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Quale energia nel 2030?

In fase di consultazione la Strategia energetica nazionale, che definisce l'impegno del governo per la decarbonizzazione della società. Troppo timido sul fronte del gas.
SEN
Foto: upi

Un documento, in fase di consultazione fino al prossimo 31 agosto sul sito del ministero dello Sviluppo economico, rappresenta la misura dell'impegno dell'Italia sul fronte del contenimento dei cambiamenti climatici: la Strategia energetica nazionale (SEN) 2017 è frutto di lavoro di due ministeri (ha contribuito anche quello dell'Ambiente), che hanno "l'ambizione di coinvolgere, in piena trasparenza di processo, tutti gli organi istituzionali competenti, le imprese, gli esperti e i cittadini" nella definizione delle misure per la "decarbonizzazione" del Paese.

La SEN indica obiettivi concreti per quanto riguarda la produzione di energia da fonti rinnovabili: le elettriche dovrebbero arrivare nel 2030 al 48–50%, rispetto al 33,5% del 2015; le termiche al 28–30% rispetto al 19,2% del 2015. Per quanto riguarda il settore dei trasporti, invece, la penetrazione delle rinnovabili si dovrebbe fermare al 17%-19%, rispetto al 6,4% del 2015. Senz'altro, l'elemento più significativo è l'indicazione di una data (sempre il 2030) per lo spegnimento dell'ultimo impianto termoelettrico a carbone, una mossa che però non può essere vista come "lungimirante" perché -in realtà- segue ed accompagna le politiche industriali già avviate da tempo da alcuni tra i principali attori del mercato (ad esempio Enel, che ha già chiuso numerose centrali alimentare a carbone, cancellando progetti di revamping di altri impianti destinati a diventarlo).
 


Sin dall'introduzione firmata dai ministri Carlo Calenda e Gian Luca Galletti, però, la Strategia energetica nazionale mostra una falla. "Il gas dovrà svolgere un ruolo essenziale per la transizione, nella generazione elettrica, nella fornitura di servizi al mercato elettrico e negli altri usi, tra cui il GNL nei trasporti pesanti e marittimi" si spiega, aggiugendo che "perdurando un contesto geopolitico complesso, per salvaguardare la sicurezza degli approvvigionamenti saranno quindi messi in campo interventi per diversificare le rotte di provenienza, ed eliminare il gap di costo con gli altri Paesi europei". Il gas non è una fonte rinnovabile, e anzi uno studio pubblicato sulla prestigiosa rivista scientifica Nature nel gennaio del 2015 sottolineava come l'uomo dovesse evitare di estrarre tra il 2010 e il 2050 almeno il 50% delle riserva di gas già scoperte per poter sperare di mantenere l'aumento delle temperature media globali entro i 2 gradi centigradi.

Secondo Legambiente, "nella SEN molto precise sembrano solo le politiche e le strategie legate al rafforzamento dell’intera filiera del gas, da gasdotti e rigassificatori, alla metanizzazioni di intere porzioni di territorio, come nel caso della Sardegna. Attenti e dettagliati i piani di sviluppo descritti, gli scenari geopolitici possibili e le tante possibili strategie in nome della sicurezza degli approvigionamenti gas. Quasi tutti da luoghi che di stabile hanno poco. Un'attenzione che manca invece nella parte delle rinnovabili, dell’efficienza e della mobilità con obiettivi timidi e insufficienti e una scarsa valorizzazione di tutte le fonti rinnovabili". Secondo l'associazione ambientalista, sarebbero previste le modalità di finanziamento del “Piano Gas”, con molti investimenti per privati ma a rischio di venir pagate dalla bollette dei cittadini qualora gli impianti si rivelassero fallimentari (è già successo negli ultimi anni con il rigassificatore offshore al largo del porto di Livorno, OLT, largamente sottoutilizzato).

I motivi della timidezza di fronte alla "transizione" verso l'auto elettrica, da incentivare mediante contributi a fondo perduto per l'acquisto del mezzo e la realizzazione di una rete efficace di colonnine di ricarica, si possono invece ritrovare in una delle note del paragrafo dedicato al mercato petrolifero: "Le variazioni nella composizione della domanda di prodotti petroliferi avranno conseguenze anche sulle entrate fiscali derivanti dal settore, pari a circa 40 miliardi di euro all’anno, cioè l’86% del totale della tassazione sull’energia, pur con un peso del petrolio sul totale della domanda di energia del 35%".