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Aldo Moro in confessionale

Il presunto confessore di Aldo Moro ostaggio delle Brigate rosse ha testimoniato davanti alla commissione d'inchiesta parlamentare. Dicendo nulla ha detto tutto.

Aldo Moro, in quei 55 giorni di prigionia “proletaria” della primavera 1978 e precisamente nei suoi ultimi giorni di vita fra il 6 e il 9 maggio, si è confessato? L’ha sostenuto, trent’ anni dopo, Francesco Cossiga, ai tempi del sequestro Moro ministro dell’Interno. L’ex-ministro ed ex-presidente della Repubblica, nel 2008 ha pure indicato il confessore: Don Antonello Mennini, nunzio vaticano (corrisponde ad ambasciatore), all’epoca viceparroco alla chiesa Santa Lucia al Clodio, parrocchia romana di Moro.

Il confessore presunto però smentisce. “Magari!”, fu la sua risposta alla precisa domanda rivoltagli lunedì in Commissione bicamerale d’inchiesta sul sequestro e la morte di Aldo Moro. “Magari” glielo avrebbero chiesto, o permesso, i brigatisti rossi carcerieri e poi assassini dell’ostaggio Moro. “Ci sarei accorso subito”, ammette il prete sotto inchiesta, anche se non ne avrebbe vista la necessità: “Di che cosa si sarebbe dovuto confessare, poveretto, che stava già sotto martirio?

Fu una cosa fra il misterioso e il semiserio, la deposizione di Don Mennini in Commissione d’inchiesta Moro. Per ragioni di digeribilità io qui mi soffermo solo sulla questione della confessione sì o no, che tanto aveva nutrito i misteri. Il prete sotto non li ha per niente svelati. Anzi, di misteri ne ha aggiunti altri. È già Don Mennini stesso un mistero. Ha l’aria e il comportamento dell’umile parroco di campagna. Provenienza e carriera rendono difficile ritenerlo tale. Suo padre fu il vicecapo del banco vaticano IOR, secondo solo al mitico cardinal Marcinkus. Suo fratello Alessandro fu uno fra i maggiori dirigenti del Banco Ambrosiano di cui all’epoca fu presidente quel Roberto Calvi, morto in misteriose circostanze sotto un ponte del Tamigi a Londra. E siamo già dentro con mezzo piede nella P2.

Il viceparroco di un quartiere di Roma, studente e di seguito amico stretto e pure padre confessore abituale di Aldo Moro in quei giorni travagliati diventa “postino” fra i carcerieri dell’ostaggio e la sua famiglia. I terroristi gli indicano al telefono il posto dove depositano in una busta le lettere di Aldo Moro, lui la rileva e la porta alla famiglia Moro. Non alla polizia. Perché non alla polizia? Don Mennini dice che una giornata passata da Cossiga al Viminale gli avrebbe fatto passare la fiducia nella polizia. Si trattava sul caso Moro, il più grave attacco allo Stato nella storia della repubblica, “e cosa ci vedevo?” Un viavai ininterrotto di personaggi della società romana a chiedere favori al ministro, in speciale biglietti-omaggio per l’opera di quella sera”.

Morto Moro, Antonio Mennini, ammabilmente chiamato Don Antonello, passa da viceparroco di Santa Lucia al Clodio a diplomatico in Vaticano. Diventa Nunzio in paesi fra i più importanti d’Europa e del Medio Oriente. Attualmente, dirige la nunziatura inglese a Londra. Che debba la sua fulminante carriera ai suoi buoni uffizi nel caso Moro?

Don Antonello sostiene di no, così come sostiene di non aver mai messo piede nel luogo di prigionia di Aldo Moro e men che meno di averlo confessato. Il prete-ambasciatore Mennini, però, dà però una sibillinica descrizione della sua concezione di confessione e segreto confessionale. “Io non l’ho confessato”, dice, “ma se anche l’avessi fatto, non ne potrei parlare”. Glielo proibirebbe il “segreto confessionale” cui il sacerdote è tenuto ad attenersi. E tale segreto, continua il teologo, “non si riferisce al solo contenuto della confessione, ma anche alle sue circostanze”. Quindi, Mennini non ha confessato Moro, ma se l’avesse fatto, non l’avrebbe detto. Mistero della fede.

Don Antonello Mennini racconta di aver parlato alla Sig.ra Moro della esternazione di Cossiga sulla confessione del marito nel “carcere del popolo”. La signora, ovviamente, crede alla versione dell’amico di famiglia Don Antonello. E se ne fa anche una ragione: “Se qualcuno l’ha confessato e gli ha portato la santa comunione, dev’essere stato un prete del giro di quei mascalzoni”. Un prete-terrorista, insomma.

