Società | La storia

Oltre il dolore (per quanto possibile)

Il difficile percorso di rinascita di una madre che mette al mondo un bimbo disabile. La storia di Sabine Bertagnolli è diventata un libro. Oggi la presentazione.
Sabine Bertagnolli con Matteo
Foto: Sabine Bertagnolli

Ci sono dolori e dolori. Ce ne sono alcuni la cui dimensione è spesso soggettiva. Poi ci sono quelli giganti, da qualunque punto li osservi. I grandi lutti, ad esempio. Ci sono, infine, i dolori fuori scala, quelli non misurabili, che non sono solo enormi, ma anche difficili da elaborare perché sono sempre lì, non lasciano scampo. E imparare a conviverci diventa una condizione esistenziale, perché appena si abbassa la guardia il rischio è di essere risucchiati nel vortice della disperazione più cupa. E’ questa la condizione di molti genitori che hanno figli con malattie genetiche incurabili o affetti da disabilità gravi. Un labirinto emotivo senza uscita che non si capisce chi abbia avuto il sadismo di concepire. Sabine Bertagnolli, ad esempio, in quel labirinto ci è stata a lungo. Vive in simbiosi con il proprio figlio da 16 anni, anzi, da 17, e cioè da quando i primi esami in gravidanza avevano posto dei dubbi sullo stato di salute del feto per lasciare velocemente spazio a rassicurazioni che lei non è ancora riuscita a perdonare. Matteo è poi nato con una grave malformazione cerebrale e non ha mai fatto un passo con le proprie gambe. “Per parecchio tempo quello che stavo vivendo è stato come il dover continuare ad elaborare un lutto. Ma non ho dubbi: la mia vita di adesso è migliore di quella precedente”, dice, davanti ad un caffè. Le prime parole sono una dichiarazione di intenti: non sono qui per piangermi addosso.

Seguo da tempo Sabine sui social ma non ci conosciamo di persona. Ci incontriamo in un bar del centro storico. L’obiettivo è parlare del libro scritto a quattro mani con Michela Franco Celani, Voglia di abbracci (Mursia), che viene  presentato in anteprima oggi (venerdì 17 giugno alle ore 18) nel Giardino del Museo Civico (via Cassa di Risparmio 14) di Bolzano. Insieme alle autrici ci saranno il sindaco di Bolzano Renzo Caramaschi, l'assessora Chiara Rabini, il vicepresidente della Giunta, Giuliano Vettorato e l'assessore provincia Massimo Bessone. Modera il giornalista Paolo Tagliente del quotidiano Alto Adige.

 

Sabine ha appena perso un carissimo amico, deceduto la sera prima per le conseguenze di un incidente. Mentre ne parla i suoi occhi trasmettono grande sofferenza, ma un secondo dopo - respiro, reset - si rimpiccioliscono e le labbra si schiudono in un sorriso che più luminoso di così è difficile. Quello di Sabine non appare come un passaggio forzato da uno stato d’animo ad un altro, e nemmeno un “far finta di”. Sembra, invece, il frutto di una ormai consolidata capacità di inserire il pilota automatico in direzione “immer gerade aus” come fosse la cosa più normale del mondo.

Il libro

Con le sue 130 pagine Voglia di abbracci si può leggere d’un fiato in qualche ora ma è così denso di emozioni forti che è consigliabile prendersi il tempo per interiorizzarlo a piccoli sorsi. I nomi di battesimo sono cambiati ma, anche non fosse specificato nel sottotitolo, si capirebbe dopo poche righe che si tratta di una storia prepotentemente vera. Trovare le parole per sintetizzarla è piuttosto difficile. Il racconto va letto per intero e qui non ha molto senso farne un riassunto. Forse è meglio partire da ciò che il libro non è: non è un lamento, non è una consolatoria fiera di buoni sentimenti, non è l’agiografia di una santa-eroina dei nostri tempi, non è un piagnisteo contro il destino o un pamphlet contro il sistema socio-sanitario e la crudeltà della società che emargina “l’imperfetto”.

 

E’ il racconto del percorso di una donna che lentamente trova le forze per sopravvivere al dolore, al senso di colpa per aver messo al mondo un bimbo che crede destinato ad eterna sofferenza, e allo stesso tempo per organizzarsi ed affrontare una quotidianità sempre in salita. Leggendolo si vive l’interiorità di Sandra-Sabine attraverso il racconto in prima persona, ma Voglia di abbracci è anche una storia di coppia, in quanto ogni scelta della protagonista viene condivisa con Roberto (nel libro Raul), il marito. E per quanto umanamente possibile tra i due vengono condivise anche le paure, i dolori, e i carichi di fatica. Una fatica enorme dal punto di vista emotivo, mentale ma anche fisico. Ogni giorno c’è un macigno da spingere in cima alla montagna per poi vederlo rotolare a valle la sera. Ma Matteo, pur fra mille problemi, cresce. E quando non è afflitto da dolori lancinanti è un ragazzo solare con un sacco di “Amigos”. Sabine, poi, non è la ragazza di 17 anni fa. Il macigno a volte scivola più facilmente e il pendio è meno ripido.

