Gesellschaft | violenza sulle donne

Non solo l'otto marzo

Dagli abusi economici alla narrazione socio-culturale, la violenza sulle donne assume molte forme: intervista a Elena Biaggioni, avvocata penalista.
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Foto: (c) unsplash

Da qualche anno l’otto marzo è tornato ad essere un giorno di riflessione sulla condizione della donna nella società. Istituita inizialmente come data per analizzare progressi e problemi, nei decenni aveva abbandonato l’originaria impostazione, perdendosi in inutili celebrazioni stantie. Dedicare una giornata specifica alla discussione sul tema, per catalizzare l’attenzione dell’opinione pubblica, rappresenta un importante momento di riflessione generale, nonostante il dibattito sulla condizione femminile non dovrebbe essere un esercizio relegato solamente ad un giorno del calendario. Le discriminazioni infatti sono numerose e assumono caratteristiche diverse.

Uno degli ambiti in cui la disparità di genere è particolarmente profonda riguarda il settore dell’occupazione: in Italia le donne lavorano meno degli uomini, hanno stipendi più bassi e sono spesso costrette a lasciare il mercato del lavoro. Tutto questo provoca una sudditanza economica che incide fortemente nel rapporto tra coniugi, con forti ripercussioni in caso di scioglimento della coppia, fino ad arrivare ad una diversa forma di violenza: la violenza economica. Ne discutiamo con Elena Biaggioni, avvocata penalista, Componente della rete delle avvocate di D.i.Re Donne in rete contro la violenza e Co-Delegate a WAVE (Women against violence Europe), la rete europea di centri antiviolenza, case rifugio, organizzazioni attive contro la violenza maschile sulle donne.

Salto.bz: Dottoressa Biaggioni, la violenza economica è una delle forme meno conosciute di violenza, ma è davvero così difficile da individuare? 

Elena Biaggioni: Si tratta di una forma di violenza che si interseca con le altre. Rappresenta  un modo per mortificare ulteriormente la partner e aumentare la dipendenza delle donne, non si parla solo di una subordinazione legata alla minore capacità di spesa quotidiana, ma anche alla volontà di vincolare le donne attraverso la firma di fideiussioni, garanzie o debiti che peseranno poi come un ricatto sulla possibilità di allontanare definitivamente il compagno. Purtroppo c’è una diffusa ignoranza degli strumenti finanziari, che non permette di riconoscere i possibili aspetti abusanti della gestione economica, come l’accesso al conto corrente in comune o il controllo dell’uso del denaro. 

In Italia il welfare si basa sul lavoro gratuito delle donne, è un lavoro senza costi, che non pesa sulla spesa pensionistica, permette di non investire sui servizi statali ma che per le donne ha un costo altissimo: se dopo molto tempo senza un impiego o dopo anni di part-time, una donna deve confrontarsi con il mercato del lavoro, non potrà far valere gli anni passati ad occuparsi della famiglia come esperienza lavorativa, questo minerà non solo la possibilità di trovare un’occupazione, ma anche la possibilità di fare carriera

La minore capacità economica dipende dalla visione socio-culturale del ruolo femminile, che si riflette negli strumenti del mercato del lavoro…

In Italia il welfare si basa sul lavoro gratuito delle donne, è un lavoro senza costi, che non pesa sulla spesa pensionistica, permette di non investire sui servizi statali ma che per le donne ha un costo altissimo: se dopo molto tempo senza un impiego o dopo anni di part-time, una donna deve confrontarsi con il mercato del lavoro, non potrà far valere gli anni passati ad occuparsi della famiglia come esperienza lavorativa, questo minerà non solo la possibilità di trovare un’occupazione, ma anche la possibilità di fare carriera. Gli anni dedicati dalle donne alla gestione familiare hanno nel frattempo permesso al coniuge di progredire in ambito lavorativo, creando uno squilibrio di mezzi. 

Quanto contano nella narrazione generale gli stereotipi di genere? 

Come ci ha ricordato l’ISTAT in una ricerca, gli stereotipi sono ancora un problema enorme nell’immaginario collettivo, l’idea della donna “approfittatrice” che vuole servirsi del marito e della propria condizione matrimoniale ne è un esempio. Nonostante i dati smentiscano questa versione, fanno notizia i grandi accordi sugli assegni di mantenimento, ma bisogna ricordare che questi riguardano soprattutto persone dai redditi molto alti e non descrivono la maggioranza della popolazione. Anche in Alto-Adige invece, capita spesso che sia la Provincia ad anticipare l’assegno per il mantenimento dei figli, non versato, nella maggior parte dei casi, proprio dai padri. 