Mennini, “l’uomo del Vaticano”, tanto atteso in Commissione Moro, nel giro dell’audizione di quasi tre ore si è confessato su parecchi particolari (per me nuovi) di quei 55 giorni drammatici. Così ha “confessato” quanto si fosse dato da fare papa Paolo VI. per la liberazione del suo amico Aldo Moro. A Castel Gandolfo, residenza estiva dei papi, a fine aprile di quell’anno 1978 erano materialmente pronte 10 miliardi di Lire per il riscatto in caso si fossero realizzate le condizioni politiche. Si muoveva in papa di persona. Telefonava alla moglie di Moro “un giorno sì, un giorno no”. La chiesa si confidava persino alle arti spiritiche. Un famoso teologo gesuita tedesco mobilitava un padre salesiano noto per le sue “sensibilità sensitive”.

Sono un ingenuo. Pure il Vaticano ha “i servizi segreti”. Fino a lunedì non lo sapevo. E di Aldo Moro autore di lettere disperate, strappalacrime, dal “carcere del popolo”, l’allora presidente della Camera Sandro Pertini disse, sprezzante: “Si vede che Moro non ha mai fatto la resistenza.

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Gianluca Trotta Sat, 03/14/2015 - 14:03

In reply to by Florian Kronbichler

E dunque (scusi la pedanteria), la conclusione del suo pezzo dovrebbe essere qualcosa come:
"E di Aldo Moro autore di lettere disperate, strappalacrime, dal “carcere del popolo”, l’allora presidente della Camera Sandro Pertini disse (stando a quanto afferma don Antonello Mennini), sprezzante: “Si vede che Moro non ha mai fatto la resistenza.”
O almeno qualcosa del genere. Sennò sembra che lei, FK, sta affermando che Sandro Pertini abbia detto con sicurezza quella frase. Sarebbe poi interessante sapere quale sia la fonte di questo don Antonello Mennini. Se, insomma, Pertini abbia, come e dove e quando, fatto una affermazione simile. Ma, insomma, dai: forse è chiedere troppo a un giornalismo come quello che, meritatamente, abbiamo.
Se invece poi qualcuno può indicare QUANDO, DOVE, PERCHÉ Sandro Pertini abbia pronunciato una simile frase, bene, farà un favore a tutti.
E comunque, tanto per la precisione, Sandro Pertini fu presidente della Camera tra il 25 maggio 1972 e il 4 luglio 1976. Quindi l'espressione "l'allora presidente della Camera Sandro Pertini", riferito al momento del rapimento di Aldo Moro, risulta del tutta infondata, che sia stata usata da un prete o da un deputato della Repubblica.
Ché, infine, mi rimane il dubbio: ma Pertini, una frase simile, l'ha pronuinciata o no?
Saluti.

Sat, 03/14/2015 - 14:03 Permalink
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Gianluca Trotta Sun, 03/15/2015 - 10:53

In reply to by Gianluca Trotta

E, dunque, quella frase, Pertini l'ha pronunciata davvero o no? È dato saperlo o è chiedere troppo? (Chissà, magari è un segreto di confessionale). E con la questione "l'allora presidente della Camera", come la mettiamo? È un lapsus? O un errore? O magari quella frase la ha pronunciata quello che effettivamente "allora" (se capisco bene dall'articolo, durante il rapimento di Aldo Moro) era il presidente della Camera dei deputati, cioè Pietro Ingrao? È possibile, finalmente fare chiarezza, su un punto a dir poco oscuro di questo articolo? Grazie anticipate, con la speranza di avere una risposta.

Sun, 03/15/2015 - 10:53 Permalink
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Gianluca Trotta Mon, 03/16/2015 - 21:05

In reply to by Gianluca Trotta

Rilancio le domande, chissà che una risposta prima o poi arrivi:
1) la frase su Moro che "si vede che non ha fatto la Resistenza", è stata riferita da questo prete in audizione o ha un suo fondamento storico? E se sì, quali sono le fonti? E se non ce ne sono, e dunque è solo una la congettura, o l'invenzione, di qualcuno: è corretto riportare così, in un articolo, una simile dichiarazione, senza controllarne l'autenticità?
2) anche avere definito Sandro Pertini "l'allora presidente della Camera", è un lapsus del prete, o dell'articolista? O sono io che non capisco cosa si intende con "allora"?
Torno a ringraziare anticipatamente e sentitamente per le eventuali risposte.

Mon, 03/16/2015 - 21:05 Permalink