Gesellschaft | cooperazione

Dal Guatemala a “Operation Daywork”

A Bolzano due rappresentanti dell'organizzazione guatemalteca ASOREMI, contro la violenza di genere e sulle comunità indigene. L'8 aprile l'action day degli studenti.
Azoremi, Operation Daywork
Foto: Salto.bz

Soggiorneranno una ventina di giorni in Sudtirolo le due ospiti dal Guatemala di Operation Daywork, l’organizzazione no-profit che organizza ogni anno una giornata di volontariato delle studentesse e degli studenti delle scuole superiori, con il compito di “promuovere cittadinanza attiva attraverso uno sguardo attento ai diritti umani”, sottolinea la coordinatrice Erica Barbieri nel corso di una conferenza stampa alla Biblioteca Culture del Mondo a Bolzano. Ogni anno Operation Daywork assegna un “Premio Diritti Umani”, scegliendo tra una ventina di candidati. “Progetti degni di questo premio, che non godono di altri finanziamenti (ad esempio dalle Nazioni Unite) e nei quali Operation Daywork può fare la differenza, supportandoli in relazione al territorio locale”.

Quest’anno la scelta è ricaduta su ASOREMI, l’Asociación Red Organizaciones de Mujeres Ixhiles formata da nove organizzazioni di donne, difensore dei diritti umani e impegnate nella prevenzione alla violenza di genere, le quali operano nella regione ixil, nel dipartimento guatemalteco di Quiché. E dal Guatemala sono arrivate a Bolzano Elena Guzaro Raymundo e Cristina Raymundo Rivera.

 

 

Doppia discriminazione

 

Cristina è coordinatrice del progetto di “Defensoria de la Mujer”: “L’associazione ha trattato 5000 casi di violenza di genere tra il 2010 e il 2021, solo una parte dei molti episodi nel paese, aumentati nel corso della pandemia”, spiega. “Molti di questi casi non vengono riconosciuti o vengono banalizzati dalla giustizia”. L’obiettivo finale dell’associazione è il benessere delle donne, offrendo loro un appoggio per consentire l’accesso agli organi di giustizia, nonostante lo stato corruttivo e manipolatorio in cui versano i tribunali. “Offriamo un’attenzione e un’assistenza integrali, ad esempio a potersi esprimere nella propria lingua indigena, o a evitare la vittimizzazione e colpevolizzazione delle donne da parte dei giudici”. Si tratta di accompagnare le vittime di violenza e offrire assistenza e supporto psicologico, dentro un lungo percorso di ricerca della giustizia e di fuoriuscita dalla violenza di genere ed etnica.

“Cerchiamo di farle sentire amate: non sono sole, siamo tante.”

Elena è la rappresentante legale della rete, che coinvolge 354 donne su 9 organizzazioni. “Ci siamo unite perché un’organizzazione sola non bastava, insieme abbiamo un’advocacy più incisiva”, racconta. Un compito svolto per sopperire alle mancanze della giustizia in Guatemala: “Non è il nostro lavoro, fare giustizia, sarebbe compito dello Stato”. Le stesse donne impegnate nella rete hanno sofferto sulla propria pelle la violenza fisica e mentale, “sanno quanto è costata loro la spirale della violenza e perciò vedono la sofferenza e sentono la necessità di intervenire. Accompagnare e farsi accompagnare consente di prendere atto del proprio stato, aiuta a riflettere: è un mutuo aiuto, parte di un processo continuo di apprendimento”. La rete si è formata attorno a un fondo di microcredito nelle comunità. Oltre a una vita libera per le donne, si lavora anche alla loro indipendenza economica. Non viene dunque offerto solo un alloggio temporaneo o un supporto psicologico - “un sostegno emotivo dopo un distacco spesso traumatico dalla famiglia” - ma anche l’inserimento in attività economiche per imparare un mestiere oltre “la gabbia” del lavoro di cura: vi sono corsi di formazione, laboratori di cucito o per produrre shampoo, creme o pomate.

 

Bilinguismo e costumi

 

Il bilinguismo è infine un fattore che contraddistingue le comunità indigene del Guatemala, con una lotta costante per rivendicare la propria identità. “Soprattutto dopo il genocidio ai danni delle popolazioni indigene nei 36 anni di guerra civile, durante la quale le donne con il vestito tradizionale erano additate come guerrigliere”. Vestiti tessuti a mano, dai colori sgargianti, che rappresentano però ancora un fattore di discriminazione nelle aree urbane. “Portare il costume oggi significa per noi recuperare forza e dignità” sostengono le due attiviste.

Con Operation Daywork verranno raccolti fondi per costruire un piano in più alla sede della rete, così da rendere più facile ospitare a lungo le donne che chiederanno un appoggio, ricorda Marielena Rizzi Daldoss, presidente del board dell’organizzazione non-profit altoatesina. La giornata di azione si svolgerà l’8 aprile: gli studenti scambieranno un giorno di scuola con un giorno di lavoro, rinunciando al compenso che verrà donato in beneficienza dal datore di lavoro all’associazione vincitrice del premio. Nel 2019 furono raccolti 20mila euro.