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“Airbnb non l’avrà vinta”

Il giovane imprenditore trentino Filippo Battiti attende il nuovo round con il colosso americano. “Noi fra le 150 startup europee più innovative, ma l’Italia ci ignora”.
Filippo Battiti
Foto: Filippo Battiti

Davide contro il Golia delle prenotazioni online. La peculiare vicenda ha per protagonista il trentino Filippo Battiti, 26 anni, ex studente di Economia e scienze sociali alla Bocconi di Milano, che al terzo anno di studi decide di lasciare l’università per intraprendere un’attività imprenditoriale nell’ambito del turismo. La sua famiglia acquista una seconda casa, a Trento, e per ammortizzare mutuo e prime spese, decide di affittarla ai turisti, sul modello Airbnb. “Fino a qui tutto bene”, per citare una battuta di un noto film francese. Le cose cambiano quando Filippo si inventa un software, “la soluzione intelligente per gestire l’ospitalità”, come recita il suo sito, e decide di chiamarlo “Ciaobnb”, mandando su tutte le furie il gigante della sharing economy che gli fa causa. Il finale della storia, però, è di quelli da Hollywood, tutto riscatto e rivalsa.

 

 

salto.bz: Filippo, lei a un certo punto molla gli studi per entrare nel mercato turistico, cosa le saltò in mente?

Filippo Battiti: Studiavo a Milano e nel contempo gestivo le prenotazioni online della nostra seconda casa. Poi mi è venuta l’idea di creare un piccolo strumento software per facilitare la comunicazione fra me, mio padre e i miei fratelli che si occupavano attivamente dell’appartamento. Il software serviva a salvare le prenotazioni ricevute dai vari portali, Airbnb, Booking, Expedia, eccetera, su un un’unica applicazione web. La nostra esperienza ci ha convinto che questo strumento potesse essere utile anche anche ad altre persone che affittavano appartamenti o gestivano piccoli bed & breakfast. È stata la mia prima esperienza nel campo della gestione turistica.

Era ed è un giovane smanettone del computer, insomma.

Lo sono dai tempi delle medie. Poi, alle superiori, ho cominciato a creare siti web e applicazioni software, attività che mi ha permesso anche di sostenermi economicamente all’università. La fortuna è stata essere cresciuto a pane e computer, mio padre fra l'altro è professore all’università di Trento di informatica e algoritmi. Al terzo anno alla Bocconi mi sono detto: anziché investirne un altro negli studi mi lancio in quest’avventura imprenditoriale. E così è stato. 

E a casa come l’hanno presa?

Mia madre era quella più preoccupata, avrebbe voluto che finissi l’università, mio padre invece era più aperto all’idea, aveva compreso la mia volontà di studiare mettendo in pratica quello che avevo già imparato. E in effetti penso di aver appreso molto più così di quanto avrei fatto sui banchi di scuola. Certo è uno studio diverso, meno teorico e più concreto, ed ero consapevole che anche se avessi fallito avrei imparato comunque molto, dal punto di vista formativo ero convinto che sarebbe valsa lo stesso la pena tentare.

Il piglio imprenditoriale da dove spunta fuori?

Da piccolo facevo il mercatino dell’usato dei miei giocattoli nel parco sotto casa, così ho raccolto i primi soldi. Alle superiori sviluppavo siti web e davo ripetizioni agli studenti. All’università ho acquistato quella consapevolezza che mi ha spinto poi a mettermi in gioco. Lo sviluppo dell’azienda lo devo al lavoro di squadra, il mio merito è quello di riuscire a guidarlo questo team e di aver inventato un software che in due anni ha già superato in complessità e qualità concorrenti con 20 anni di esperienza sulle spalle. 

Come funziona esattamente questa app?

