Gesellschaft | terremoto

Nelle Marche il futuro non crolla

Sono oltre ventimila gli sfollati dai borghi ai piedi dei monti Sibillini, i “Monti Azzurri” di Leopardi colpiti dal sisma. E nel maceratese si pensa alla ricostruzione.
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Foto: Valentino Liberto

Difronte a catastrofi naturali come il terremoto che ha duramente colpito (senza provocare vittime) le popolazioni delle Marche meridionali e di Norcia in Umbria – a due mesi dalla scossa che ha distrutto Amatrice, nel Lazio, causando la morte di quasi trecento persone – giornalismo e comunicazione attraverso i social media sono messi a dura prova. Al netto di chi, nel mondo dell'informazione, appare poco interessato ai “terremoti senza morti” di fine ottobre (propagando persino notizie false come quella della magnitudo 7.1), qualcuno preferisce raccontare le conseguenze del sisma vigilando su quel “ricostruiremo tutto come prima” espresso dal presidente del Consiglio Matteo Renzi e dal sempre più evanescente presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Nonostante il panico e l'irrazionale si impadroniscano del web – che spesso diffonde e amplifica tamtam, passaparola, bufale e leggende metropolitane –, internet può veicolare l'energia della ricostruzione, resistendo all'estenuante susseguirsi delle scosse di assestamento.

 

Pagina99 ha realizzato una mappa interattiva del sisma: "Sono stati raccolti su una mappa i luoghi dove il terremoto ha sottratto un pezzo di anima all’identità del nostro Paese. Nell’elenco sfilano 196 nomi di borghi dove la vita non c’è più, o non è più quella di prima."

 

La cosa importante è ragionare sui paesi italiani. Quando subiscono un terremoto ci troviamo impreparati anche dal punto di vista culturale. È come se non avessimo le lenti per guardarli, per capire cosa sono adesso. Ecco che diventa difficile salvarli senza manometterli più di tanto. Lavorare sui paesi senza espanderli, tenendo conto che tendono a perdere abitanti. Ma i paesi non muoiono, ci vuole poco per tenerli in vita.” Come scrive il paesologo Franco Arminio, è importante non dimenticare i piccoli centri, non concentrandosi solamente sui luoghi più popolati o famosi. Perché non vi è solo la basilica distrutta di San Benedetto a Norcia, la frattura all'ermo colle dell'Infinito di Leopardi (poesia recitata pure da Dustin Hoffmann) o quella impressionante che taglia in due il Monte Vettore, bensì una miriade di località colpite dalla vastità di questo terremoto. Territori che se venissero abbandonati, se dovessero spopolarsi, perderemmo un'immensa identità culturale. Nel Centro Italia, ora, vi sono 22mila sfollati, di cui ben 18mila solo nelle Marche.

 

 

Le Marche sono belle come la Toscana, ma nessuno lo sa” confessa il direttore de Il Post Luca Sofri rievocando un suo arrivo avventuroso nella splendida piana di Castelluccio di Norcia: “– Sto facendo un giro nelle Marche. – Qui però sei in Umbria.” E se la rete si mobilita per non abbandonare Castelluccio, nelle Marche in molti non vogliono lasciare le proprie comunità. Gli studenti dell'Università di Camerino hanno creato la pagina “Il Futuro non crolla” per rilanciare aggiornamenti “di mutuo soccorso” sul terremoto. Non intendono abbandonare una città che ha dato loro molto, in una fase cruciale nella propria giovane vita. “La sera della scossa, nella tendopoli si parlava in inglese, e tantissimi islamici ci ringraziavano” raccontano due studenti (non marchigiani) a “Fahrenheit”, bellissima trasmissione di libri condotta da Loredana Lipperini su Radio Tre. “Dateci il nome di un paese che non abbiamo sentito nominare – chiede Lipperini ai radioascoltatori – e il cui nome non abbiamo letto sui giornali. Creiamo una rete di nominazione e di racconto, di cura, sia pure verbale, dei luoghi. Sono tanti i simboli, tante le perdite, e purtroppo impariamo a conoscere questi luoghi quando si sgretolano. L'impegno di “Fahrenheit” è nominare i luoghi che non riescono a essere in primo piano nelle cronache”.

 

 

quiete dopo la tempesta. #montisibillini

Una foto pubblicata da Valentino Liberto (@plasnego) in data:

Il Lago di Fiastra, nel Parco nazionale dei Monti Sibillini. Il comune di Fiastra (provincia di Macerata) è stato l'epicentro di una delle più forti scosse di assestamento, di magnitudo 4.8.

 

Paesi fantasma?

