà, perché provengo da un'area extraeuropea. La definizione di "non italiani", invece, non la usa nessuno, mi sembra assurda e ghettizzante, non foss'altro perché è una definizione che nasce da una negazione di identità. Comunque, a me interessa la sostanza più che le parole.

Una dinamica di cui si parla poco: come sono i rapporti tra le differenti comunità, ad esempio tra i marocchini e gli albanesi, tra i cinesi e gli ucraini?

A livello delle varie comunità, i rapporti sono pressoché inesistenti. Hanno già tanto da fare per integrarsi e lavorare, hanno già tanto da fare per seguire i figli, per assicurare loro un avvenire degno e di buon livello, che integrarsi con le altre comunità adesso non è una loro attitudine, né un loro desiderio, probabilmente. Non possiamo però escludere che questo alla lunga avvenga, orizzontalmente, tra le persone.

Le trafile burocratiche per l'accesso ai diritti, ai servizi come sono?

A livello di oggettività, l'Alto Adige è spesso all'avanguardia nei servizi rispetto ad altre parti d'Italia. A livello di empatia, abbiamo più di qualche problema, e a volte l'eccessiva freddezza dell'approccio burocratico non aiuta. Si figuri che tante persone, conoscendo il mio impegno sul campo, preferiscono rivolgersi magari direttamente a me: mi chiamano, mi interpellano, perché non riescono a capire come cavarsela. Io corro, mi faccio in quattro, e ogni volta possibile do una mano, anche se spesso occorrono ore per sincerarsi che abbiano capito davvero. Mi dicono sì sì Monica, ho capito; ma io domando di nuovo, fino allo sfinimento: sicuro che hai capito cosa devi fare? Prova a ripetere. Alla fine se ne esce, sia pure con molto sforzo.

Burocrazia, lei diceva. Ad esempio, principalmente burocratica, non politica, pare sia stata la singolare iniziativa di sgomberare alcuni senzatetto sotto da Ponte Langer la Vigilia di Natale: che giudizio dà di questa operazione?

Mah… il giudizio che può dare chiunque sia dotato di minima, elementare sensibilità. Potevano farlo prima, potevano farlo dopo… Farlo a Natale è una cosa che evidentemente si commenta da sola. Aggiungo che poi non li hanno nemmeno sistemati altrove. E così in un secondo arrivano, ti cacciano, ti portano via il piccolo mondo che hai con te, e via. Vergognoso, non si risolvono le cose in questo modo.

 

Lei è un po' la beniamina degli immigrati?

Diciamo pure così. (ride).

Le capita spesso di risolvere i loro problemi?

Sì, spesso sì, anche perché quasi sempre spesso si tratta davvero di piccole cose, di problemi che a loro sembrano insormontabili e che invece sono risolvibili solo con un po' di approfondimento in più. Io mi attivo, smuovo il mondo, faccio di tutto. Ogni giorno.

E le capita pure di non risolvere?

Per fortuna molto raramente, devo dire. Ormai qui mi conoscono tutti, e tanti mi aiutano.

Da quando è qui? 

Dal 2012. Ho due figlie. A un certo punto, la mia prima figlia si ammala di encefalite virale, è stata molto dura, ma per fortuna ho una buona tempra, che mi deriva probabilmente dal mio impegno sportivo professionistico. Sono una che non si arrende, diciamo. Con la malattia di mia figlia ho vissuto tante di quelle difficoltà come nuova arrivata che successivamente ho pensato di mettere la mia capacità al servizio del prossimo. Va anche detta una cosa, sempre a proposito di mia figlia: che qui in Alto Adige ci sono competenze e realtà di eccellenza. In Perù, sinceramente, nemmeno pagando avrei avuto un'assistenza del genere, in questo senso per l’Alto Adige e la sua gente provo davvero molta riconoscenza, va detto a titolo di merito.

Il progetto Impronta del mondo in Alto Adige, realizzato con il sostegno della Provincia Autonoma di Bolzano e del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, sta per vedere la luce. Un percorso facile?

Ho bussato a tantissime porte; tante parole, ma nessuno in realtà mi ascoltava. Poi un consigliere provinciale ha creduto in me, e mi ha presentato la dirigenza di Volontarius, che ha lavorato con passione e grande professionalità sulla mia idea.

Adesso, dopo tutti questi anni e queste vicissitudini ci dica: come si trova qui?

Posso dire che è stata davvero dura? Anzi, posso dire che è stata molto, molto dura?

D'accordo: ma adesso?

Adesso mi sento a casa. Anzi, quando la mia famiglia a Lima mi dice: ma dai, chi te lo fa fare di stare lì, torna qui, qui hai la tua casa, la tua famiglia, io rispondo: venite voi, se vi va. Anche io ho la mia famiglia, sono a casa, e mi ci sento.