L’app ha lo scopo di supportare la gestione di appartamenti o piccoli b&b, è utile principalmente per coordinare le prenotazioni online, poi abbiamo aggiunto l’app e-commerce per permettere di ricevere sul proprio sito ufficiale prenotazioni online in modo tale da offrire ai clienti un’alternativa ai diversi portali. Questo perché già dal primo anno di gestione del nostro appartamento avevamo una clientela che ritornava e quindi abbiamo visto l’opportunità di ottenere prenotazioni in maniera diretta, cosa che ci dava più soddisfazione sia perché avevamo un contatto diretto col cliente senza intermediario, sia per l’incentivo economico, mettendo da parte, in questa fase, i portali. Le piattaforme online del resto prendono una percentuale che si aggira in media intorno al 20% della prenotazione, che non è poco. Questo non significa escluderle dalla partita perché in ogni caso restano uno strumento fondamentale, ma il concetto è: da una parte sfruttarle per trovare nuovi clienti che altrimenti da soli sarebbe più difficile attirare e dall’altra non delegare loro tutta la parte della vendita del servizio. In sostanza il nostro obiettivo è fornire uno strumento che semplifichi la gestione e nel contempo favorisca l’aumento di reddito.

Da piccolo facevo il mercatino dell’usato dei miei giocattoli nel parco sotto casa, così ho raccolto i primi soldi. Alle superiori sviluppavo siti web e davo ripetizioni agli studenti. All’università ho acquistato quella consapevolezza che mi ha spinto poi a mettermi in gioco con quest'impresa

Il momento di svolta quando c’è stato?

Quando ho incontrato casualmente alcune persone che lavoravano come consulenti per alberghi, parlo anche di grandi hotel di 4 o 5 stelle con 100 e più camere. È nato subito un grande interesse intorno al progetto, cosa che mi ha stupito molto perché da ignorante del settore davo per scontato che queste strutture avessero strumenti simili se non addirittura migliori rispetto a quello che avevo proposto, ma di fatto non era così. A quel punto abbiamo deciso di sviluppare la nostra applicazione così che potesse essere utilizzata anche da hotel veri e propri. E quando abbiamo iniziato ad avere come clienti i grandi alberghi allora ho scoperto il potenziale del nostro lavoro e la vera opportunità che potevamo avere nel mercato del turismo. 

E ora?

Siamo entrati da poco nel terzo anno di attività, fra i clienti contiamo anche piccole catene alberghiere a gestione famigliare, e da due mesi abbiamo iniziato delle collaborazioni all’estero, con l’Albania, la Slovenia e la Spagna. Nel 2018 dopo aver consolidato il nostro software, abbiamo aggiunto un nuovo modulo, il revenue management, che in pratica serve a suggerire la politica strategica a un hotel. Analizzando i dati salvati nel cosiddetto gestionale, che raccoglie prenotazioni, prezzi di vendita, disponibilità ecc., possiamo consigliare all’albergo quali prezzi postare giorno per giorno, per tutto l’anno in modo da migliorare il fatturato. Questo è lo strumento più avanzato che abbiamo costruito, siamo fra i primi al mondo ad applicare alla gestione alberghiera algoritmi automatici e la cosiddetta intelligenza artificiale, anche attraverso tecniche di machine learning.  

 

 

Gli affari come vanno?

Bene, considerando che il progetto è tutto autofinanziato, ma devono andare meglio. È facile che le startup falliscano nei primi due anni di vita, noi abbiamo superato quella soglia e possiamo definirci un’impresa di successo. Ho cominciato chiedendo un micro prestito in banca, 20mila euro, con cui ho avviato l’attività, e ho trovato i primi clienti che ci hanno dato quella base economica per consentirci di camminare sulle nostre gambe. Il numero dei clienti è cresciuto e questo ci ha permesso di assumere altre persone nell’azienda, oggi siamo 8 in tutto, fra dipendenti e collaboratori, cosa di cui sono molto orgoglioso. Certo se avessero accettato le nostre domande per un finanziamento pubblico avrei potuto impiegare più persone, ma l’attività è potuta crescere lo stesso anche contando sulle sue sole forze.

Con la cosiddetta rivoluzione digitale c’è una generazione di under 40, ma anche sotto i 30 anni, che si è arricchita grazie a delle idee vincenti. Lei a che punto è?

