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Politik | Avvenne domani

Il potere e la storia

A Trieste la mannaia cala su chi non si allinea.

In arrivo, da Trieste, notizie inquietanti. A fine febbraio il Consiglio Regionale del Friuli Venezia Giulia ha approvato una mozione, primi firmatari di esponenti della Lega e di Forza Italia, con la quale si chiede alla Giunta di cancellare in futuro ogni forma di finanziamento ad istituti ed associazioni che sostengano, sul delicatissimo e controverso tema delle Foibe, un orientamento non gradito alla parte politica che ha assunto l'iniziativa.

Nella mozione (il testo completo è reperibile qui) si fa espressamente cenno ad una teoria storica chiamata "riduzionismo", che consisterebbe, a giudizio degli estensori della mozione, nel voler minimizzare le colpe del regime comunista jugoslavo riguardo all'ondata di violenze che si verificò in quelle terre tra il 1945 e il 1948.

Il documento politico ha preso vita immediatamente dopo la celebrazione della Giornata della Memoria, istituita, ogni anno a febbraio, per celebrare il ricordo delle vittime di quella violenza e divenuta sempre più, nel corso degli anni, un'occasione per rinfocolare, oltre i limiti di una serena rilettura storica di avvenimenti ormai lontani, polemiche rabbiose e violentissime. Questa volta nel mirino di chi ritiene di possedere l'assoluta verità  e che pretende di imporla a suon di leggi è finito addirittura uno degli istituti più noti e stimati che si occupano da sempre delle ricerche sulle vicende che si sono svolte a cavallo dei confini orientali d'Italia tra otto e novecento. Si tratta dell'Istituto Regionale per la storia della Resistenza che, proprio in occasione della recente Giornata del Ricordo, ha prodotto un volume divulgativo intitolato "Vademecum del Giorno del Ricordo" che conterrebbe, a giudizio della destra giuliana ed anche di alcune tra le associazioni che tengono viva la memoria di quei tragici avvenimenti, affermazioni inaccettabili come quella secondo cui i delitti compiuti quegli anni a danno della comunità italiana, pur configurando un comportamento di spaventosa criminalità politica, non possono essere definiti come un tentativo di genocidio.

Da qui l'accusa di "riduzionismo" come una sorta di fratello minore ma non meno infamante del "negazionismo" di coloro che si ostinano a cancellare il ricordo della Shoah. Un'accusa gravissima che va a colpire tra l'altro, in maniera diretta, uno degli autori del Vademecum, il professor Raoul Pupo, docente di storia contemporanea presso l'Università di Trieste e componente, a partire dalla metà degli anni 90, di tutte le commissioni miste italo- slovene e italo -croate che si sono occupate, per la prima volta, dopo decenni di ostinato reciproco silenzio, di approfondire la ricerca sulle fonti storiche per ricostruire tutta la catena dei drammatici avvenimenti che hanno insanguinato quelle terre.

Raoul Pupo, tra l'altro, è personaggio tutt'altro che sconosciuto anche in Alto Adige. Ha coordinato infatti dal punto di vista scientifico la ricerca condotta da una serie di storici del Trieste e Bolzano sugli archivi, improvvisamente tornati alla luce, dell'Ufficio Zone di Confine che presiedette alla politica del governo italiano nell'immediato dopoguerra sia per quanto riguarda la situazione, a dir poco esplosiva, di Trieste, che per quella, meno "bollente" ma non meno delicata dall'Alto Adige.

Raoul Pupo, attraverso i suoi studi e l'analisi delle documentazioni che via via sono state rese disponibili dagli archivi dei vari paesi, ha realizzato, nel corso del tempo, numerose opere tra le quali quella dedicata agli avvenimenti di Trieste del 1945. Un lavoro doppiamente difficile, non solo perché sicuramente vi sono stati, nel corso del tempo, tentativi di distruggere o occultare la documentazione sugli atti di violenza, ma anche perché si è trattato di superare, applicando rigorosi criteri di ricerca storica, la contrapposizione radicale che ha contraddistinto, per decenni, il confronto tra le diverse nazionalità e le diverse culture. È un fenomeno che anche la nostra realtà regionale ha conosciuto in maniera più che abbondante. La storia è stata "sequestrata" per un lungo periodo dagli opposti schieramenti, dominati dal verbo nazionalistico. Si è scritto di storia solo per appoggiare l'una o l'altra tesi, eliminando con cura tutti gli elementi che andassero in qualche misura a contraddire il proprio credo e gli obiettivi politici che da esso discendevano. Questo è avvenuto in Alto Adige, questo in misura molto più marcata è avvenuto a Trieste, in una terra dove le contrapposizioni etniche sono esasperate da un passato di violenze indicibili e sono state ulteriormente aggravate dal manifestarsi, a metà del novecento, di una contrapposizione ideologica che ha fatto della città giuliana una delle terre di confine più delicate dei momenti cruciali della guerra fredda.

Solo in tempi più recenti generazioni di storici non più legati alla "missione" di appoggiare questo o quello schieramento, hanno iniziato a proporre una rilettura più serena e più articolata del recente passato. Ciò è avvenuto e sta avvenendo, per fortuna, a Bolzano ed è avvenuto anche a Trieste, a Lubiana e a Zagabria, con uno strascico, tuttavia di, di roventi polemiche dimostrano come un approccio più tranquillo e scientifico fatichi ancora ad essere accettato. L'episodio della mozione approvata in Consiglio Regionale a Trieste dimostra come il lavoro degli storici debba ancora muoversi come in una navigazione perigliosa nella quale è d'obbligo cercare di evitare di naufragare su due scogli contrapposti e ambedue insidiosi. Da un lato c'è la tendenza, esemplificata nella mozione di cui sopra, a costruire una verità ufficiale, dogmatica, settaria, assolutamente impermeabile a qualsiasi forma di dubbio. Di fronte la suggestione, apparentemente molto più allettante ma non meno pericolosa, della cosiddetta verità condivisa, quella che eliminando ogni forma di contrasto è contrapposizione cerca di costruire una sorta  di racconto buono per tutti  che ha la stessa consistenza di un omogeneizzato per lattanti. Si digerisce facilmente, ma poi, per crescere e diventare veramente adulti, occorre mettere qualcosa di più solido sotto i denti ed accettare anche di affrontare sapori più aspri.

Insisteva su questo punto, nei giorni scorsi a Bolzano, lo storico Claudio Vercelli, presentando, nello spazio ANPI di via Torino, il suo recente volume sui neofascismi. Sosteneva Vercelli che il pericolo da evitare è sempre quello di una verità storica costruita dall'alto. Il fatto che la ricerca storica possa portare a conclusioni spesso divergenti, e nel caso della vicenda delle Foibe giuliane, questo avviene ed avverrà probabilmente ancora per molto tempo, è solo un fatto positivo. L'importante è che il confronto vada avanti sulla base di una ricerca seria, che tenga conto delle posizioni altrui, che si ponga come obiettivo non tanto quello di mettere in luce solo alcune tra le responsabilità storiche occultando quelle della propria parte politica, quanto quello di portare sempre nuovi elementi per costruire un percorso di conoscenza. È quanto hanno cercato fare studiosi come Raoul Pupo nel corso di questi anni. L'idea che la soluzione possa essere invece quella di imbavagliare le voci di questi ricercatori per lasciar parlare solo quelle che arrivano dai polemisti di parte è profondamente errata e denota lo scadimento del confronto politico e culturale che si manifesrta, purtroppo, in molti aspetti del nostro vivere civile al tempo d'oggi.