Gesellschaft | zebra.

Un mondo di notizie da ascoltare

Da oltre vent’anni i podcast hanno conquistato il mondo del giornalismo con storie che coinvolgono e (in)formano chi ascolta. L'inchiesta del giornale di strada zebra.
Podcast
Foto: Anna Mayr
  • Interviste, approfondimenti, inchieste, reportage, contaminazione tra linguaggi diversi: seguendo le regole narrative di un racconto e integrando le suggestioni della radio, da più di vent’anni i podcast hanno conquistato il mondo del giornalismo grazie a storie coinvolgenti e un linguaggio dinamico che informa, appassiona e coinvolge ascoltatori e ascoltatrici.

  • Jutta Wieser Foto: Anna Mayr
  • Un fenomeno globale

    Dalla pubblicazione del primo podcast, nel 2003, a oggi questo formato ha conosciuto un successo inarrestabile. Secondo il portale “Podcast Index”, attualmente sono più di 4 milioni i podcast disponibili in tutto il mondo, mentre il numero di ascoltatori e ascoltatrici ha superato la soglia dei 400 milioni. Questo trend tocca anche il nostro Paese: un’indagine Ipsos riporta che il numero degli*lle italiani*e che ha ascoltato podcast nel 2023 ha toccato quota 11,9 milioni, segnando una crescita del 3 percento rispetto all’anno precedente. È cresciuto anche l’ascolto medio giornaliero, che ha raggiunto i 37 minuti (2 minuti in più rispetto al 2022). “Oltre ovviamente allo sviluppo della tecnologia, i podcast si sono affermati perché, in generale, possono essere ascoltati ovunque, mentre si è impegnati*e in altre attività, per esempio alla guida, facendo i lavori di casa o passeggiando”, afferma Jutta Wieser, redattrice, moderatrice e producer di contenuti audio. Wieser osserva, inoltre, come i podcast permettano di accedere a contenuti di tutto il mondo e di diverso genere e, quindi, chi li ascolta “può scegliere tra un ampio ventaglio di offerte per approfondire, farsi ispirare o anche solo intrattenere”. Un altro vantaggio dei podcast è che, utilizzando uno smartphone e un software per il montaggio, chiunque può realizzarne uno. “Una strumentazione di questo tipo, però, non garantisce una grande qualità”, precisa Wieser, che insieme al produttore e ingegnere del suono Martin Niedermair ha fondato lo studio di registrazione “Tonstube” a San Genesio. È la qualità, infatti, il marchio di fabbrica dei loro podcast, perché, sottolinea l’autrice altoatesina, “la cura degli aspetti tecnici, come per esempio la pulizia del suono, può dare risalto ai contenuti e contribuisce a tenere alta l’attenzione di chi ascolta”. 

     

    “La cura degli aspetti tecnici mette in risalto anche i contenuti di un podcast”

     

    Tra tutti i contenuti audio realizzati su commissione – Rai Südtirol, Raetia e IDM sono solo alcuni dei committenti che negli anni sono passati per “Tonstube” – o di propria produzione, quelli di cui il sodalizio Wieser-Niedermair è più soddisfatto sono quelli maggiormente strutturati, che permettono di “giocare” su tre livelli: parlato, effetti sonori e sottofondo e musica, come per esempio “Der Heilige Krieg”. Il podcast riprende il libro “Kämpfen für das Heiligste” di Josef Feichtinger e, facendo ricorso a materiale di archivio, testimonianze dirette e voci di esperti*e, in venti episodi ricostruisce l’entusiasmo che lo scoppio della Prima guerra mondiale suscitò tra la popolazione del Tirolo. “Lavori di questo tipo hanno certamente bisogno di un’introduzione, un climax e una chiusura”, spiega Wieser, “ma, soprattutto, di una storia che valga la pena di essere raccontata e ascoltata”. 

  • Vincenzo Frenda Foto: Rai
  • L’orrore della guerra

    È proprio la storia l’ingrediente principale di un podcast ben riuscito. Lo sa bene Vincenzo Frenda, inviato Rai del Tg2 e autore di “Viaggio in Ucraina”, un reportage crudo ed emozionante di dieci puntante in cui il giornalista racconta, attraverso la sua voce narrante e le testimonianze di civili e militari, l’atrocità della guerra e la quotidianità di chi la vive e subisce. Insieme all’operatore di ripresa Marco Nicois, nel 2022 Frenda ha attraversato il Paese raggiungendo Le- opoli e Žytomyr, salendo poi in direzione di Korosten e dei villaggi al confine con la Bielorussia – precedentemente occupati dai soldati russi e “attraversati da un silenzio he sa di morte” —, per giungere a Černobyl e scendere infine verso Torstjanec, Dnipro e Kharkiv, ultima tappa del viaggio. Raccontare la guerra è complicato, perché si nutre di propaganda e notizie false e un*a giornalista sul campo non sempre ha la pos- sibilità di verificare i fatti. Per questo Frenda sottolinea che un inviato deve riportare solo quello che vede e che può verificare. “Inoltre, va considerato che in quel contesto a rischiare la vita sei anche tu e il racconto è influenzato dal grado di pericolo che si è disposti a correre, con la consapevolezza che i fatti e la realtà si vedono meglio da vicino”, aggiunge. 

