Gesellschaft | Il provvedimento

La dura vita del cronista

Decreto sulle intercettazioni: i giornalisti rischiano fino a 3 anni di carcere per rivelazione del segreto d’ufficio. Wallisch: “Vogliono far tacere la stampa scomoda”.
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Foto: upi

Tempi grigi per i giornalisti in Italia. Stando al decreto del Guardasigilli Andrea Orlando sulle intercettazioni, approvato dal Consiglio dei Ministri (il testo dovrà ora passare al vaglio delle commissioni Giustizia per i pareri e poi tornare in Cdm),  i cronisti rischiano da sei mesi a tre anni in gattabuia nel caso di pubblicazione delle intercettazioni, che considerate irrilevanti, finiscono nell’archivio a disposizione delle parti. Al giornalista si può contestare, in concorso con il pubblico ufficiale che gli ha passato la notizia, l’articolo 326 del codice penale, “rivelazioni di segreti d’ufficio”. 

Questo è quanto attesta il quotidiano La Repubblica nonostante il Ministro abbia assicurato che “il provvedimento che abbiamo approvato in via preliminare non restringe la possibilità dei magistrati di utilizzare le intercettazioni, non interviene sulla libertà di stampa e sul diritto di cronaca, interviene solo su come vengono selezionate le intercettazioni”.

Dichiarazioni che tuttavia non hanno convinto nemmeno la Federazione nazionale della Stampa italiana (FNSI) e Ordine dei giornalisti (ODG) che in una nota congiunta affermano: “[…] rischia di innescarsi un grave conflitto con pesanti ripercussioni sullo stesso diritto di cronaca e sul diritto dei cittadini ad essere informati su questioni essenziali come la conoscenza di vicende di mafia, corruzione e malaffare. Nel testo, non casualmente, manca per l’ennesima volta il riconoscimento del diritto di pubblicare ogni notizia che abbia il requisito ‘pubblico interesse’ e della ‘rilevanza sociale’, a prescindere dalla rilevanza penale, così come stabilito in diverse occasioni dalla Corte europea dei diritti dell'uomo”. E ancora: “Il governo finge di ignorare che non tutto ciò ha rilevanza per l'opinione pubblica deve avere necessariamente rilevanza penale. Per questo va salvaguardato il diritto dei giornalisti di pubblicare le notizie, anche se coperte da segreto o senza alcuna rilevanza penale, che possano contribuire a rendere l'opinione pubblica informata”. 

L'annosa questione delle intercettazioni e la relativa misura partorita dal Governo rinfocola il dibattito anche sui social: “A quando il KGB? E la Gestapo?”, “Nuove intercettazioni e nuovi guai per papà Renzi (il riferimento è al caso Consip, ndr). Ecco perché Renzi figlio e Berlusconi hanno messo ai giudici un nuovo bavaglio!”, “Il bavaglio è legge: il PD realizza finalmente il desiderio di Berlusconi e Fi sulle intercettazioni”, sono solo alcuni dei commenti degli utenti su Twitter.

Interpellato da salto.bz Stefan Wallisch, segretario regionale del sindacato giornalisti del Trentino Alto Adige, commenta: “Il provvedimento va rivisto, il punto è che, come spesso accade in Italia, si vuole risolvere un problema esistente con un eccesso di intervento legislativo. E il problema esistente riguarda il fatto che in passato è capitato che siano uscite alcune notizie che nella forma ora contestata non andavano pubblicate, ma come ribadiamo da sempre c’è già una legge severa sulla diffamazione e ci sono regole deontologiche altrettanto severe che riguardano la professione, basterebbe applicare quelle. Non serve ora limitare l’accesso alle intercettazioni, cosa che di conseguenza lede il diritto di cronaca”. 

"Il decreto Orlando è un modo molto conveniente per far tacere la stampa scomoda. Ma la stampa deve essere libera, perché è una delle colonne della democrazia e non possiamo accettare che venga indebolita"

La domanda, per nulla oziosa, è come mai si sia trovato sì il tempo, in questo ristretto spazio di fine legislatura, per affrontare la questione relativa alle intercettazioni, ma si trascuri ancora di contrastare le “querele temerarie”, diventate di fatto strumento di intimidazione e di aggressione contro chi cerca di indagare su mafie e malaffare. “Richiediamo da tempo un intervento del legislatore in questo senso - prosegue Wallisch -, le cosiddette querele bavaglio sono un’arma contro la stampa che, da tempo in crisi, non ha i mezzi per far fronte a richieste risarcitorie di centinaia di migliaia di euro. Inoltre spesso i colleghi che scrivono non sono regolarizzati, e cioè non hanno tutte le tutele che hanno i redattori, il decreto Orlando è un modo molto conveniente per far tacere la stampa scomoda. Ma la stampa deve essere libera, perché è una delle colonne della democrazia e non possiamo accettare che venga indebolita”.