Politik | L'intervista

“La vita è lotta e la lotta è vita”

Ieri a Bolzano la proiezione di “E tu come stai”, il film sulla protesta e il sogno possibile dei lavoratori Gkn di Firenze. L’intervista al regista Filippo Maria Gori.
E tu come stai?
Foto: Open Ddb
  • La data del 9 luglio 2021 ha segnato un capitolo fondamentale per i lavoratori della GKN Driveline dello stabilimento di Campi Bisenzio, a Firenze. In quella giornata, senza preavviso e senza alcuna crisi evidente, gli operai e gli impiegati hanno appreso la chiusura improvvisa della fabbrica, dietro la quale si celava una delocalizzazione spinta da interessi speculativi. La risposta di centinaia di lavoratori, incarnata nel Collettivo di Fabbrica, è stata immediata e irremovibile: occupare lo stabilimento, stabilendo un presidio per tutelarne la sicurezza e avviando una mobilitazione che ha coinvolto non solo il territorio locale ma anche altre realtà in tutto il paese. "Insorgiamo", il grido che rievoca il motto partigiano fiorentino, è diventato il loro inno e il motore della loro azione.
    Il percorso per la difesa dei propri diritti non è stato privo di ostacoli. Il Collettivo di Fabbrica ha dovuto fronteggiare un susseguirsi di difficoltà, lottando contro decisioni politiche e finanziarie imposte dall'alto. Ma, mano a mano che la lotta si intensificava, emergeva chiaramente che questa non rappresentava semplicemente un atto di resistenza contro una delocalizzazione, bensì una nuova prospettiva di vita. Solidarietà e reciprocità diventano i pilastri. È un momento di trasformazione sociale in cui la difesa dei diritti si fonde con una visione più ampia di comunità, cooperazione e supporto reciproco. La battaglia di Gkn esce dalla fabbrica, offrendo un esempio tangibile di come la forza collettiva e la cura reciproca possano trasformare la realtà, ispirando non solo altre lotte simili, ma un'intera comunità a esplorare nuovi paradigmi di solidarietà e impegno sociale.

    Una lotta che, grazie a Filippo Maria Gori e al padre Lorenzo, è diventata un film. “E tu come stai?” ripercorre la lunga protesta degli operai della Gkn, da un licenziamento ingiusto alla spinta per lottare e cambiare l’esistente.

  • (c) Openddb

  • Ieri, mercoledì 8 novembre, al Filmclub di Bolzano, alla prima proiezione nel capoluogo altoatesino organizzata da Climate Action assieme al regista Filippo Maria Gori, è seguita una tavola rotonda che ha messo insieme a discutere il mondo dell’ambientalismo a quello del lavoro, superando, proprio sull’esempio di Gkn, una contrapposizione imposta e sovvertibile solo con il confronto e l’organizzazione dal basso.

  • Filippo Maria Gori e il padre Lorenzo: I registi di "E tu come stai?" hanno raccontato in un documentario la protesta degli operai di Gkn di Firenze Foto: Opendbb
  • Salto: Gori, come è nata l’idea di questo film e la scelta particolare del titolo? Come è entrato in contatto, ed è stato accolto, contatto con il Collettivo di Fabbrica?

    Filippo Maria Gori: Durante quell'estate del 2021 non ero alla ricerca di una storia di militanza, di lotta, da raccontare. La notizia dell'improvvisa chiusura della GKN di Campi Bisenzio il 9 luglio mi colpì ben oltre il solito clamore a cui purtroppo, al di là delle nostre sensibilità, siamo soliti assuefarci quando le tragedie ci arrivano solo telematicamente. Non fu questo il caso per me. Campi Bisenzio, sul confine tra Firenze e Prato, la mia città, rientra nella cosiddetta Piana di Firenze-Prato-Pistoia che, al netto dei suoi colorati campanilismi, ho sempre considerato nel suo insieme come il mio territorio d'appartenenza. Più ne sto lontano, più mi rendo conto di quanto mi abbia forgiato. Al di là del mio caso, è importante focalizzare insieme le comunità di questo territorio per capire realmente come mai ancora oggi, dopo quasi 2 anni e mezzo di lotta, entrando in quella fabbrica è molto probabile che prima di un operaio ex-GKN tu possa incontrare uno studente, un lavoratore di altre realtà, un attivista per il clima o per la parità di genere, un artista, un insegnante; insomma, un cittadino della Piana. La "convergenza fra le lotte", fiore all'occhiello della teoria di lotta del Collettivo di Fabbrica ex-GKN, è qualcosa che si può realmente capire solo entrando in quello stabilimento finché sarà possibile, o meglio - per dirla come il Collettivo - "fino a che ce ne sarà". Quando perciò, dopo neanche due settimane da quel 9 luglio 2021, l'Istituto Ernesto de Martino, che si sarebbe poi configurato come co-produttore del film assieme all'Archivio Audiovisivo del Movimento Democratico e Operaio e a noi registi, mi ha chiesto se volessi cominciare a documentare per immagini quello che stava succedendo alla GKN, ho accettato.

