Society | Black lives matter

“La gente ha paura”

Il racconto di una ragazza roveretana che ha vissuto a Minneapolis: “L'antirazzismo e l'integrazione dovrebbero essere una cosa scontata”.
Black lives matter
Foto: Udu Trento

Un mese fa, più precisamente il 25 maggio scorso, George Floyd è stato ucciso a Minneapolis da un agente di polizia. Otto lunghissimi e agghiaccianti minuti di video riprendono un poliziotto bianco mentre soffoca con il ginocchio il quarantaseienne afroamericano. Il video ha fatto il giro del mondo dando inizio ad una vera e propria ondata di proteste.

L'uomo era stato ammanettato e tenuto a terra dal ginocchio dell’agente Derek Chauvin premuto sul collo della vittima per oltre otto minuti, poi i soccorsi e la sera stessa fu annunciata la morte di Floyd per soffocamento. L’agente che non ha ascoltato le voci delle persone che hanno assistito alla scena e lo imploravano di fermarsi ora è incriminato di omicidio di secondo grado. Anche i tre colleghi di Chauvin che erano presenti sono stati licenziati subito e accusati di essere coinvolti nell’omicidio non avendo tentato di fermare il poliziotto. Floyd era stato ammanettato perché sospettato di aver pagato con una banconota da 20$ falsa delle sigarette in un minimarket e perché sembrava ubriaco.

"I can’t breathe", "non riesco a respirare", sono le ultime dolorose parole di George Floyd ripetute più volte nel filmato e che sono diventate immediatamente lo slogan delle proteste in molte città di tutto il mondo. Le manifestazioni a Minneapolis sono iniziate pacificamente, poi hanno assunto un carattere violento: sono stati vandalizzati negozi, auto della polizia ed è stato dato alle fiamme il commissariato della città.

Sulla scia delle manifestazioni nate in America, organizzate del movimento internazionale Black Lives Matter, molti italiani sono scesi in piazza a per dire no al razzismo. Il 6 giugno a Trento in piazza Dante, per 8 minuti tutti i manifestanti si sono inginocchiati per ribadire il concetto che “le vite dei neri contano”. Giovani muniti di cartelloni antirazziali hanno occupato l’intera piazza mantenendo il distanziamento sociale ma riuscendo a mostrare tanta solidarietà.

Anche i bolzanini non sono potuti restare in silenzio: sia l'8 che il 13 giugno si sono uniti in piazza Walther per promuovere lo stesso slogan e raggiungere un gran numero di partecipanti.

Abbiamo intervistato Anna Benedetti, studentessa di Rovereto che ha trascorso nel 2016 il quarto anno scolastico del Liceo Coreutico di Trento a Forest Lake, una cittadina a quaranta minuti da Minneapolis.

salto.bz: Quando sei arrivata nella nuova scuola sei riuscita ad integrarti subito con i compagni e fare amicizia?

Anna Benedetti: Nella scuola eravamo circa 2000 studenti, quindi era impossibile conoscere tutti. Soprattutto perché gli studenti si dividono in gruppetti, uno ad esempio, era quello dei bianchi, di buona famiglia, intelligenti e sportivi. All’inizio era il gruppo più vicino a me, ero anche entrata nel club delle cheerleader della scuola. Poi un giorno ho iniziato a parlare con una ragazza di un altro gruppo, di cui fanno parte persone di diverse nazionalità, meno sportive, più festaiole, ma comunque molto in gamba e studiose. Mi sono unita a loro, mi sono trovata benissimo e in quel gruppo ho trovato grandi amiche. Però ero malvista dalle cheerleader perché uscivo con questo nuovo gruppo.

Tra i ragazzi della scuola hai visto razzismo e discriminazione?

No, non ne ho visto tantissimo, perché la mia scuola sembrava essere una comunità molto aperta e accogliente. Anche se ai miei occhi appariva una cosa un po' finta. Io dico che l'antirazzismo e l'integrazione dovrebbero essere una cosa scontata. Non c’erano atti di violenza, ma magari sentivi alcune persone parlare male di quelle di colore. Era più una discriminazione verbale e fatta alle loro spalle. Ma davanti a loro erano tutti gentili perché la scuola ci teneva a creare una comunità coesa. Ho conosciuto un ragazzo di colore molto sportivo ed era ben visto perché in America lo sport è molto più importante dello studio. Mentre i ragazzi di colore che non facevano sport erano visti peggio dei bianchi lo stesso non sportivi.

E tra la polizia?

Nella polizia il razzismo è molto presente. Nella mia cittadina per esempio mi è capitata una cosa: un giorno, mentre stavo camminando, degli agenti mi hanno vista e mi hanno salutata. Davanti a me c’era un ragazzo di colore e si sono fermati ad osservarlo per vedere cosa stesse facendo, tenendolo d’occhio per un po'. Anche se stava semplicemente camminando come stavo facendo io. Anche solo questo comportamento lo vedo come una discriminazione.

Le persone che conosco hanno paura, vogliono protestare ma vince la paura.

Come stanno vivendo la situazione attuale le persone che frequentavi laggiù?

Mi tengono aggiornata tutti i giorni. La mia famiglia e i miei amici sono molto arrabbiati per quello che è successo, per la gravità di quello che è successo. Allo stesso tempo hanno paura, perché i manifestanti hanno messo a ferro e fuoco Minneapolis. Fiumi di gente che lanciano cose e assaltano macchine della polizia. I miei nonni abitano proprio in centro a Minneapolis, sono spaventati e vogliono trasferirsi dove abitavo io. La gente ha paura perché si può trovare in mezzo a queste proteste e non tornare più a casa. La situazione è degenerata a tal punto che hanno messo il coprifuoco in città. Da un lato questo è l’unico modo per farsi sentire, perché è da quanto esiste il mondo che esiste il razzismo e le proteste pacifiche non sono mai state prese sul serio. Sicuramente i miei amici hanno partecipato alle manifestazioni, ma non a Minneapolis perché hanno davvero paura di trovarsi nel posto sbagliato, sembrare violenti ed essere stroncati dalla polizia. Immaginati di essere in una grande città che va a fuoco, io avrei paura ad uscire di casa.