     

    “Un inviato deve riportare solo quello che vede e che può verificare.”

     

    Nel corso del viaggio sono tanti gli incontri e le vicende raccontate da Frenda: a Žytomyr, nelle stanze spettrali dei sotterranei dell’ospedale pediatrico bombardato dai russi, ha incontrato Victoria, una paziente di 29 anni che lì avrebbe partorito suo figlio. Nei villaggi rurali intorno a Černobyl ha documentato l’utilizzo da parte dei russi delle “cluster bombs”, le bombe a grappolo vietate dalla Convenzione di Oslo del 2008 – non sottoscritta dalla Russia e nemmeno dall’Ucraina –, che sganciate contro la popolazione civile configurano un crimine di guerra. A Trostjanec ha raccolto la voce di un gruppo di ventenni, che prima del conflitto studiavano e si divertivano e che ora, “a bordo di moto sgangherate, ruggiscono per coprire la desolazione che le bombe hanno calato sulla loro città”. La storia che più lo ha segnato, perché vi ha visto “tutto il male del mondo”, però, è quella di Masha, una bambina di 4 anni di Sumy, città a circa duecento chilometri da Kharkiv. La bambina è stata l'unica a sopravvivere al bombardamento russo che ha raso al suolo tutte le case della via in cui abitava insieme alla sua famiglia. Da quel momento ha vissuto da una coppia di amici dei genitori ed è qui che l’inviato della Rai l’ha conosciuta. “Quando sono entrato in casa, l’ho trovata sul davanzale davanti alla finestra chiusa”, ricorda. Nessuno aveva ancora avuto il coraggio di dirle che i suoi genitori erano morti e “Masha guardava di sotto, in attesa che la sua mamma e il suo papà la passassero a prendere”.
    Per cinque settimane, dunque, Frenda si è immerso con sguardo lucido ed empatico nel dolore dell’umanità in guerra, vivendo un’esperienza che gli ha lasciato ricordi indelebili. “Il racconto della guerra è una cosa che ti porti dentro”, confessa il giornalista, consapevole che “l’orrore di cui sono stato testimone si è in parte depositato dentro di me e prima o poi ci dovrò fare i conti”. 

  • Il collettivo CiòMaFé. Foto: Collettivo CiòMaFé
  • Un antidoto contro la paura

    A cimentarsi con i podcast non sono solo giornalisti*e affermati*e, ma anche giovani professionisti*e che utilizzano questo formato come terreno di dialogo tra linguaggio giornalistico classico e narrazione sperimentale. “Tremori”, podcast realizzato da CiòMaFé, un collettivo di giovani di Andria – e una community online di 15mila persone –, va esattamente in questa direzione. “Inserendo la tecnica dell’intervista in un 'racconto dell’inconscio', il formato-podcast si è rivelato un mezzo ricco di risorse per narrare una storia fatta di incontri, sensazioni e immagini della mente”, dice Sara Suriano, di professione giornalista e insieme a Luigi Lupo, Maria Chiara Pomarico e Vincenzo Simeone autrice del podcast. Per loro la voce è stato lo strumento ideale per parlare di qualcosa di profondo e intimo come la paura – tema intorno a cui si è concentrato il Festival di Castel dei Mondi di  Andria nell’ambito del quale il podcast è stato prodotto – e per provare a decostruire lo stigma che l’accompagna. Nel corso delle sei puntate di “Tremori”, Agata, la protagonista del racconto, si muove tra le stanze e i corridoi del castello indagando le paure più viscerali dell’essere umano – la morte, il buio – e quelle determinate dalle sovra- strutture della società contemporanea, come i demoni personali, la solitudine e i confini. Ad accompagnarla in questo viaggio in bilico tra mondo onirico e psicanalisi sono alcuni*e artisti*e del Festival e altri*e intellettuali italiani*e, tra cui il regista Dario Argento, la linguista Vera Gheno e lo scrittore vincitore del Premio Strega 2022 Mario Desiati, che entrano in dialogo con lei per rispondere ai suoi dubbi e domande e, appunto, alle sue paure.

     

    La voce è lo strumento ideale per parlare di un tema profondo come la paura.

