Politik | Exposition

Il Monumento alla Vittoria di Bolzano

Perché oggi dovremmo essere grati al Monumento? Lo storico Obermair illustra il nuovo percorso espositivo e le
modifiche che ne depotenziano i contenuti autoritari.
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A cento anni dall’inizio di quella Grande Guerra che mise l’Europa a ferro e fuoco, e i cui esiti modificarono in profondità la storia di Bolzano e dell’Alto Adige-Südtirol, è stato aperto il percorso espositivo “BZ ’18–’45: un monumento, una città, due dittature”.

È stato lungo il processo che in questa città e in questo territorio ha condotto ad un percorso pubblico che rappresenti e illumini “il secolo degli estremi” (E. J. Hobsbawm) e intende fornire degli strumenti per decifrare la prassi dei totalitarismi che in questa terra si sono avvicendati. Il ritardo dell’operazione (che poteva essere fatta decenni fa) è legato in primis ma non esclusivamente al particolarismo storico del luogo.

Il Monumento alla Vittoria, che ospita il percorso storico al suo piano interrato, è davvero un monumento difficile, dibattuto, malinconico e malriuscito. Ciononostante non potremmo rinunciarvi, e tento di spiegarne il perché.

Nato dall’abuso ideologico statale della storia, e dall’uso politico della memoria di una guerra e dei suoi morti, il monumento offre invece un’enorme chance alla società democratico-repubblicana di oggi. Sui pacchetti dal contenuto fragile leggiamo “Maneggiare con cura”. Anche il manufatto voluto dal “duce” del fascismo italiano Benito Mussolini e realizzato tra il 1926 e il 1928 dall’archistar del regime Marcello Piacentini è molto più fragile di quanto non appaia ad un primo sguardo (e più di quanto non credano alcuni cittadini infuriati). Con il suo simbolismo marziale, il suo culto della morte quasi necrofilo e intinto nella sacralità religiosa, il monumento offre la pressoché irripetibile possibilità di osservare e conoscere la storia del potere nel XX secolo in un luogo quasi immutato. Quasi!

Dal 21 luglio 2014 questo tipo di politica della memoria ha cambiato direzione: il sapere prende il posto della retorica, il mostrare si sostituisce al dichiarare e la consapevolezza al pesante simbolismo. Il nuovo percorso espositivo storicizza lo spazio, finora percepito come spinoso e che colloca il monumento al centro della città, in un modo che non ammette ripensamenti. La mostra permanente de-politicizza il monumento e al tempo stesso lo ri-politicizza in modo discorsivo e umanistico. Alle frasi altisonanti del monumento si contrappongono nella cripta – lo spazio “sacro” dell’edificio – controcitazioni luminose di Bertolt Brecht (“Infelice il paese che ha bisogno di eroi”), Hannah Arendt (“Nessuno ha il diritto di obbedire”) e Thomas Paine (“Il dovere del patriota è proteggere la patria dal suo governo”). L’uso della parola, e della retorica, era centrale per la dittatura, ma diviene discorsivo, e talvolta pungente, nella società del pluralismo e dei valori democratici. La luce si contrappone non solo all’uso politico e strumentale della parola nel totalitarismo, ma si sostituisce anche alla pesantezza delle lettere in acciaio nero o cupamente dipinte.

Un anello a led stretto intorno a una delle colonne dai fasci littori con le sue informazioni luminose (e un poco facete) fa capire subito che Bolzano si è posta di fronte al suo scomodo monumento senza furia iconoclasta. Che questa città e il suo territorio hanno avuto il coraggio di modificarne la percezione.

Una volta entrato nel percorso stesso, il visitatore ha a disposizione due percorsi, diversi per contenuti, testi, immagini e multimedia, arricchiti da numerosi approfondimenti. In uno viene affrontata in dettaglio la storia del monumento, senza con questo dimenticare la costruzione che lo ha preceduto, ovvero il monumento ai Kaiserjäger. Nell’altro percorso sono descritti i macrocontesti regionali e sovraregionali di politica, società, economia e cultura, essenziali alla comprensione della storia del monumento. Il tutto inserito in una consona scenografia di sapore quasi teatrale, a mo’ di pinacoteca da una parte e di libro di storia aperto dall’altra, con una dialettica di chiaroscuro che interviene immediatamente anche sulla percezione visiva del tutto. 

