Kultur | Testimonianza

Franz e Luis, preziose memorie

Ovvero qual è, per me, il fil rouge dei ricordi che lega Thaler e Sepúlveda. Fra libri autografati e occasioni mancate.
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Foto: upi

Sei anni fa, esattamente il 13 novembre, a Bolzano non faceva particolarmente freddo. La giornata era soleggiata e io camminavo in tutta fretta verso la libreria “Athesia” per poter comprare una copia (che poi ho saputo essere l'ultima) de la “Historia marginales II”, “Ritratto di gruppo con assenza” di Luis Sepúlveda e “Dimenticare mai” di Franz Thaler.

Rammento di essere stata molto nervosa perché non riuscivo a trovare l'aula magna dato che non conoscevo bene la Libera Università e temevo così di perdere l'occasione di vedere dal vivo uno degli scrittori latini tra i più amati in Albania, apprezzato soprattutto per il romanzo “Il vecchio che leggeva romanzi d'amore”. Lo scrittore cileno veniva a presentare il suo ultimo libro su invito del Centro per la Pace e sicuramente sarebbe stato difficile trovare un angolo fortunato da cui poter sentirla  . Ma siccome  il destino non sfida il destino ,quel giorno  trovai l'aula, e trovai anche un posto libero. Una volta seduta mi sentii più calma e potei osservare giovani studenti con addosso maglie che ritraevano il viso del Che, ragazzi accovacciati per terra con aria disinvolta.                        

Scrutai per un po' altra gente finché un mormorio preannunciò l'entrata in aula di Sepúlveda. Apparì infatti sul ciglio della porta come una collina addormentata, ma appena si addentrò nella folla diventò una sorta di orso esaltato. Partì con decine di sorrisi e saluti con le mani, da destra a sinistra, facendo lenti movimenti con la testa fino a quando si accomodò di fronte a noi. Si scusò del ritardo confessando che si era alzato tardi e che senza colazione gli appariva “todo negro”. Successivamente, dopo un paio di battute, ci confidò i suoi ricordi legati al suo amato presidente Allende, della guerra e delle delusioni, del golpe cileno dell'11 settembre 1973. Le sue avventure tra le foreste della Bolivia e tra le terre ecuadoriane. Ci raccontò del vecchio che leggeva romanzi d'amore e criticò senza mezzi termini la politica imperialista americana ridicolizzando quella italiana. Accennò qualcosa sui suoi progetti con il regista Almadovar e poi d'un tratto si fermò in seguito a uno squillo di telefono. Si scusò di dover per forza rispondere. Ci mise un paio di minuti e dopo  si girò verso di noi con un sorriso soddisfatto e disse più o meno così:“Voglio condividere con voi questa notizia bellissima! Finalmente, proprio adesso, hanno liberato la mia amica birmana, Aung San Kyi. Il premio Nobel per la pace oggi è libero!”

Seguì un momento di commozione generale e in seguito, visibilmente entusiasta, il cileno continuò a raccontare dei suoi “ritratti” di gruppo con assenza,  del cane di nome Eduard. Il cane punk che si lasciò mettere un piercing all'orecchio sinistro e andava a spasso con un ciuffo di pelo tinto di rosso e un fazzoletto zapatista intorno al collo. Non disturbava gli spacciatori, “a suo dire” gente del popolo, ma segnalava "i ricchi"che indossavano vestiti firmati e borse di pelle. Tra una storia e l'altra il tempo volò e alla fine mi misi anch'io in fila  per un autografo. Un autografo da Sepuvelda per me è una moneta d'oro... Lo lasciai firmare il suo libro e gli regalai il mio, scritto in albanese. Se non lo ha scaraventato in qualche parte del mondo, auspico che se lo ricordi come il libro che non avrebbe mai potuto leggere. Mi chiese la provenienza del nome Gentiana. Gli raccontai in  pochi minuti  il suo origine illirico, il re Gentian che diede il suo nome al fiore Genziana. “Muy, muy agradable!”  rispose .