Devo ancora incassare un euro dalla mia attività, per ora sono un cosiddetto imprenditore a perdere. Non perché l’azienda non abbia prodotto ricavi ma perché tutti i soldi incassati finora li sto reinvestendo nell’attività, continuando a rimandare il mio guadagno. Posso permettermelo perché vivo ancora con i miei genitori e sono piuttosto parsimonioso, cosa che mi viene riconosciuta anche da mia madre [ride]. Non esco tutte le sere e non faccio shopping una volta a settimana per comprarmi la scarpa all’ultima moda, ecco. Facendo qualche sacrificio personale posso dare lavoro ad altre persone e puntare sulla crescita dell’azienda. Il mio obiettivo non è certo quello di lavorare gratis per sempre, mi aspetto di incassare la mia parte tra qualche mese, forse un anno, per raggiungere un’autonomia economica, così anche la mamma sarà contenta. 

Ho passato molte notti insonni quando ho scoperto che Airbnb ci avrebbe fatto causa, ma non abbiamo ceduto alla paura, sono convinto che ogni imprenditore debba essere un po’ incosciente, senza prendersi dei rischi non si può essere davvero innovativi

La dura vita dello startupper. Intanto però sul suo biglietto da visita c’è la clamorosa vittoria contro Airbnb. 

Quella sì che è una storia da raccontare. Due anni fa ho aperto l’attività e l’ho chiamata Ciaobnb. Premetto che trovare un nome di un sito web disponibile online è un’impresa ardua, soprattutto nell’ambito del turismo. Abbiamo fatto tanta ricerca e quando abbiamo trovato Ciaobnb mi ha sorpreso che fosse disponibile, allora ho subito comprato 50 o più domini web, .com .it ecc. Il nome ciao in sé ci piaceva, non solo perché era una parola italiana ma perché è tra le prime dieci parole più conosciute al mondo e, dato che lo scopo era espanderci, un nome che potesse già funzionare a livello internazionale ci sembrava la soluzione più ovvia. E poi la parola richiama un saluto sorridente, che è il principio base di chi opera nel turismo. Ciao.com è di proprietà di Microsoft e avremmo avuto difficoltà a “rubarlo” all’attuale proprietario, abbiamo pensato a delle parole da unire a ciao e abbiamo trovato bnb, a quel punto registriamo Ciaobnb come sito e come marchio all’Ufficio marchi e brevetti europeo (Euipo). Quando Airbnb se ne è accorto ci ha accusato di aver copiato il loro marchio, dicendoci che non potevamo utilizzarlo e che ci sarebbero stati dei danni da pagare. 

Qual è stato il primo pensiero quando si è visto recapitare una montagna di carte dalla multinazionale americana pronta a farle la guerra?

Mi sono spaventato, ma credo sia umano. L’attività del resto aveva pochi mesi e i soldi erano pochissimi, dover decidere se continuare la causa e quindi investire tempo e risorse economiche per la difesa giudiziaria è stata dura. Il primo pensiero è stato: ci arrendiamo e troviamo un altro nome che non dia fastidio a nessuno. Come avremmo fatto a battere una multinazionale come Airbnb?

Con un pizzico di incoscienza, per cominciare?

Assolutamente sì, ma sono convinto che ogni imprenditore debba essere un po’ incosciente, senza prendersi dei rischi non si può essere davvero innovativi.

Era un rischio grosso, questo, però.

In effetti ho passato molte notti insonni pensando a come muovermi. Ho fatto da me una prima analisi legale, non avendo abbastanza soldi per assumere un avvocato. Ci siamo rimboccati le maniche a abbiamo fatto delle ricerche. Abbiamo scoperto che esistevano altri marchi che contenevano le lettere bnb, e abbiamo approfondito anche la differenza fonetica fra il nostro nome e air, insomma alla fine ci siamo detti: resistiamo. E mentre da una parte Airbnb mandava ai giudici, e a noi, plichi con 300 pagine di allegati noi rispondevamo sempre con 1-2 massimo 3 fogli, che però sintetizzavano bene le nostre ragioni. L’attesa è stata lunga. La prima sentenza del tribunale dell’Euipo è arrivata dopo due anni. E ci ha dato ragione.

Avevate un piano B?

Sì, avevamo registrato un nuovo marchio, Ciaomanager, che è quello che utilizziamo adesso e che in verità preferiamo perché avendo allargato la nostra attività lavorando anche con gli hotel e strutture più organizzate, l’etichetta “bnb” cominciava a starci stretta. 

 

 

Ora c’è l’incognita del ricorso.

