Culture | Salto Afternoon

Underground Kafka

"Kafka goes to Fos" si intitola una mostra nel sottopassaggio della stazione di Merano, a cura di un gruppo di studenti, aperta fino alla fine del 2020
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Foto: Salto.bz

Per chi arriva a Merano in treno, la prima cosa che vede è il sottopassaggio della stazione. Così un gruppo di studenti dell’Istituto Tecnico per il Turismo e la Biotecnologia Marie Curie (FOS) ha elaborato una mostra grafico-letteraria dedicata al soggiorno di Franz Kafka in città che ebbe luogo esattamente cento anni fa, dall’aprile al giugno 1920.
Pochi mesi prima gli era stata diagnosticata la tubercolosi, e lo scrittore di Praga, inizialmente restìo alle cure tradizionali, si era opposto a ogni tipo di cura. Poi aveva accettato di recarsi in un sanatorio e venne – come tanti altri prima e dopo di lui avevano e avrebbero fatto – nella città di cura sulle rive del Passirio che già godeva della nomea di disporre di un’ottima aria con un enorme potenziale guaritore delle malattie polmonarie.
Quindi, anche lui aveva posato i piedi dapprima sui binari della stazione per poi percorrere la breve distanza dall’edificio in stile liberty - costruito pochi anni prima - e raggiungere il primo alloggio: il Grand Hotel Emma. Oggi in quelle stanze ha sede la scuola che frequentano gli stessi studenti che sono gli autori dell’innovativo progetto di esposizione.
Kafka vi rimase pochi giorni, però, avendo preferito cambiare velocemente il costoso albergo con la molto meno costosa Pensione Ottoburg nella vicina Maia Bassa, allora comune indipendente. Oggi è uno dei quartieri della città che conta circa 40mila abitanti, avendo inglobato inoltre Maia Alta e la vicina Quarazze a ovest. Come spesso accade, il periodo della malattia aveva segnato anche un periodo di blocco della creatività per l’autore di La metamorfosi e Il Processo, per cui si era dedicato quasi maniacalmente alla scrittura di lettere alle diverse persone con cui era in contatto all’epoca: innanzitutto la giornalista e pubblicista Milena Jesenskà (conosciuta poco tempo prima in un caffè a Praga, Kafka ebbe con lei una lunga relazione a distanza), con lo scrittore e giornalista Max Brod, con il filosofo e pubblicista Felix Weltsch, con la cugina Ottla e con i suoi genitori.
Gli studenti hanno avuto l’idea originale di trasformare alcuni brani delle diverse lettere in messaggi da social media, per cui gli enormi cartelloni di colore giallo attirano anche lo sguardo veloce di chi passa e non di rado fanno rallentare il passo per riuscire a leggere qualche riga prima di continuare il proprio cammino.


“È arrivata la Sua lettera, la felicità della Sua lettera”, scrive Kafka un sabato, il 5 giugno 1920, per l’esattezza, alla “sua” Milena, benché quella lettera deve aver avuto anche qualche contenuto non piacevole per lui, come il fatto che lei – forse - non poteva più scrivergli a Praga. Lui però, nel suo stato un po’ deprimente, vi legge - anche - una eventuale “necessità a non scrivergli più”… Gli studenti lo fanno chiudere quel messaggio segnandosi con l’oggi tipico “F” per Franz, usanza diffusa in messaggi o anche mail, quella di non mettere il nome per intero visto che è chiaro e ovvio da chi proviene quel messaggio o quella mail. Per rendere ben chiaro a chi sono indirizzati i messaggi è marcato in alto (nei cartelloni) il nome del destinatario e come lo vediamo sui social è stato aggiunto anche quando quella persona era stata l’ultima volta online.
Ci hanno ragionato gli autori del progetto, in quanto le firme si differenziano secondo il periodo e le persone alle quali sono indirizzati i vari messaggi, riportati alcuni in tedesco e alcuni in italiano: quelli a Ottla e a Max Brod non sono firmati, per i genitori c’è un generico “Franz” in fondo, e soltanto l’ultimo a Ottla, quello in cui annuncia il ritorno a Praga (è del 28 giugno) finisce con un “Tuo F” alla fine, dopo averle detto – con parole di rammarico e con tono demoralizzato - di non aver raggiunto i miglioramenti desiderati e che – tanto - lei di sicuro non avrebbe avuto tempo per venire a vederlo. “Del resto, non c’è nessun altro a casa…”
Nei messaggi a Milena invece gli studenti hanno voluto far notare gli umori dello scrittore, passando dai “saluti più cari” nei primi, all’inizio del soggiorno, ai più confidenziali “F”.

