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“Galera, non carcere”

Più del 60% dei detenuti della casa circondariale di Bolzano è stato vaccinato contro il Covid-19, ma il prezzo che continuano a pagare è ancora alto.
Carcere
Foto: upi

Cedimenti strutturali, con pavimenti che crollano e celle che pendono verso il basso “come se il carcere stesse collassando su se stesso”, sporcizia, acqua fredda, sovraffollamento e criticità nella messa in atto di misure volte al contenimento epidemiologico. Così Gabriele, ex detenuto della casa circondariale di Bolzano, lo scorso 11 febbraio ha denunciato ai microfoni di Radio Carcere, la rubrica di Riccardo Arena ospitata sulle frequenze di Radio Radicale, le condizioni di detenzione durante le fasi più critiche della gestione pandemica all’interno delle mura carcerarie del capoluogo altoatesino.

“Ci veniva fornita una mascherina usa e getta, che assomigliava più a un panno Swiffer che a un dispositivo sanitario, solamente una volta al mese - sostiene l’ex detenuto durante l’intervista -. Il mio sconto di pena è stato esclusivamente di tipo punitivo, di cui ho ancora gli incubi. Sono stato condannato all’ozio senza alcun tipo di percorso riabilitativo. Conclusa la detenzione, si ha paura della libertà, che assume i contorni di una nuova prigione. A Bolzano non si può parlare di carcere, ma di galera”.

 

Le criticità dell’istituto penitenziario sono state confermate a più riprese, fra gli altri dall’associazione Antigone che a tal proposito dichiara: “La manutenzione è scarsa in quanto l'edificio è molto vecchio. È difficile stabilire quali siano le sezioni più critiche perché, dalle celle alle sale comuni, dai bagni (uno per stanza, solo wc) alle docce, sarebbero da rifare completamente” e per quanto riguarda i diritti di socializzazione l’associazione informa che “sono presenti una sala al primo piano, nella quale è presente un calcetto. La stanza è molto piccola e non garantisce la possibilità di frequentazione per tutti i detenuti del piano. Ci sono due palestre, posizionate una al primo piano e una al secondo, anch'esse molto piccole con la presenza di attrezzature obsolete e maltenute”.

Conclusa la detenzione, si ha paura della libertà, che assume i contorni di una nuova prigione. A Bolzano non si può parlare di carcere, ma di galera (Gabriele, ex detenuto)

 

“Vaccinato il 60% dei detenuti”

 

Pur confermando le iniziali difficoltà nella gestione pandemica all’interno della casa circondariale di Bolzano, secondo quanto riferito a salto.bz da Angelo Polo, avvocato e vicepresidente dell’Unione Camere Penali di Bolzano, e dall’avvocata Amanda Cheneri, responsabile territoriale dell’Osservatorio Carceri, sul fronte della gestione contagi si sarebbe assistito a un progressivo miglioramento rispetto al primo lockdown. Stando ai dati forniti alla nostra testata (aggiornati alla seconda metà di marzo), la totalità del personale carcerario, dalla polizia penitenziaria agli educatori, sarebbe stato già vaccinato mentre su 105 detenuti più di sessanta coloro che risulterebbero immunizzati. Per quanto riguarda la gestione dei nuovi ingressi, i neoarrivati, affermano i giuristi, verrebbero sottoposti a tampone rapido a cui, in caso di negatività, verrebbero nuovamente sottoposti dopo cinque giorni di isolamento prima di entrare in contatto con i detenuti comuni. Oltre a ciò, per scongiurare il rischio di proliferazione dei contagi, sarebbe stata istituita anche una sezione speciale riservata ai detenuti in semilibertà, che attualmente oscillano tra le dieci e le venti unità.

 

“Il diritto all’affettività non può essere cancellato”

 

A prendere parola contro il brusco stop ai colloqui con i famigliari dei detenuti ci ha pensato lo scorso marzo la sezione nazionale dell'Unione Camere Penali: “Il provveditorato regionale per il Veneto, Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto Adige - si legge in una nota -, ha raccomandato ai direttori degli istituti penitenziari del distretto interregionale di ‘non dare corso alla richiesta di prenotazione del colloquio’ per i familiari di detenuti provenienti da regioni contrassegnate dal colore rosso o arancione. Francamente risulta davvero paradossale - continua la nota - che un’indicazione pubblicata su un sito web possa costituire norma positiva in grado di escludere la visita al congiunto detenuto dai casi di cd ‘necessità’, previsti dal D.L. 19/2020, convertito in L. 35/2020, che giustificano gli spostamenti tra regioni o tra comuni della stessa regione”.

Un atteggiamento estorsivo, totalmente da stigmatizzare (Angelo Polo)


“Si è creata una situazione paradossale - afferma Polo -, per i poliziotti addetti ai controlli stradali lo spostamento della persona verso il luogo di detenzione del parente in quella sede di accertamento aveva tutti gli elementi per poter essere giustificato ma, su mandato del Provveditorato, il carcere non li avrebbe potuti accettare ed erano per questo a rischio segnalazione: un atteggiamento estorsivo, totalmente da stigmatizzare che ha destato allarme negli ambienti dell’avvocatura penalista associata. Fortunatamente - aggiunge l’avvocato - non mi sembra che sul nostro territorio, per via della peculiare composizione della popolazione carceraria, si siano registrati casi che abbiano raggiunto livelli tali di gravità”.
Dopo diverse difficoltà tecniche, a partire dalla reperibilità di dispositivi elettronici adatti, anche il carcere di Bolzano è riuscito gradualmente ad adeguarsi ai colloqui virtuali (sebbene siano solamente due i computer a disposizione dei detenuti, di cui uno consegnato dalla stessa Camera Penale di Bolzano in seguito alla donazione di un privato).