“Michela? L’ho conosciuta – racconta - che Matteo era piccolo-piccolo, in un momento per me difficilissimo. Ho letto il suo libro La stanza dell’orso e dell’ape e per me è stata un’esperienza incredibile. Ha contribuito molto a far scattare quel clic per iniziare a riprendere in mano la mia vita. L’ho conosciuta personalmente e non abbiamo più smesso di sentirci. Anni fa avevo scritto un libro che più che altro era una sfogo, Michela qui è riuscita a rendere sentimenti ed emozioni in un modo che a tratti mi ha meravigliato”. E’ proprio così. Michela Franco Celani possiede il dono di saper trovare le parole giuste per raccontare il dolore. La stanza dell’orso e dell’ape, uscito nel 2006, fu non a caso un vero caso letterario con oltre 100.000 copie vendute.

La disabilità e i confini

La mia prima domanda “vera” a Sabine è sulla frase che mi è parsa la più dura del libro. “Se un figlio è un orizzonte – si legge ad un certo punto - un figlio disabile è un confine”. Confesso che dopo averla letta la prima volta ho dovuto fare un paio di respiri. “In effetti questa è una frase forte, e il titolo del libro originariamente doveva ruotare attorno a questi due concetti, ma poi ho scelto di dare un messaggio positivo, che rispecchi maggiormente il mio percorso. Quello del confine è un concetto che vale sicuramente per i primi anni, quando passi dal pensare in gravidanza che tuo figlio diventerà bilingue e farà windsurf, a realizzare che invece non potrà mai nemmeno camminare. Da un certo momento in poi ho capito però che comunque all’interno di quei confini sono possibili un sacco di cose”.

Abbattere i confini Matteo prova l'ebbrezza del kart a Vadena

 

Il bisogno di abbracci

Il titolo arriva da un’altra frase del libro. “Da qualsiasi parte io guardi – si legge nel settimo capitolo - non trovo che parole sbagliate. Quelle che dico e quelle che mi vengono dette. Forse non è di parole che ho bisogno, ma di abbracci”. L’abbraccio come testimonianza di vicinanza e condivisione, insomma

Nei primi anni dopo il parto Sabine è stata molto arrabbiata. “Il problema principale - spiega- era che non ero stata messa nelle condizioni di fare una scelta perché una risonanza magnetica fu interpretata non correttamente. Non potrò mai sapere che cosa avrei scelto, ma avrei voluto poter scegliere”. Se volesse vestire i panni delll’eroina contemporanea, Sabine potrebbe tranquillamente dire che “avrebbe scelto comunque la vita” come regolarmente si sente dire da persone e movimenti della destra estremista simil-cattolica che hanno il pregiudizio inscritto nel loro DNA.

Nei primi anni dopo la nascita di Matteo odiavo i medici e ce l’avevo con la società dalla quale non mi sentivo capita. Con gli anni tutto questo è cambiato.

Nella parte finale del libro è raccontato in dettaglio il percorso emotivo che ha portato Sabine a decidere di interrompere la seconda gravidanza quando era incinta di Gaia. “Con mio marito – racconta - avevamo valutato anche la possibilità di un’adozione, ma poi abbiamo preso la decisione di provare ad avere un secondo figlio. Quando dagli esami è risultata una piccola possibilità che la bimba potesse avere una sindrome che non c’entra nulla con quella di Matteo, non ce l’ho fatta. Ho temuto di incontrare un medico obiettore di coscienza, ho temuto che sarei stata giudicata e invece ho trovato il grande conforto di una ginecologa con la quale in precedenza avevo avuto qualche dissidio. Per me è stato davvero un momento buio. Don Jimmy mi disse che qualsiasi scelta sarebbe stata per me difficile e che il Signore sarebbe stato con me e mi avrebbe aiutata a superare qualunque prova. Io non sono praticante, ma queste parole mi furono di grande aiuto. Senza queste due persone non credo che ce l’avrei fatta a superare questo nuovo lutto”.

La vicinanza della ginecologa è stato uno degli elementi che ha consentito anche a Sabine Bertagnolli di ricostruire il proprio rapporto con i medici. “Nei primi anni dopo la nascita di Matteo – racconta - odiavo i medici e ce l’avevo con la società dalla quale non mi sentivo capita. Con gli anni tutto questo è cambiato. Ho capito che anche il mio modo di pormi con i medici poteva in qualche modo indurli a non mostrare umanità e poi ho capito che la loro formazione ed esperienza può spingerli a prendere delle decisioni piuttosto che altre. Per lo stesso disturbo medici con la stessa specializzazione hanno opinioni diverse e magari nessuna è veramente sbagliata. I medici non avevano un’opinione univoca ma alcuni anni fa , nel 2019, abbiamo deciso di far sottoporre Matteo ad un’operazione all’anca. Dopo ha passato mesi di inferno, con dolori tremendi, abbiamo trascorso decine di notti insonni. Ma è stata una scelta consapevole fatta assieme ai medici come se fossimo un team. Ora devo dire che ho generalmente ottimi rapporti”.