Con il libro in mano sempre in fretta mi avviai  verso l'uscita. Telefonai a tutti i miei amici . Avevo avuto  l’opportunità di vedere dal vivo l'autore che scrissi :  "Il vecchio rimase sul molo finchè la barca scomparve inghiottita da un'ansa del fiume.Allora decise che per quel giorno non avrebbe più parlato con nessuno e si tolse la dentiera,la avvolse nel fazzoletto e, stringendosi i libri al petto, si avvio verso la sua capanna".  

Quella mattina presi la linea 3 e cercai il posto più solitario sul pullman. Appena mi sedetti riaprii la prima pagina per leggere la  dedica: “Para Genta, con especial afecto”. Sì, lo so, è una dedica più che abituale, l'avrà scritta centinaia e centinaia di volte, ma mi sentii contenta lo stesso. Era come se il paese del Cile si fosse recato a Bolzano per una passeggiata, mascherato  da poeta e da guerriero.

***

Questa storia mi è tornata in mente giorni fa, il 30 ottobre scorso, mentre sfogliavo la rivista letteraria Poeteka con la quale collaboro . Tra le pagine intravedo i quattro racconti di Sepúlveda che immediatamente tradussi e mandai alla Redazione. Rileggendo il mio “Dossier” su Luis pensai a come niente succede per caso.                                                       

Franz Thaler  si è spento il 30 ottobre dell'anno scorso. Se non fossi stata in auola magna  il 13 settembre del 2010 non avrei saputo chi fosse l’uomo pacato e silenzioso, il magrolino canuto con quel sorriso pulito appena accennato sulle labbra. Avevo comprato il libro di Thaler per pura curiosità ma dopo averlo divorato in due giorni maledico il fatto, per noncuranza, di non avergli almeno stretto la mano. La sua testimonianza concreta ha lasciato in me un segno indelebile. Non era un personaggio finto ma una persona vivente che aveva fatto e vissuto tutto senza nessuna filosofia e demagogia.                                                                                                                                                                           

Solo dopo ho letto quello che Sepúlveda aveva scritto :

«La macchina fotografica di Daniel (Mordzinski, grande fotografo argentino) si fissò sulle sue mani (di Franz Thaler) di uomo giusto perchè l'essenziale della sua storia era là, e sulla stufa a legna che riscaldava quella piccola casa tirolese, emanando un calore generoso e necessario” (Da “Alchimia della luce, del rispetto e del miracolo”).                                                                                                                                                                    

C'è anche un altro racconto  tra i quattro che tradussi  in albanese da “Ritratto di gruppo in assenza” che definì significativamente  la responsabilità (quasi) sacra di svolgere qualsiasi lavoro con professionalita. Si intitola: "Lei chi è?"

È un racconto in cui Sepúlveda disegna la piega infelice della professione del giornalista. Racconta di come un giorno mentre passeggiava a Oviedo con il giornalista Ryszard Kapuscinski, appena premiato con “Principe di Asturias per la Comunicazione” decisero di accomodarsi tra i tavoli di un bar per prendere un buon caffè; a quel punto si avvicinò una bella ragazza che si presentò come giornalista di un'emittente televisiva. Spigliatamente chiese una breve intervista e, mentre il tecnico preparava il microfono, e lei si truccava allo specchietto che teneva in mano, d'un colpo si girò verso di loro e spostando lo sguardo da Sepúlveda a Kapuscinsky chiese:      

- Chi è il premiato?

Ogni volta che leggo questo racconto l'ultima frase  la leggo a voce. E la mia voce dice :

“Sono anch'io un giornalista, dico e mi sento come don Chisciotte della Mancia, sconfitto infine, quando vede nel cortile di casa l'ignoranza che balla felice accanto al falò in cui bruciano i suoi libri.”