Sport | Salto Gespräch

Il cacciatore di dischi

Zweisprachiges Gespräch mit dem Stürmer des Hc Bozen/Bolzano. Frigo: "Hier fühle ich mich zu Hause". "Arrivato qui decisi di specializzarmi nella fase difensiva".
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Foto: Hcb Vanna Antonello

L’accento piemontese di Luserna di San Giovanni, Val Pellice, 50 km a est di Torino, si sente ancora nitidamente. Ma Luca Frigo, 29 anni, alla settima stagione consecutiva con la maglia dell’HC Bolzano, può essere ormai considerato bolzanino d’adozione. “Sto veramente benissimo, qui”, dice. Molto amato dai tifosi, l’attaccante biancorosso qualche giorno fa si è aggiudicato il “premio combattività” Gino Pasqualotto, assegnato dal portale HCBfans.net, con quasi il 36% dei voti. Ed è il caso di dire "era ora", perché questo sembra proprio il "suo" premio. Come spiegherà in questa intervista, Frigo ad un certo punto della carriera ha capito che per restare ad un alto livello avrebbe dovuto specializzarsi in una fase di gioco. E lui, attaccante, scelse di puntare sul miglioramento delle proprie caratteristiche difensive, fondamentali in uno sport dove si attacca e si difende in cinque. Nell’hockey intercettare dischi, vincere le lotte negli angoli, chiudere le cariche, creare superiorità numeriche, bloccare linee di passaggio è importante tanto quanto indovinare un assist filtrante. Frigo è uno di quei giocatori lì, che si sacrificano per la squadra e sono apprezzatissimi in particolare dai coach. Ma l'attaccante piemontese fa anche parecchi punti: finora ne ha totalizzati ben 27 (14 goal e 13 assist). La specialità della casa è il gol in breakaway, la situazione di contropiede in cui il giocatore si trova a tu per tu con il portiere avversario, ma a differenza di quanto avviene nel calcio, è in realtà complicatissimo trovare lo spiraglio giusto.


Praticamente da “sempre” l’attaccante piemontese fa parte dello “special team” chiamato a “uccidere le penalità” quando la squadra è in inferiorità numerica. In quei due minuti di passione che non finiscono mai Luca è il giocatore che "sta alto" e deve trasformare il proprio corpo in una sorta di magnete che attira i dischi scagliati dagli avversari. Dopo ogni ingaggio il pubblico del Palaonda trattiene il fiato fino all’impatto della stecca con il puck e una frazione di secondo dopo, se il disco viene stoppato con il corpo, si sente dapprima il sospiro di sollievo collettivo e subito dopo si vede una moltitudine di sguardi che chiudono empaticamente gli occhi immaginando il dolore lancinante che deve provare il giocatore colpito, magari in una parte del corpo senza protezioni. Il fatto che ci sia chi programmaticamente si immola come un kamikaze è uno di quegli aspetti che fa amare alla follia questo sport. E i “ragazzi” che mostrano questo spirito di sacrificio sono di solito quasi idolatrati dai tifosi. Di qui, dunque il premio “combattività” a Luca Frigo. “Sono orgoglioso di averlo vinto – dice – perché è un premio per il quale votano i tifosi e giornalisti specializzati E’ nel mio stile di gioco da ‘guerriero’ bloccare i tiri, lavorare duro e sporco e quindi vincere il premio combattività mi rende felice sia per me sia per le persone che mi stanno vicine e mi seguono".

 

salto.bz: Mit 18 Jahren hat Sie Ihre Leidenschaft fürs Eishockey in die USA gebracht. Wie hat sich diese Chance ergeben?