Di certo aveva visto una bella Merano, Franz Kafka, cento anni fa! Basta dare uno sguardo alla descrizione della sua camera nella Pensione Ottoburg nel “messaggio” inviato a Milena ancora in aprile: “Vivo molto bene qui, e ancor più cura il mio corpo mortale non la sopporterebbe! Il balcone è quasi inserito nel giardino, contornato com’è da cespugli (la vegetazione è strana qui, con temperature che fanno ghiacciare le pozzanghere nelle strade di Praga sbocciano i fiori davanti al mio balcone), esposto al sole (o meglio al cielo nuvoloso, da una settimana ormai), mi vengono a visitare lucertole e uccellini, coppie insolite: Le augurerei un soggiorno a Merano, avendomi scritto che Le manca il respiro, dove il senso e l’immagine espressi mi sembrano similari e per entrambe le questioni potrebbe trovare un gran sollievo, qui. Con i migliori saluti, Suo F Kafka”.
La risposta immaginata di Milena da parte degli studenti sono due emoticon: una mezza arancia e una palma. Segno per gradimento e voglia di sud?


L’aspetto grafico dei cartelloni è stato curato da loladesign, mentre la ricerca delle foto pubblicate assieme ai singoli messaggi sono a cura dei due studenti Daniel Haller e Raphael Verdross. Quest’ultimo fa parte anche del gruppo responsabile della ricerca e della selezione dei brani di testo, assieme a Franziska Ellmenreich, Milena Klotz, Isabel Manfredi e Lena Platzer. I coordinatori del progetto sono Viktoria Vent e David Augscheller. 

È interessante che gli studenti immaginino Milena entusiasta e molto comprensiva dei brevi messaggi di “F”, visto che alla confessione di non aver dormito la notte prima del 3 giugno confidandole che è “coricato sulla sedia a sdraio, nel mattino, nudo, metà al sole, metà all’ombra” avendo appunto passato la notte insonne perché aveva “volato intorno a Lei”, perché forse realmente - come lei doveva avergli scritto - “atterrito da ‘ciò che gli era caduto in grembo’”, come risposta ipotetica vediamo la tipica faccina giallo-chiara sorridente che manda un cuoricino rosso a forma di bacetto.

I messaggi mandati alla cugina Ottla sono più descrittivi, invece: “vicino al Passirio che giunge dall’alta montagna portando aria fredda con sé, c’è una panchina dove se ci si siede persino nel caldo mezzogiorno ci si ritrova investiti da una brezza gelata”. Molto più impersonale è anche la videata, dotata di ben due foto del fiume con tanto di didascalie che ne raccontano caratteristiche e origini, per i visitatori di oggi, però...

Ovunque regna la silhouette grafica del volto di Kafka, quel volto che per mesi ha ornato tanti spazi per cartelloni in giro per la città, annunciando le manifestazioni pianificate a fine marzo per celebrare i cento anni da quel soggiorno memorabile, di cui le tracce si trovano nel volume Lettere a Milena, mentre le lettere di Milena (ed è per questo forse che gli studenti si sono limitati agli emoticon) non sono state conservate. Le uniche tracce rispetto alla loro relazione da parte di lei si trovano in un paio di missive da lei mandate al comune amico Max Brod, dove scrive che Kafka non avrebbe “il minimo rifugio” e “il minimo riparo”, motivo per cui sarebbe tanto esposto a tutto quello da cui il maggior numero di persone è protetto. Negli occhi di Milena, Franz Kafka è “come una creatura nuda tra creature vestite”.
Sono queste parole, a mio avviso, a sottolineare oltre l’importanza di una presenza come la sua in città, sebbene di breve durata, soprattutto l’azzeccata scelta della linea grafica del progetto, di tutto il progetto, ossia quel volto scarno, ridotto a poche linee grafiche essenziali, i lineamenti marcati, le orecchie pronunciate e i grandi occhi neri. Come se fossero stati quelli i suoi sensori a farlo captare tutto quello che poi ci ha narrato nei suoi straordinari racconti e romanzi.