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"All'inizio venivo espulso io"

Allenatore del GS Excelsior da 13 anni, Stefano Petrera racconta l’importanza dell’inclusione e del fair play. "Quante emozioni, allenando questa squadra".
stefano petrera excelsior
Foto: Gs Excelsior

Sono 15 le vittorie nella coppa disciplina per il G.S. Excelsior, che dal 2001 è la squadra più corretta del campionato di terza categoria della  F.I.G.C. per la provincia autonoma di Bolzano. L’Excelsior nei giorni scorsi si è reso ancora una volta protagonista in positivo, questa volta fuori dal campo con “WeFairPlay”, iniziativa che celebra gli esempi più virtuosi di lealtà e correttezza nello sport. Durante questa prima edizione sono emersi i veri valori della squadra, che oltre a mettercela tutta sul campo da gioco, si impegna in favore dell’inclusione sociale attraverso lo sport. Vige infatti all’interno della squadra la regola di accogliere ogni calciatore e garantire a tutti lo stesso minutaggio, indipendentemente dal talento. 

Con sole 4 vittorie per un totale di 397 partite disputate l’Excelsior è anche conosciuta per essere una delle squadre più perdenti d’Italia, forse d’Europa. Nonostante i risultati tutt’altro che positivi a livello calcistico, i ragazzi dell’Excelsior sono contenti alla fine di ogni partita. Risulta forse difficile capire come ciò sia possibile, ma la spiegazione arriva direttamente dall’allenatore Stefano Petrera, che da anni ormai accompagna la squadra verso un obbiettivo chiaro: la coppa disciplina.

Salto.bz: Come ha conosciuto il G.S. Excelsior e da quanto tempo allena la squadra?

Stefano Petrera: L'ho conosciuta nei primi anni in cui ho iniziato a giocare. Al lunedì, quando uscivano i risultati sul giornale, saltava all’occhio il nome di una squadra che prendeva sempre tantissimi gol. Dunque andavo sempre a vedere il risultato. Successivamente sono entrato a far parte dello staff tecnico per caso, tramite Massimo Antonino (dirigente sportivo) e mio cognato, che hanno cercato di convincermi per un’estate intera. Inizialmente dovevo dargli una mano solo per il girone di andata perché volevo prendermi una pausa, invece sono 13 anni che sono all’Excelsior.

Quali emozioni prova ad allenare la squadra che più si impegna in favore dell'inclusione sociale attraverso lo sport?

Ogni volta che si entra in spogliatoio avverto qualcosa di diverso, perché si creano delle dinamiche che ti fanno proprio venire voglia di uscire di casa e andare al campo. Prima di tutte le partite si parte con entusiasmo e la convinzione di poter far bene, essendo il risultato iniziale sempre 0-0. Dopo, in base alle cose che accadono durante la partita, le emozioni diventano più intense oppure cambiano in continuazione. A volte ci si arrabbia e altre volte invece si è soddisfatti della prestazione. L'importante è che i ragazzi diano il meglio di sé stessi, infatti mettere in difficoltà, anche per un breve periodo la squadra avversaria è una delle soddisfazioni più grandi dal punto di vista sia sportivo che emotivo.

 

Cosa ha imparato a livello personale da questa esperienza?

All’inizio è stato un po’ difficile calarmi nella parte e sentirmi parte integrante del progetto, soprattutto dal punto di vista del fair play. Infatti nel mio primo anno con la squadra non abbiamo vinto la Coppa disciplina, soprattutto per i cartellini gialli e rossi che ho preso. Oltre che allenatore ero anche calciatore all’epoca, quindi ho trovato difficoltà ad ambientarmi. Poi piano piano ho capito il vero obbiettivo del progetto e l’importanza del lavoro svolto da coloro che mi avevano preceduto nell’incarico. Ho iniziato a capire veramente il ruolo fondamentale che gioca la correttezza all’interno dello sport.

Il legame che c'è tra lei e i suoi giocatori è strettamente calcistico o va oltre al campo da gioco?

Sia io che il mio collega ci cambiamo nello stesso spogliatoio dei ragazzi, anche se ci è stato chiesto più volte se avessimo bisogno di uno spogliatoio a parte per lo staff. Questa è una prova chiara che il legame con i giocatori non si limita al campo da gioco. Credo che una squadra di calcio debba avere come primo obbiettivo quello di fare gruppo, e quale luogo per riuscire nell’intento se non lo spogliatoio? Poi è chiaro che la mia figura è quella di allenatore, quindi vengo seguito con rispetto.

Cosa la spinge ad allenare una squadra che difficilmente arriva alla vittoria?

Prima di tutto la voglia che ci mettono i ragazzi, che pur avendo poche possibilità di vittoria provano ogni volta a raggiungere un risultato positivo. Poi la consapevolezza che un giorno le coincidenze astrali possono essere favorevoli, come successo poche volte, e strappare una vittoria agli avversari. Come ho sempre detto, si parte sullo 0-0. A volte capita, come la scorsa domenica, che dopo 15 secondi si è sotto 1-0 (ride). Ovvio che non faccia piacere perdere, però bisogna capire come si perde la partita. Se ognuno di noi ha dato il massimo e poi si perde, vuol dire che gli avversari sono stati più bravi e hanno meritato di vincere.

 

Quali sono le maggiori differenze che ha trovato tra i giocatori dell’Excelsior e quelli di altre società calcistiche nella sua esperienza da allenatore?

Mi è capitato di allenare una squadra costruita per vincere. Ma quando le cose non  andavano come ci si era prefissati lo spogliatoio iniziava un po’ a “scricchiolare”, soprattutto quando venivano fuori discorsi sugli ingaggi dei giocatori. Lì poi si perde lo spirito dello sport, cosa che difficilmente accade all’Excelsior.

Crede che in futuro nasceranno altre società calcistiche con lo stesso obiettivo di inclusione, parità e fair play come il G.S. Excelsior?

Me lo auguro, perché da quando sono qui ho imparato tante cose, soprattutto dai ragazzi, con problematiche e passati differenti. Ho allenato anche ragazzi rifugiati politici che avevano delle storie alle spalle terribili e che nell’Excelsior hanno trovato una possibilità di riscatto. Questo tipo di testimonianze riescono a farti riflettere. Spesso non si pensa a quanto si è fortunati nella vita e a cosa la stessa possa riservarti da un momento all’altro.