Ich habe drei Saisonen mit Valpellice in der Serie A gespielt. Einer meiner Teamkollegen war Trevor Johnson, der auch in der italienischen Nationalmannschaft, bei Ritten und Bruneck gespielt hat. Er hat mich darauf angesprochen, einmal eine Saison in den USA zu versuchen und angeboten, mir zu helfen. Ich habe eingewilligt und beschlossen, es zu versuchen. Zu verlieren gab es ja nichts, im Gegenteil, es war eine große Chance für mich. Nach der Saison in Italien bin ich also für eine Woche zur Mannschaft in Muskegon für ein Try-out geflogen. Leider hat es damals nicht geklappt. Ein Jahr später hat sich noch einmal die gleiche Möglichkeit ergeben bei einer Mannschaft in Omaha. Dort war ich dann für zwei Saisonen, die aus jetziger Hinsicht fundamental für meine Karriere waren. Die Kontakte, die ich dort knüpfen konnte, hätten sich hier niemals ergeben. Das Niveau ist ein anderes, man spielt mit sehr guten, aber dennoch gleichaltrigen Spielern und das hat mir damals sehr geholfen. Auch, wenn man als 18-Jähriger hier in der Serie A spielen kann, sind die meisten Spieler viel älter als man selbst. Man spielt deshalb auch nicht so viel und kann sich nicht so weiterbilden, wie es in einer amerikanischen Junior League möglich ist. Nichtsdestotrotz war es in meinem ersten Jahr schwierig für mich. Mein Englisch war noch nicht so gut, ich habe wenig verstanden und konnte mich nicht so gut mit meinen Mitspielern verständigen. Kurz habe ich auch darüber nachgedacht, nach Hause zu gehen. Meine Eltern haben mich aber sehr unterstützt und mir Mut gemacht. Einer meiner Teamkollegen war in dieser Zeit eine sehr große Stütze für mich und hat mir sehr geholfen, mein Englisch zu verbessern. Ich glaube, wenn er nicht gewesen wäre, wäre ich nach Hause geflogen.

Warum sind Sie nach den zwei Jahren dann trotzdem wieder nach Italien zurück?

Ich wäre gerne dort geblieben. Nach meinem zweiten Jahr habe ich ein Stipendium an der Minnesota State University bekommen, wo zufälligerweise auch Brad McClure gespielt hat. Hätte ich auf diese Universität gewechselt, hätten wir schon damals zusammen gespielt. Das Problem war, dass ich in meinen Saisonen bei Valpellice bezahlt wurde. Hat man einmal durchs Eishockey Geld verdient, ist es nur mehr durch bestimmte Auflagen möglich, an einer amerikanischen Universität Eishockey zu spielen. Es gab also nur die Möglichkeit, gleich viele Spiele, wie ich mit Valpellice gespielt hatte, auszusetzen und nur mit der Mannschaft zu trainieren. Das hätte aber bedeuten können, dass ich bis zu vier Jahre lang nur trainiere und kein einziges Spiel spiele. Dieses Risiko war mir zu hoch und deshalb bin ich wieder nach Europa zurückgekehrt.

Manchmal gibt es einfach Saisonen, in denen es besser läuft als in Bisherigen. Diese ist eine davon und ich hoffe, dass es auch so weitergeht.

Sie haben dieses Jahr ihre bisher beste Saison gespielt. Was glauben Sie, woran das liegt?

Manchmal gibt es einfach Saisonen, in denen es besser läuft als in Bisherigen. Diese ist eine davon und ich hoffe, dass es auch so weitergeht. Natürlich steckt aber auch viel Arbeit dahinter. Arbeit, die schon im Sommer, lange vor der Saison und außerhalb des Eises beginnt. Wir alle wollten es nach der letzten Saison besser machen. Das hat sicherlich viel zu unserem diesjährigen Erfolg beigetragen. Der Wunsch, es dieses Jahr besser zu machen, vielleicht sogar die Meisterschaft zu gewinnen, hat uns geholfen, wieder den nötigen Biss zu finden. Und man muss auch sagen: Dieses Jahr stimmt die Chemie in unserer Mannschaft einfach. Wir verstehen uns sehr gut und unser Coach Glen Hanlon macht eine außergewöhnliche Arbeit. Ihm gelingt es, ein sehr angenehmes und familiäres Ambiente zu schaffen. Jeder von uns fährt am Morgen gern zur Arena, zu den Trainings und den Spielen. Es herrscht ein echtes Gemeinschaftsgefühl, wo man sich wohl und zu Hause fühlt.