Oltre il Covid-19. Quale diritto alla salute?

 

Tanto la testimonianza dell’ex detenuto Gabriele (“le cure? Paracetamolo e Ibuprofene, qualunque sia il tuo male”) quanto diversi altri rapporti, tra cui quello dell’associazione Antigone (“è presente un'infermeria molto piccola e poco attrezzata. Ci sono alcune difficoltà nella reperibilità dei farmaci che servono ai detenuti”), evidenziano che il carcere di Bolzano mostra le proprie falle anche nel campo della tutela del fondamentale diritto alla salute dei detenuti. “L’infermeria è piccola e spesso ci sono difficoltà di diversa natura per quanto concerne l’immediata reperibilità dei farmaci adeguati alle specifiche esigenze dei singoli - insiste l’avvocato Polo - ma la fortuna di trovarsi nelle immediate vicinanze di un ospedale ha fatto sì che non si fossero mai verificati episodi in cui il detenuto non abbia fatto in tempo a ricevere le cure urgenti del caso”.
Altre problematiche vengono invece riscontrate nella gestione delle tossicodipendenze nonché nel campo delle somministrazioni delle terapie psicofarmacologiche.


“In carcere il 70% dei detenuti ha problemi di tossicodipendenza, ma non tutti vengono dichiarati inizialmente come persone affette da dipendenza - specifica invece l’avvocata Amanda Chenesi -. Nonostante l’attenzione del medico del carcere esse si trovano quindi a soffrire nei giorni post arresto di pesanti crisi di astinenza, che vengono a loro volta trattate con calmanti senza che vi sia la possibilità attraverso il Serd di cominciare una terapia sostitutiva con il metadone”.

Secondo Antigone, il numero di tossicodipendenti attualmente in trattamento ammonta a quota 49 e 50 sarebbero coloro a cui è stata prescritta una terapia psichiatrica. Sul rischio che l’uso di psicofarmaci possa sfociare in un vero e proprio abuso funzionale a rendere più mansueti i detenuti, interviene nuovamente l’avvocato Polo: “Ci sono persone che assumevano già una terapia psicofarmacologica ancora prima dell’entrata. Per quanto riguarda il possibile abuso di psicofarmaci si tratta di una cosa che ho appreso indirettamente da altri psichiatri nell’ambito di perizie all’interno di procedimenti penali. È un pour parler ma dicono che sia un fatto noto e risaputo che ci sia un abuso di tali prescrizioni, soprattutto benzodiazepine”.

 


Camere di sicurezza: perchè non vengono utilizzate?

 

Nonostante il sempreverde problema del sovraffollamento carcerario le camere di sicurezza presenti presso polizia e carabinieri a Bolzano non vengono nemmeno utilizzate.

Questo significa che la casa circondariale è costretta a fare la visita medica, il tampone, l’immatricolazione, il conto corrente, tutto il ciclo di osservazione iniziale, disporre la scorta fino al tribunale: il tutto per vedersi liberati dopo 48 ore (Polo e Chenesi)

Quello che accade invece, sostengono Polo e Chenesi, è che quando una persona arrestata in flagranza di un piccolo reato (dal furto di una bicicletta al possesso di qualche decina di grammi di hashish), nonostante la certezza pressoché totale di rilascio nel giro di 48 ore in sede di convalida, il soggetto viene comunque condotto in carcere: “Questo significa che la casa circondariale è costretta a fare la visita medica, il tampone, l’immatricolazione, il conto corrente, tutto il ciclo di osservazione iniziale, disporre la scorta fino al tribunale: il tutto per vedersi liberati dopo 48 ore - spiegano i due avvocati -. L’alternativa che offre la legge sono le camere di sicurezza presenti presso le caserme di polizia e carabinieri che in tutta Italia funzionano e da noi non vengono minimamente utilizzate. Senza contare che le persone sono costrette a vivere il dramma di due notti in un istituto penitenziario, un dispendio di risorse che dovrebbe essere canalizzato altrove. Ma questo non avviene - continuano - perché poi diventa responsabilità di chi fa l’arresto. Tutto questo è scandaloso”.

 

“Il problema è politico”

 

Sorte non migliore per il nuovo carcere, la cui ipotetica costruzione si trascina da molti anni, tra appalti bloccati e ditte fallite: “Anche qui siamo davanti a un paradosso - enfatizza Polo -. Con la scusa della costruzione del nuovo carcere hanno bloccato qualsiasi intervento di miglioria di quello attuale, vecchio e assolutamente non idoneo ad ospitare la popolazione carceraria. Come se non bastasse ai detenuti sono stati sottratti gli spazi comuni, minando il diritto di socializzazione, per ricavarne celle funzionali al rispetto delle misure di contenimento. Le celle in cui vivono però non rispettano nemmeno i limiti dei 3 metri quadri. Avrebbero deciso di costruire il carcere nuovo ma quello che hanno fatto è stato semplicemente chiudere i rubinetti dei finanziamenti. Il problema è politico. Si sta ancora litigando sulla permuta, ma dalla classe politica locale si è sollevato il timore che un carcere di 400 posti potesse aprire alla possibilità di ospitare anche detenuti del 41 bis e condannati per reati di mafia, con il conseguente trasferimento sul territorio delle loro famiglie. Ad ogni modo - conclude l’avvocato - questa situazione non è dignitosa né per la cittadinanza né per lo Stato”.