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Storie che vengono dal domani

Un libro che contiene storie e incubi che provengono dal domani, dal declino della civiltà. Lo trova Dylan Dog, tra gli scaffali di un negozio che non esiste. O forse sì.
I racconti di domani
Foto: Sergio Bonelli Editore

Esiste un libro con le pagine tutte bianche che contiene delle storie che provengono dal domani, non necessariamente dal futuro. Cos’è, allora, il domani? Possiamo prendere due strade, un bivio – diciamo così – esistenziale: decidere che il domani non esista (dato che ogni giorno ha un domani e quindi questo non potrà mai arrivare, neanche in un estenuante movimento asintotico); oppure decidere che un domani esiste davvero. Tuttavia, questo non avrà in sé un movimento di liberazione e di salvezza che ci redimerà. Questo bivio esistenziale non è ovviamente assoluto ma è quello davanti al quale ci si ritrova leggendo I racconti di domani, la nuova serie a fumetti scritta da Tiziano Sclavi e disegnata da Gigi Cavenago, che ne firma anche la copertina del primo volume, Il libro impossibile. La nuova serie di racconti brevi fa parte di quella costellazione di albi imperniati attorno al mensile di Dylan Dog, l’indagatore dell’incubo più popolare dell’immaginario collettivo italiano. Mentre la serie regolare (dal prossimo numero) dovrà affrontare il suo primo vero reboot sulla scia del meccanismo dei comics americani, I racconti di domani procede per altre strade. O meglio, si insinua in altri interstizi alla ricerca di dubbi e di domande per il presente, nella migliore tradizione della scrittura di Tiziano Sclavi, uno dei più grandi autori del gotico e del grottesco del Novecento italiano ormai ritornato definitivamente, dopo tanti anni, alla scrittura. Le voci dell’acqua, romanzo a fumetti per Feltrinelli uscito l’anno scorso, è una gemma rara nel panorama del fumetto italiano.

Ma ritorniamo ai Racconti di domani. Il primo volume presenta sei storie al suo interno, che non vedono – se non marginalmente – Dylan Dog e il suo assistente Groucho come protagonisti. Dylan trova un libro bianco all’interno del negozio Safarà, un negozio che appare e scompare regolarmente, gestito dal misterioso Hamlin, il gestore di questo extra-dimensionale robivecchi. Dylan ne è attratto e non ne comprende il perché: sa solo che lo deve comprare e leggere cosa c’è al suo interno. Hamlin (Cavenago lo disegna come un olivastro Nosferatu) accompagna i due sfrattati protagonisti e il lettore lungo il racconto delle storie, come una voce nella testa che ci inchioda con i nostri pensieri. Nella serie i protagonisti sono ‘gli altri’. E già questa potrebbe essere una presa di posizione autoriale fortissima. “I mostri siamo noi”, diceva Sclavi anni fa: lo ribadisce ancora oggi, più forte di prima.

 

 

“Beh, vado a dormire, per oggi basta distopie…che poi ormai ‘distopia’ è un sinonimo della realtà di oggi”, dice Groucho a Dylan. Ed effettivamente le mini-storie autoconclusive sembrano delle distopie, delle distorsioni del mondo fittizio (che è a sua volta una distorsione del mondo reale). Hikikomori che nutrono orrore nei confronti del mondo e dei suoi teppisti, adolescenti aspiranti satanisti, zombi che aprono una battaglia verso Dio, verso lo stesso concetto di morte, repressione da parte del potere (che fa sempre paura). I temi sclaviani – presenti già nei fumetti e nei romanzi di anni addietro – riprendono vita ma non come i ritornanti: diventano più attuali che mai: senza profezie, solo con la fedeltà all’incubo che un autore può sottoscrivere con la sua stessa incarnazione poetica. Cosa succede quando si apre la porta di casa e ci ritrova davanti un mondo violento? Cosa succede quando si racconta il punto di vista dei non-morti? Cosa succede – infine – quando la violenza non si cela solo nel potere ma anche negli insospettabili, normalissimi, umani? Le nuove storie di Sclavi parlano di questo, di domande a cui non è possibile rispondere se non scovando nella propria natura, alla ricerca del nostro lato peggiore, quello che scopriamo quando ci mettiamo in relazione con l'altro. Sclavi scrive della società ma non dei suoi malcostumi o dei suoi vizi (quella è la parte facile), ma scrive dell'indicibile che è presente nella società, di quello che non si può rivelare ma solo trasmettere attraverso l'arte. Rovinare la scoperta di queste mini-storie sarebbe un peccato. Tuttavia, nei fumetti non c'è solo la scrittura: c'è un ulteriore motivo per il quale leggere I racconti di domani: i disegni di Cavenago, uno tra i migliori disegnatori del fumetto mondiale e nuovo interprete di Dylan Dog, il disegnatore che l’ha reso di nuovo un’icona.

Cavenago evoca e descrive allo stesso tempo, non solo attraverso il segno ma anche attraverso la perfetta gestione della luce nelle singole vignette. Questo aspetto risalta ancora di più se si allontanano le tavole dagli occhi, per vedere come la gestione complessiva della pagina sia armonica e senza sbavature. L’efficacia e la bellezza del tratto di Cavenago instaurano un nuovo canone all’interno del fumetto italiano, alzando ancora di più l’asticella del disegno realistico del fumetto popolare della tradizione bonelliana. Dal punto di vista puramente visivo, lo stile di Cavenago è la vera rivoluzione nel cambio di ‘linguaggio’ e di riferimenti all’interno della galassia di Dylan Dog, perché nelle storie che hanno le immagini come base della propria narrazione, quello che importa davvero è proprio l’immaginario, che – unito al ritmo – cadenzano lo scorrimento verso destra e la lettura dei balloon.