Kann man nach diesen sieben Jahren, die Sie hier verbracht haben, sagen, dass der HCB ein Teil von Ihnen geworden ist?

Ich fühle mich hier sehr wohl. Als ich nach Bozen kam, wusste ich nicht, was mich erwarten würde. In dieser Zeit habe ich so viele Personen kennengelernt, auch außerhalb des Stadions. Ich bin hier sehr glücklich. Meine Familie fehlt mir natürlich, aber wenn wir ein paar Tage frei haben, kann ich immer nach Hause fahren, es sind ja nur vier Stunden mit dem Auto.

 

Prima diceva che quest’anno, anche grazie al lavoro del coach, c’è un clima molto positivo nello spogliatoio. Sembra che tutti i nuovi arrivi siano di alto livello e che ci sia una perfetta integrazione con il gruppo storico degli "italiani". I giocatori stranieri che abbiamo intervistato finora dicono che qui a Bolzano c'è una situazione particolare e che di solito gli stranieri nordamericani fanno gruppo a parte. Qual è il segreto?

Sta funzionando tutto benissimo a partire da quando siamo stati a fare la preparazione a Corvara ad inizio agosto. A parte il fatto che i giocatori arrivati sono davvero di ottimo livello, sono anche ottime persone e questo all'interno di una squadra è fondamentale. Giocare con persone con cui vai d'accordo, che vedi volentieri anche fuori dalla pista ghiacciata, è una delle cose più importanti, secondo me. Sin da quando sono arrivato a Bolzano con gli altri giocatori italiani abbiamo sempre cercato di coinvolgere tutti in tutte le attività. Poi ovviamente c'è lo straniero che è abituato a farsi gli affari suoi e più solitario e non c'è problema. Però abbiamo sempre cercato di coinvolgere tutti, di far loro conoscere il territorio e le persone e farli sentire un po’ a casa. Come dicevo, io sono stato negli Stati Uniti due anni e i primi due mesi sono stato completamente da solo. So che non è facile integrarsi se non hai qualcuno che ti dia qualche dritta e che ti coinvolga al di fuori dello stadio. Perché allo stadio ci stai tre ore la mattina e poi il resto della giornata devi cercarti qualcosa da fare. I momenti extra hockey fanno in modo che si creino amicizie che poi magari durano nel tempo, o possono finire ad aprile, quello non lo puoi sapere prima. Ma stare insieme è comunque piacevole.

Diventa più facile bloccare un disco con il corpo se lo fai per un collega-amico.

(ride) . Sì, in effetti. Se c’è un buon clima nella squadra in quei sette, otto, nove mesi che può durare la stagione, il tuo compagno è anche un tuo amico, un fratello. Credo che siamo tutti qua per un obiettivo che è quello di arrivare fino alla fine. Poi c'è anche da dire che i giocatori che ci sono quest'anno sono davvero fortissimi.

Per chi conosce un po’ l’hockey l'espressione “bloccare tiri” fa un po' rabbrividire. Quando il disco viene stoppato con il corpo tra tifosi e giocatore scatta automaticamente l’empatia. Che capiti ogni tanto è normale, ma lei è praticamente votato a questo tipo di situazione di gioco. Vocazione al martirio? Scherzi a parte: quanto fa male?