Spesso ci si chiede come mai questo grande monumento fascista non sia stato abbattuto. Oggi dovremmo confrontarci in modo sereno e democratico con questo “rimasuglio” della liberazione dal nazifascismo del 1945. Oggi sopportiamo senza sofferenza il monumento come testimone di una guerra insensata e così l’ambito bellico che le sue iscrizioni intendono perpetuare. Il progetto sociale autoritario incarnato da questa pietra è miseramente fallito. La visione storica che sta alla base del monumento è costata la vita a milioni di persone. Le sue intenzioni originarie sono state disattese al punto che la caricatura che il monumento diviene di esse nulla ha da offrire nel confronto con la storia, pesante e opprimente.

Insomma: “BZ ’18–’45” rende impossibile una lettura semplicistica del monumento e dei suoi contenuti autoritari e totalitaristici. In quanto monumento storico, esso è diventato stringente racconto e rappresentazione di come tutto iniziò e di cosa accadde in questo territorio di passate discordie, di vittime e di carnefici – come pure di vittime che divennero carnefici e di carnefici che divennero vittime. Oramai, nessuno può più riferirsi al monumento con intenti nazionalistici senza scadere nel ridicolo. Né può più aver un senso un’azione distruttrice, spesso propugnata da chi non sopporta la ferita fascista, con altrettanto spirito fascistoide. Già nel 1932, per omaggiare il decennale della “Marcia su Roma”, sui gradini del monumento si davano la mano concordi fascisti italiani e nazionalsocialisti tedeschi, poco prima di mettere a fuoco il mondo intero.

Ovviamente il monumento continua a parlare, ma adesso parla contro se stesso, e persiste nella sola forma possibile della sua esistenza: essere un monito i cui significati originari gli si sono ritorti contro, da vero boomerang della memoria democratizzata. Ma non si tratta certo di una vendetta degli storici, bensì dell’uso analitico e riflessivo di un patrimonio difficile la cui memoria decostruita diventa risorsa pubblica.

Ora, e bisogna ammetterlo, con un buon ritardo, Bolzano ha in senso pacifista, forgiato dalle sue “spade” i suoi “aratri”. Forse dalla rilettura sudtirolese del bellicismo e militarismo estremo, espresso dal monumento, un’eco può giungere anche a chi rielabora la storia a sud e pure a nord delle Alpi. In Italia purtroppo non si è fatto molto in questa direzione, e in Austria la situazione è solo leggermente migliore. Fra pochi mesi a Monaco di Baviera aprirà il nuovo Centro di Documentazione sul Nazismo. È buono che anche Bolzano abbia iniziato a fare i compiti, sul serio.  

[da IL CRISTALLO LV/LVII - OTTOBRE 2014]   

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Profil für Benutzer Maximilian Benedikter
Maximilian Ben… Fr., 06.02.2015 - 18:06

Ora tutto è più chiaro. Grazie sig. Obermair! Penso che chi ha lavorato come storico a questo progetto di storicizzazione possa sentirsi fiero di aver contribuito alla perpetuazione del fallimento dei totalitarismi. Grazie da parte di un cittadino bolzanino.

Fr., 06.02.2015 - 18:06 Permalink
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Hartmuth Staffler Fr., 06.02.2015 - 18:26

Ich halte es nicht für ausgeschlossen, dass Herr Obermaier tatsächlich das glaubt, was er hier geschrieben hat. Irgendwie erinnert mich der Beitrag an die Fabel vom Fuchs, dem die Trauben zu sauer sind ...

Fr., 06.02.2015 - 18:26 Permalink
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Gabriele Di Luca Sa., 07.02.2015 - 13:01

L'operazione di storicizzazione e musealizzazione del Monumento ha ridotto praticamente a zero lo spazio di protesta degli opposti estremisti (nazionalisti italiani e sudtirolesi). Bene così.

Sa., 07.02.2015 - 13:01 Permalink
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Salto User
Manfred Gasser Sa., 07.02.2015 - 13:35

Was bitte sollte jetzt, da dieser Ring montiert ist, einen faschistischen Italiener oder einen patriotischen, rechten Deutschen davon abhalten, wie bisher vor diesem Tempel seine Überzeugung auszuleben? Warum sollte er sich damit lächerlich machen? Weil Sie es sich so vorgestellt, und/oder gewünscht haben? Es wird sie immer geben, solche die trotz allem diesen Ort als das sehen, was es jetzt eigentlich nixht mehr sein sollte. Wer nur einfarbig sehen will, sieht eben nur schwarz oder weiss, oder besser braun oder schwarz, und darin wird auch die Musealisierung dieses Tempels nichts ändern, leider.

Sa., 07.02.2015 - 13:35 Permalink