     

    La struttura narrativa di “Tremori” deve molto ad alcune letture che Suriano e compagni*e hanno fatto in preparazione al podcast, come per esempio “Yoga” di Emmanuel Carrère, in cui l’autore francese racconta della depressione e del disturbo bipolare di cui ha sofferto, e “Il nome della rosa” di Umberto Eco, che restituisce la suggestione del labirinto come luogo che protegge e, al tempo stesso, cela una conoscenza. Per Suriano e i*le suoi*e colleghi*e, “Tremori” è stato anche l'antidoto contro le proprie paure. “Quando ci si confronta con il buio si finisce per fare i conti anche con le proprie zone d’ombra e in questo senso il podcast ci ha dato la possibilità di guardare negli occhi le nostre paure e, in alcuni casi, anche di raggiungere una sorta di catarsi”, conferma la giornalista pugliese, che sottolinea come le risposte degli*lle intervistati*e “ci hanno ricordato anche che la vita non è fatta di dualismi – giusto e sbagliato, bianco o nero – , ma di interezza e zone grigie: non si può essere coraggiosi*e se non si ha paura”. 

  • Gaia Bocceda Foto: Alessio Giordano
  • I podcast tra i banchi di scuola

    I podcast come mezzo di riflessione e approfondimento possono essere anche un ottimo strumento di formazione. “Radio Ragazzi Fermi”, progetto della scuola media “Enrico Fermi” di Bolzano, ne è un esempio. “Lo scorso anno nei giorni della 'Settimana creativa', durante la quale studenti e studentesse sono coinvolti*e in diversi laboratori, io ho realizzato un podcast che presentava il 'Club di lettura' della scuola”, racconta Enjo, 13 anni e vera e propria anima dell’iniziativa bolzanina. Gaia Bocceda, insegnante di lettere e coordinatrice del progetto, spiega che “le prime registrazioni furono molto 'fai da te', mentre quest’anno i fondi del Pnrr ci hanno consentito di investire sull’innovazione didattica e digitale e di allestire una redazione e uno studio di registrazione vero e proprio”. Nella fase iniziale del progetto i*le partecipanti hanno provato a sperimentarsi nei diversi compiti – in redazione, davanti al microfono o dietro le quinte in regia –, poi col tempo sono emerse le inclinazioni di ciascuno*a e gli*le otto ragazzi*e che al momento compongono il team di “Radio Ragazzi Fermi” adesso ricoprono ruoli ben definiti. Enjo è autore e regista e sa perfettamente come muoversi in console e, soprattutto, dove mettere le mani. “Prima di registrare, bilancio il volume delle casse e dei microfoni”, spiega, “mentre in post-produzione inizia il vero divertimento”. In questa fase, infatti, ha la possibilità di editare l’audio, pulire il suono, aggiungere la sigla, inserire gli effetti e la musica di sottofondo, così da rendere l’ascolto più gradevole.
     

    Ad aprire la stagione 2023-2024 di “Radio Ragazzi Fermi” è stata la serie “Le nostre lingue contano”, in cui dieci studenti*esse raccontano una fiaba della tradizione del proprio Paese di origine in lingua originale, proponendone poi anche la traduzione in italiano. “Dato che a scuola le lingua parlate tra i*le ragazzi*e sono circa una decina”, spiega Bocceda, “abbiamo pensato potesse essere significativo condividere e rendere accessibili storie anche a chi ancora non sa leggere o non conosce tradizioni diverse da quelle italiana”. Arjan, 12 anni, per esempio, ha proposto la fiaba “Il ciliegio” di Ion Creangă, autore rumeno dell’Ottocento, mentre Salimata ha optato per una storia in francese, perché “la lingua dei miei genitori, il pulaar, per me è un po’ complicata”. Oltre a “Le nostre lingue contano”, sul canale Youtube di “Radio Ragazzi Fermi” è possibile ascoltare i “Consigli di lettura” del Club dei Lettori della scuola e la serie “Un minuto di terrore”, per la quale i*le giovani podcaster hanno registrato brevi racconti di paura. A marzo, infine, verrà pubblicato il primo contenuto inedito, opera di Enjo. “In un compito in classe avevo scritto la storia della vita di mia nonna, che le insegnanti mi hanno poi proposto di adattare per un podcast in italiano e albanese”, racconta. Ne è scaturito un racconto che traccia un ponte tra Italia e Albania. “È un lavoro di cui sono molto orgoglioso e che spero ascolteranno in tanti*e”, conclude il giovane regista. 

    Quando, nel 2004, il giornalista del “Guardian” Ben Hamersley coniò il termine “podcasting” – dall’unione di 'pod' (bacello) e 'broadcast' (trasmissione) –, non avrebbe potuto immaginare il successo che questo formato avrebbe riscontrato nel corso del ventennio successivo, né tantomeno l’influenza che avrebbe esercitato anche sul giornalismo. I podcast e le esperienze raccontate in queste pagine rappresentano una piccolissima ma preziosa selezione della varietà di proposte presenti nei cataloghi delle principali piattaforme. Su Spotify, Apple Podcast, Audible, Google Podcasts, infatti, è possibile recuperare e seguire i contenuti audio di grandi gruppi editoriali e di realtà del giornalismo indipendente, italiano e non. A noi non resta dunque che metterci comodi, infilare un paio di cuffie e aprire le orecchie. Buon ascolto a tutti*e.

  • Questo articolo è tratto dall'ultimo numero del giornale di strada zebra.: Foto: zebra