Non è ancora scaduto il termine per presentarlo, infatti. Siamo in attesa della prossima mossa della multinazionale, se ci sarà. Noi comunque siamo pronti ad andare avanti, fino alla fine. Il marchio Ciaobnb lo teniamo nel cassetto per il momento e non è detto che in futuro non lo riutilizzeremo. Non gliela daremo vinta ad Airbnb.

Dica la verità, vi ha fatto un bel po’ di pubblicità questa storia?

Molta, sì. La sentenza ci ha dato visibilità a livello nazionale e regionale. E avremmo potuto ottenerne anche di più se solo avessimo avuto migliori contatti con il circuito mediatico, perché la nostra storia, a differenza di tante altre, aveva meriti maggiori. Non sono frequenti i casi in cui una startup si difenda da una multinazionale senza gettare la spugna in partenza dato lo sbilanciamento di risorse a disposizione, e noi non solo l’abbiamo intrapresa quella battaglia ma l’abbiamo anche vinta, cosa alquanto rara. In ogni caso abbiamo ricevuto attenzione dai media anche solo con un nostro breve comunicato stampa, e il giorno dopo l’uscita della notizia abbiamo ricevuto 50 telefonate di hotel in tutta Italia che ci avevano scoperto grazie agli articoli apparsi sui giornali nazionali ed erano interessati a diventare nostri clienti. 

La lezione qui qual è?

Che non è sempre conveniente mettersi contro le “superpotenze”, lo si fa solo se si è pronti ad accettare anche la sconfitta. Se dovessi dare un consiglio a chi si trova nella mia stessa situazione sarebbe proprio quello di valutare bene tutti gli esiti possibili. 

Siamo stati invitati un mese fa in Slovenia come una tra le 150 startup più innovative a livello europeo, non mi sarebbe dispiaciuto essere invitato anche a qualche fiera italiana

Ma lei Airbnb lo usa ancora?

Da un paio d’anni non più. Non solo per via della causa ma perché mi serve oggettivamente meno rispetto a una volta. Ho stima e anche una certa invidia per il successo di Airbnb. Va detto che l’azienda ha avuto sicuramente più chance di farcela perché è nata in America, in Italia sarebbe stata chiusa nel giro di pochi giorni perché non rispettava determinate regole fiscali e burocratiche.

In paesi come la Francia di recente Airbnb è sotto tiro. La multinazionale viene poi spesso accusata di avere un “effetto drammatico sugli affitti” e di contribuire a trasformare centri storici e molti altri quartieri in parchi a tema turistici. 

Airbnb punta più sulla quantità che sulla qualità del turismo, è vero, ma non vorrei nemmeno accusarlo di colpe che non sono completamente sue. Airbnb prolifera in un terreno fertile in questo senso, credo piuttosto che la risposta seria a livello politico ed economico dovrebbe essere quella di non accanirsi contro la multinazionale ma di porre le condizioni perché altre realtà possano coprire quello spazio che oggi viene occupato proprio da Airbnb et similia. Lo sviluppo turistico viene spesso lasciato al caos più completo con conseguenti danni economici, sociali e ambientali. Ma un’altra strada è possibile, lo sviluppo sostenibile è possibile. E proprio di ciò stiamo parlando in questi giorni all’evento “Lion-app”, di cui siamo sponsor, e al quale partecipano più di 10 relatori, massimi esperti a livello internazionale di gestione manageriale e scientifica del turismo. 

Come lo vede il futuro sharing economy?

In evoluzione. Vedo una necessaria ristrutturazione della sharing economy in futuro, una maggiore professionalizzazione, perché l’opportunità economica che dà è indubbia ma occorre sviluppare determinate competenze e lo spazio per farlo c’è.

Ha parlato di invidia nei confronti Airbnb, ma l’invidia lei l’ha anche subita?

Sì, ma credo che faccia parte del gioco e non ne soffro, se fai un buon lavoro succede che qualcuno provi a metterti i bastoni tra le ruote, come è successo a noi, ma non per questo ci spaventiamo. Le dico una cosa: siamo stati invitati un mese fa in Slovenia come una tra le 150 startup più innovative a livello europeo, non mi sarebbe dispiaciuto essere invitato anche a qualche fiera italiana. A volte veniamo riconosciuti più all’estero che a casa propria e questo è davvero sconfortante.