    E poi cos’è successo?

    Ho chiesto dunque a mio padre Lorenzo Enrico Gori, giornalista e fotografo con una lunga esperienza d'inchiesta e racconto su vertenze sindacali dei metalmeccanici, di affiancarmi in questo lavoro e insieme abbiamo cominciato a recarci sempre più frequentemente in fabbrica. Le nostre camere non erano ovviamente le uniche, soprattutto in quelle prime settimane. Pur operando diversamente dai giornalisti presenti, abbiamo comunque voluto entrare in punta di piedi: non eravamo lì ancora per fare un film, ma solo per provare a capire cosa stesse succedendo. A distanza di più di due anni posso dire col senno di poi del film realizzato che non ci sarebbe stato modo migliore di cominciare il lavoro. Eravamo lì per capire come stessero quelle persone e ci siamo ritrovati a pensare invece a come stessimo noi. "422 posti di lavoro cancellati in una notte fanno un botto di rumore", ci dicevano, "ma che differenza c'è fra questi e la micro-ditta di pochi dipendenti che chiude? Che differenza c'è fra la sofferenza di un licenziato e quella di un precario, che magari, come i giornalisti ad esempio, lavora pure a cottimo?. Voi ci chiedete come stiamo, ma voi, voi come state?". Toccati fin nelle viscere da questo ribaltamento di prospettiva, in quel momento ho capito che una documentazione audiovisiva di quanto stesse accadendo non mi sarebbe bastata. C'era da fare un film e il titolo mi era già chiaro.

    Sapevo che sarei voluto uscire con una certezza narrativa e stilistica: un racconto puntuale della lotta, non per dovere di cronaca ma perché sicuro di star assistendo a qualcosa di inedito


    Che cosa volevate raccontare in particolare di questa storia? Il film è in linea con l’idea da cui eravate partiti o il contatto con una lotta epocale, e per molti versi inedita, vi ha portato a cambiare lo sguardo?

    Non essendoci rivolti a questa storia con uno sguardo preimpostato - se non dai nostri valori, dalle nostre appartenenze ed esperienze registiche/fotografiche - la linea del film ha potuto delinearsi in modo più spontaneo e naturale. Solitamente nella produzione di un film ci si prende un periodo da dedicare alla ricerca sul campo, familiarizzando con persone e ambienti senza necessariamente la presenza di camere e microfoni. In questo caso non era possibile: la realtà correva, con la lotta che si stava gonfiando sempre di più e noi che la rincorrevamo per cercare di capirla. Ricerca, elaborazione dei vissuti, riprese e scrittura del film si sono dunque sviluppate fin dall'inizio incastrate in un unico inesorabile groviglio dal quale, pur non sapendo ancora come, sapevo che sarei voluto uscire con una certezza narrativa e stilistica: un racconto puntuale della lotta, non per dovere di cronaca ma perché sicuro di star assistendo a qualcosa di inedito, realizzato col senso di una "presa diretta", dove gli spettatori avrebbero scoperto le svolte della vertenza assieme ai protagonisti del film, reagendo emotivamente con loro. Mi sembrava il miglior modo per raggiungere due obiettivi: fare da megafono alla lotta del Collettivo e creare un racconto con cui chiunque potesse empatizzare, non solo chi già conosceva e praticava la militanza. Ovviamente tutto questo non sarebbe stato possibile se fin dall'inizio non avessimo ricevuto da parte degli operai disponibilità e pieno accesso alla loro vita in assemblea permanente, dalle riunioni interne più delicate ai momenti più travagliati. L'accordo con loro, se così vogliamo chiamarlo, era chiaro: noi avremo filmato senza limiti, dunque avremmo rivisto insieme il montaggio una volta concluso affinché il Collettivo potesse accertarsi che in quel film sì, poteva riconoscersi. 