Gli stereotipi di genere hanno ricadute anche su come vengono raccontate le violenze, come nel caso dell’errata locuzione Revenge Porn…

La definizione corretta è diffusione non consensuale, di materiale video e fotografico avente contenuto sessualmente esplicito. Il termine Revenge Porn andrebbe eliminato: l’idea di vendetta è sbagliata, perché sembra suggerire una reazione ad un torto subito e giustificare, quindi, l’azione. In realtà la diffusione di queste immagini diventa un’esibizione di virilità, un atto di vanagloria, oppure una ritorsione per la decisione della partner di terminare la relazione. Inoltre non tutto il nudo è pornografia, ma con il termine Porn si tende a ipersessualizzare comportamenti naturali all’interno di una relazione per far apparire la donna come una prostituta.  

Un ulteriore bias che ancora resiste è quello della madre rancorosa e vendicatrice, da questo stereotipo trae origine la PAS (sindrome di alienazione parentale o della madre malevola), che nonostante non abbia basi scientifiche e non trovi conferme in ambito psicologico è comunque usata in sede di affidamento dei figli…

Rappresenta l’etichetta perfetta della madre vendicativa, che vuole rivalersi sul padre attraverso i figli. Il ricorso alla PAS in modo esplicito è meno diffuso di un tempo, ma emergono sempre riferimenti nascosti, nuove denominazioni, che celano però la stessa base: si parla, per esempio, di condotte alienanti, che rappresentano insinuazioni striscianti e pericolosissime per le donne che denunciano le violenze. Eppure, anche la Corte di Cassazione ha confermato che si tratta di una teoria priva di fondamento, posizione ribadita dal GREVIO  (Organismo indipendente del Consiglio d’Europa che monitora l’applicazione della Convenzione di Istanbul in tutti i paesi che l’hanno ratificata) e dal Protocollo di Napoli. Si tratta però di una situazione complessa, perché il comportamento della madre è costantemente sotto la lente d’ingrandimento, ogni piccolo gesto viene osservato e giudicato, mentre non si ascolta il disagio dei figli e non si indagano i motivi per i quali questi non vogliono vedere il padre: il più delle volte ci si limita a registrare il malessere, senza analizzare le ragioni alla base, che spesso nascondo abusi e violenze.  

 

 

I pregiudizi pesano anche sulla scelta delle donne di intraprendere o meno un percorso in tribunale? 

Nel caso dei reati di violenza di genere c’è sempre un pregiudizio iniziale che indaga i comportamenti o gli atteggiamenti della vittima. In caso di rapina difficilmente si chiederebbe al rapinato il motivo per il quale ha indossato un orologio costoso per andare a lavoro, provocando così il ladro, mentre le vittime di stalking o stupro finiscono sempre sotto osservazione. Proprio per eliminare il fenomeno le convenzioni internazionali hanno incluso questi stereotipi tra le motivazioni che limitano l’accesso alla giustizia, invitando gli Stati a prendere provvedimenti. 

Gli strumenti giuridici sono sufficienti? 

Abbiamo a disposizione diversi strumenti tecnico-giuridici, il problema è la capacità di saper riconoscere la violenza, non solo in caso di bias culturali. Individuare il rischio di escalation, di reiterazione degli abusi o delle violenze e applicare, di conseguenza, le misure necessarie dipende dalla valutazione del giudice.

Quanto influisce nel processo la capacità economica della ricorrente? 

Bisogna distinguere tra processo penale e civile. In sede penale il gratuito patrocinio è previsto per tutte le vittime di maltrattamenti in famiglia, violenze sessuali, atti persecutori, mentre in sede civile il gratuito patrocinio è soggetto alla dichiarazione del proprio reddito, che deve essere di circa 12 mila euro annui. Un limite molto basso, che incide non solo sulla possibilità di difesa, ma anche sulla capacità di pagare i consulenti, sempre più diffusi e richiesti nel processo civile. 

Ci sono dei fondi per accogliere e aiutare le vittime di violenza? 

Ci sono varie iniziative, legate soprattutto alle case rifugio che non si limitano ad ospitare le donne nell’immediatezza, ma lavorano sull’empowerment femminile. Di recente poi è stato istituito un fondo per aiutare le donne che hanno intrapreso un percorso di uscita dalla violenza, tutti questi progetti sono di vitale importanza per consentire alle donne di ritrovare il loro posto nella società e offrire loro opportunità lavorative.