Sì, io quando sono arrivato a Bolzano sette stagioni fa ero ancora abbastanza giovane. Ero un attaccante ma mi sono detto che per restare in questa squadra importante mi dovevo creare un ruolo, dovevo differenziarmi un po’ dagli altri. E quello in cui sono sempre stato più bravo è proprio il gioco difensivo e, appunto, sacrificare il mio corpo per aiutare la squadra ad evitare di prendere gol. E credo che essermi specializzato in questo tipo di gioco mi abbia effettivamente aiutato a restare qua. L’ho fatto e lo continuerò a fare volentieri. Succede spesso di prendere il disco in parti non protette, e fa effettivamente abbastanza male. Si spera sempre che non sia nulla di grave, e, finora, sono stato fortunato da questo punto di vista”.

 

Per un canadese iniziare a giocare a hockey è come per noi iniziare a giocare a calcio. Anche a Bolzano è piuttosto normale. Ma lei viene da una famiglia veneta-piemontese. Come è andata?

Mio nonno, vicentino, si è trasferito a Torino per lavorare alla FIAT. Mio padre, che è nato a Vicenza, ha iniziato a seguire l’hockey a Torino e poi ci siamo spostati a Luserna San Giovanni che è in val Pellice dove c’è la squadra di Torre Pellice che all'epoca giocava in Serie A. Ho iniziato a pattinare a 4 anni e poi ho fatto l’avviamento all’hockey a 5 e il gioco con il passare degli anni mi è sempre piaciuto di più. Dico gioco perché alla fine rimane sempre un gioco, anche se adesso è un lavoro ed è diventato la mia vita. Da ragazzo ho avuto la testa, le capacità e la fortuna per andare avanti facendo quello che mi appassionava di più. Ho avuto poi la possibilità di giocare in serie A a 16 anni e poi di andare negli States.

L’hockey è uno degli sport più fisici tra quelli di squadra. Posto che rispetto a vent'anni fa è molto meno violento e quindi meno pericoloso per voi giocatori, quanto è contato questo aspetto nel far sbocciare la passione?

E’ un aspetto importante, ma fino a vent'anni fa o 15 anni fa, l'hockey era completamente diverso. Fortunatamente, penso io, il gioco adesso è più tecnico. Ovviamente il contatto fisico c’è, anche duro, ma non si vedono più le steccate e i ganci che volavano una volta. L'aspetto fisico dell'hockey a me piace molto perché magari ci sono momenti della partita in cui sei un po’ frustrato e se hai bisogno di sfogarti, di fare una carica, lo puoi fare. E questo aiuta davvero a liberarti.

Stando alla mia esperienza posso dire che quello che ha fatto la differenza per me e mi ha permesso di crescere molto in quei due anni è di aver potuto giocare con ragazzi della mie età.

Prima ha raccontato della sua esperienza negli States quando aveva 18-20 anni. Tolti gli scandinavi, sono pochi i giocatori europei a riuscire a farsi spazio in Nord America. Lì c’è un numero di praticanti molto alto, ma cosa fa veramente la differenza, secondo lei?

Il sistema è completamente diverso. Stando alla mia esperienza posso dire che quello che ha fatto la differenza per me e mi ha permesso di crescere molto in quei due anni è di aver potuto giocare con ragazzi della mie età. Qui magari arrivi presto in serie A o ad alto livello ma giochi subito con giocatori parecchio più grandi. Per questo è più difficile farsi spazio, e se non giochi tanto è difficile crescere e non maturi dal punto di vista tecnico e tattico.

In Italia l'hockey è uno sport che si gioca quasi solo nel nord Italia. Ci sono delle buone cornici di pubblico ad Asiago, a Brunico, ma non c’è copertura televisiva. Sky, fa vedere a tutte le ore gli sport più improbabili, e da quest’anno qualche partita di NHL. Comunque questo fa sì che gli sportivi che praticano sport più televisivi abbiano stipendi milionari, mentre voi decisamente no. Lei come se la vive questa cosa?