 

Se si guardano i video sul canale Youtube si percepisce che Sabine e Matteo hanno un rapporto simbiotico come quello di una giovane madre con il neonato. In un capitolo del libro viene raccontato un viaggio della famiglia al completo a Capo Verde così se “dovesse capitare un incidente, moriremmo noi tre insieme, e questo, con ogni probabilità, sarebbe meglio  di tutto ciò che nei prossimi anni ci aspetta”, si legge.  E anche qui bisogna prendersi una lunga pausa per respirare.

“Tutt’ora - confida Sabine - ho paura di viaggiare senza Matteo. Nei primi anni era però anche difficile viaggiare con lui. Tutti che ti guardano, ti giudicano o ti compatiscono. Ora interiormente mi vivo tutto in modo diverso. Il viaggio a Capo Verde e i successivi contatti con le persone dell’isola sono stati molto importanti per capire che anche nella nostre condizioni potevamo dare una mano ad altre famiglie e bambini che hanno bisogno.”

I dolori degli altri

Una cosa che viene naturale chiedersi è: chi prova dolori così grandi a livello individuale, come si rapporta con i "normali" dolori altrui e con i grandi dolori del pianeta, come ad esempio la guerra, i disastri ambientali dovuti al cambiamento climatico? Con tanta sofferenza c’è spazio, nell’anima, per farsi carico anche di altro?

“Un’esperienza come quella che viviamo – spiega Sabine - ti fa diventare molto più empatico. Allo stesso tempo ti ritrovi a vivere come in una dimensione parallela, in cui hai spesso la sensazione di non capire il mondo e che il mondo non capisca te. Dal dolore per me è anche necessario fuggire. Il lavoro di contabile ad esempio per me è un rifugio importantissimo. Ma io ad esempio non sopporto i pettegolezzi e le cose superflue, non riesco a perdere energie per ascoltare racconti di litigi e invidie inutili. Quelli sono 'problemi' di cui io non voglio sentir parlare. Sono disponibile, invece, se avverto che una persona soffre davvero per un problema importante. Per quanto riguarda i problemi “del mondo' c’è stato un periodo in cui piangevo ad ogni telegiornale. Ora devo dire che so quello che accade ma cerco anche di proteggermi”.

La felicità e il futuro

“Se posso definirmi una persona felice? Il percorso che sto facendo - risponde Sabine - è una continua presa di coscienza. Sono perfettamente consapevole della vulnerabilità della vita ma anche di quanto sia importante godersi i momenti positivi nella vita quotidiana. Felicità per me è sinonimo di serenità e spensieratezza. Un giorno felice è quello in cui tutto fila liscio e Matteo è sereno. Negli ultimi anni ho ritrovato il valore dell’amicizia, per diversi anni non sono stata capace di chiedere aiuto. E gli altri si facevano problemi a darmi la loro disponibilità. Invece,  non appena ti apri scopri che ci sono molte persone che non vedono l’ora di darti una mano. Con il tempo si è creata una rete di amicizie molto importante, i compagni di classe, ad esempio, adorano Matteo". Il futuro, invece, è un concetto su cui non vale la pena riflettere troppo. “La vita è così vulnerabile che non riesco a vedere e a pensare troppo in là. Ma sono sicuramente più ottimista di un tempo. Ho acquisito la consapevolezza di quanto Matteo sia benvoluto e questo mi dà molta gioia, fiducia e ottimismo per il futuro“.

Un lungo nuovo inizio

Sabine è partita dal buio pesto, dall’incapacità di esprimere il dolore che sentiva. Ora fa 2.500 cose, sorride spesso, presiede l’associazione Amigos di Matteo, fa volontariato, ed è diventata Cavaliere della Repubblica. Tornando indietro con la memoria, c’è un momento preciso in cui ha sentito di aver toccato il fondo, si è data una spinta e ha ricominciato, lentamente, la risalita. Ed è questo: “Ricordo bene quel giorno. Matteo - racconta - era piccolo. Ho fermato la macchina in via Roen e sono scoppiata in uno di quei pianti in cui non riesci a smettere di singhiozzare. Vedevo le persone là fuori, una coppia che discuteva, e capivo che la vita andava avanti. Stavo malissimo, avevo bisogno di aiuto e avrei preteso che le persone leggessero la mia anima, bussassero al finestrino dell’auto e venissero ad abbracciarmi. Ma in quel momento ho capito che questo non poteva succedere se non ero prima io a fare qualcosa. Ho capito che dovevo smettere di autocommiserarmi e prendere in mano la mia vita. E con il tempo ci sono riuscita”.