 

“I paesi sono abituati a orientarsi su una geografia emotiva, l'orientamento ha a che fare con luoghi specifici del centro storico, come le chiese che ora crollano. Una chiesa rappresenta un paese, ferire questi luoghi significa ferire chi li abita” sottolinea ai microfoni di Fahrenheit Francesca Chiappa della libreria 'Kindustria' di Matelica, in provincia di Macerata: “Occorrono politiche che possano mirare a far tornare tutti quanti, come una sostegno al reddito per chi ha perso la casa e chi ha perso l'attività economica collegata al territorio, dal turismo all'artigianato, dall'agricoltura all'allevamento. Dal di fuori non si riesce a capire la gravità dell'accaduto, quante persone sono fuori casa, lontane dai luoghi in cui sono cresciuti. Una popolazione cocciuta e resistente che questi posti li ama”. “Non abbandoniamo questi luoghi che hanno da raccontare tantissimo” fa eco Cesare Calà: “Il problema dello spopolamento precedeva questo terremoto. Le Marche, in particolare le province di Macerata, Ascoli Piceno e Fermo sono popolate da un popolo ritroso. Dobbiamo invece fare un passo avanti, tornare sui monti Sibillini. Le leggende, le storie, possono avere un ruolo nella ricostruzione”. Rosangela Censori, guida del parco nazionale dei Sibillini, teme che “con l'evacuazione dei piccoli paesi, le persone non ritornino ad abitare quassù. Non deve accadere, altrimenti è la morte per questi piccoli centri urbani. Bisogna assolutamente restare, procedere alla ricostruzione. Un turismo sostenibile, grazie alla conoscenza del territorio, delle montagne, dei sentieri, può mantenere intatta la nostra comunità”.

 

Se l'allevatore di Pieve Torina Michele Sepi “crede alla montagna” (e ci resta), anche Orietta Varnelli – una delle sorelle titolari della distilleria “Varnelli” di Pievebovigliana, la più antica casa liquoristica marchigiana fondata nel 1868 – ha timore che “questa comunità si disperda, nonostante la molta grinta caratteristica della gente di montagna”: “Evitiamo di frapporre ostacoli tra la nostra voglia di ripartire e il dramma arrivato in questa terra – spiega a Fahrenheit – perciò dobbiamo muoverci. C'è un livello di coesione sociale importantissimo, pure i migranti si trovano bene; la mamma marchigiana apre la porta a tutti, anche quella montanara dell'entroterra maceratese. E le nostre case sono ancora in piedi, grazie alla ricostruzione post-97 e questo dice molto della nostra comunità”. Silvia Fronzi, trentatreenne ristoratrice de “Il Vecchio Molino” a Pieve Torina, ha deciso di tenere aperta la propria attività, sfamando i vigili del fuoco accorsi in loco e dando lavoro ai giovani della zona. In cambio non vuole soldi, nonostante le difficoltà preferisce cavarsela da sola: “Pieve Torina è il paese dove sono nata e ho vissuto 33 anni, vederla così in ginocchio mi spaventa – risponde in lacrime a Lipperini – la vita qui è fatta della quotidianità, dell'essere uniti e vedere che tutti possono farti un favore, di persone che hanno un cuore generoso, delle nostre montagne, che magari tante volte ti dici cosa faccio io qui e poi quando vai via ti mancano questi paesaggi stupendi in tutte le stagioni dell'anno. Non c'è niente, ma quel poco ci basta”.

Non pensino che non torneremo. Dobbiamo lavorare la terra, seminare. Che facciamo, non produciamo più? Questa è la nostra vita: nessun terremoto e nessun governo ce la toglierà.

Francesca Chiappa lancia infine un appello ad ascoltatrici e ascoltatori radiofonici: “Castelluccio di Norcia cominciava a essere narrata attraverso le foto, la fioritura delle lenticchie è stata raccontata da tantissime persone. I nostri territori vanno ripopolati da subito, il prima possibile, chiamando a raccolta chi ha a che fare con le parole e con il racconto. Ci chiamano in questi giorni per chiedere cosa possono fare. Io dico che presto qui ci sarà da creare un nuovo lavoro, e serviranno scrittori, librai, lettori, giornalisti che possano raccontare questi territori”. Un invito che chiunque voglia salvare l'odorata ginestra (così come un'etica del racconto giornalistico) dalla furia della natura, dovrebbe prendere in seria considerazione.

 

Scrive il filosofo, insegnante e autore teatrale Cesare Catà di Porto S. Giorgio (Fermo): "Essere Marchigiani è un destino. Significa stare al mondo in modo tellurico e fantastico al tempo stesso. Aver sempre la necessità di scappare e sempre - sempre - patire la nostalgia ineludibile del ritorno. Significa avere la netta sensazione che la vita si svolga altrove, per poi scoprire che la si è persa in tutto ciò che si è lasciato. Significa rimanere incommensurabilmente soli - in un deserto così somigliante al paradiso da confondere gli angeli nel loro volo."

All'articolo ha contribuito Alice Ciccioli.