Incide, ovviamente, perché dedichiamo un sacco di anni a questo sport. E’ un lavoro a tempo pieno che non è considerato tale e quindi non ci vengono pagati i contributi e quello ovviamente per la futura pensione inciderà. Diciamo dunque che prevale la passione sull'aspetto economico. Finché ho la possibilità di giocare e mi diverto, lo farò. Ovvio che una copertura televisiva migliore aiuterebbe molto tutto il movimento hockeystico. Il fatto che manchi  è un peccato perché il nostro è uno sport bellissimo. Una volta che una persone viene a vederlo due o tre volte poi di solito se ne innamora. Peccato che la Federazione non sembri così interessata a farlo conoscere in tutta Italia. E' così purtroppoda sempre, non so se cambierà mai.

 

Passioni extra hockey?

Con i compagni di squadra andiamo a fare giri in montagna. In estate vado spesso con la mountain bike. L’anno scorso ho fatto invece per la prima volta surf a Fuerte Ventura e mi sa che continuerò, perché mi sono divertito tantissimo. E’ molto più faticoso di quanto sembri.

Sie haben vorher schon erwähnt, wie Sie zum Eishockey gekommen sind. Auch Ihre Schwester spielte auf einem professionellen Level Hockey. Kann man sagen, dass dieser Sport in Ihrer Familie schon immer sehr präsent war?

Ja, auf jeden Fall. Meine Schwester hat bis vor ein paar Jahre Eishockey gespielt. Dann hat sie leider beschlossen, einen anderen Weg einzuschlagen. Im Frauenhockey hat man, besonders hier bei uns, leider nur begrenzte Möglichkeiten. Sie hat darin wenig Zukunft gesehen und deshalb beschlossen, sich auf etwas anderes zu konzentrieren.

In ein paar Tagen beginnen die Play-offs. Wie bereitet ihr euch auf diese wichtigen Spiele vor?

Am Anfang der Woche hatten wir zwei Tage lang kein Training, um den Kopf ein bisschen freizubekommen. Die Trainingseinheiten in den letzten Tagen waren sehr anstrengend, um wieder richtig in Form zu kommen. Wir arbeiten weiterhin an den Details und an der physischen Verfassung, denn neun Tage ohne ein einziges Spiel ist eine lange Zeit, besonders vor den Play-offs. Besonders wichtig ist es, den persönlichen Akku aus physischer und psychischer Sicht aufzuladen, um am Dienstag fit für das erste Play-off-Spiel zu sein. Und natürlich müssen wir uns weiterhin aufs Ziel konzentrieren.

Il primo avversario dei playoff è indifferente, a questo punto? (La scelta avverrà stasera, domenica 5 marzo, ndr)

Contano vari fattori. Fehervar ad esempio è un ottima squadra ma è lontana 10 ore di viaggio. Certo, è ovvio che si cerchi di affrontare una squadra che durante la stagione ha dato meno problemi. Tutte le squadre sono cresciute rispetto agli anni scorsi. Quest'anno abbiamo perso contro il Voralberg, abbiamo perso una partita contro Lubiana, abbiamo perso ad Asiago e quindi non si sa mai.

Salzburg è sicuramente l’avversario da battere. Ma quest’anno avete sofferto tantissimo il Villach.

Loro hanno uno stile di gioco molto offensivo, hanno sempre due giocatori alti, prendono il disco e lo buttano avanti e non so dire perché li abbiamo sofferti così tanto e ci hanno mandati in confusione. In attacco hanno comunque giocatori molto forti e di talento.

Frigo, il compianto giornalista Michele Bolognini adorava il suo stile di gioco e diceva sempre che lei nei playoff si esalta. Si sente in forma playoff?

Sì, mentalmente soprattutto, ho veramente voglia di iniziarli e arrivare alla fine. Voglio alzare di nuovo questa bellissima coppa.

Wo sehen Sie sich nach Ihrer Hockeykarriere?

Das ist eine Frage, die mir oft gestellt wird. Ich weiß noch nicht, ob ich mich in der Hockeywelt sehe oder in einem anderen Bereich. In ein paar Jahren, wenn sich meine Karriere dem Ende zuneigt, kann ich hoffentlich besser auf diese Frage antworten.