  • Un frame del film: "Il Collettivo di Fabbrica si è sempre dimostrato oltremodo consapevole che le lotte, e i rapporti di forza che le strutturano, si tengono anche sul piano della narrazione". Foto: Climate Action South Tyrol
  • Quanto è stato importante per gli operai riappropriarsi della propria narrazione collettiva?

    In una società come la nostra, dove siamo sempre pronti a scannarci per lo status della nostra immagine quando in realtà non facciamo altro che svenderla continuamente, accordare un simile assenso come quello dato dagli operai GKN a noi, allora due sconosciuti, è un gesto talmente eroico da rasentare quasi la follia; in una parola, dunque, rivoluzionario. Ma il Collettivo di Fabbrica si è sempre dimostrato oltremodo consapevole che le lotte, e i rapporti di forza che le strutturano, si tengono anche sul piano della narrazione. Anzi, che questo è quello decisivo nel definire la percezione che il mondo ha di te. E in un momento dove la chiusura in sé stessi, fosse individuale o collettiva dentro la fabbrica, sarebbe stata indiscutibilmente legittima, loro invece hanno deciso di aprirsi. Non avevano riaperto qui cancelli trovati serrati e sorvegliati da guardie private al soldo dell'azienda per chiuderseli alle spalle, bensì per lasciarli aperti a chi, dal loro punto di vista, era il legittimo titolare di quei 422 posti di lavoro: non loro come dipendenti, nè l'azienda, bensì il territorio. Generazioni su generazioni hanno potuto contare su quei posti di lavoro, così come il territorio ha dovuto confrontarsi anche morfologicamente con lo stravolgimento naturale di quelle zone. Non si prende e si scappa senza motivazioni, tanto più con l'inganno. All'assenza, al nulla usato come minaccia, gli operai hanno risposto con la presenza, in una quantità di sfaccettature inimmaginabile. Oltre al nostro film, su e con il Collettivo di Fabbrica è stato realizzato un folgorante spettacolo teatrale, sono stati scritti libri e testi di brani musicali. La scorsa primavera si è tenuto in fabbrica un Festival di Letteratura Working Class di caratura internazionale. E soprattutto, fin dall'inizio ingegneri, ricercatori, accademici, realtà finanziare e imprenditoriali autonome sono state chiamate a farsi "classe dirigente" e creare con gli operai un piano di reindustrializzazione concreto, ecologicamente avanzato e dunque innovativo per non arrendersi al nulla che si prospettava dall'alto per quello stabilimento, né ai piani di ripartenza farlocchi, ideati dalla nuova proprietà solamente per perdere tempo e indebolire la lotta, né alle speculazioni immobiliari che si intravedono oggi all'orizzonte. Insomma, tanta roba. Probabilmente troppa, dato il torpore generale del nostro paese. Ma si sa, come nel cinema, anche nelle vertenze sindacali vale l'assunto per cui "mostrare sia meglio che raccontare" se si vuole scuotere le coscienze.

    La lotta di Gkn dura da oltre due anni e ha saputo intrecciare la questione sociale a quella climatica. Quali sono state le tappe salienti di questo percorso?

    La convergenza tra questione sociale e climatica, così come le connessioni che questa lotta ha saputo tessere con ulteriori "questioni", era presente in modo programmatico fin dall'inizio della vertenza. Fin dalle prime interviste era emersa questa volontà attiva di intrecciare il proprio disagio per l'ingiustizia subita con l'attivismo per la difesa del pianeta. Dopo due anni e mezzo la fabbrica e il presidio hanno mutato più volte aspetto. C'è un elemento però che tutt'oggi si staglia nel piazzale davanti alla portineria, qualcosa che fin dall'inizio della lotta è stata messa lì e che, personalmente, ho sempre ritenuto come perno iconografico di tutta questa vicenda: una bicicletta incastonata sopra un'insegna della vecchia proprietà, GKN Automotive. Tutte le volte che torno in quella fabbrica lo sguardo si attarda sempre su quella bici. È come una fiaccola: finché sarà lì, la lotta sarà viva. In questi due anni e mezzo ho dunque visto metalmeccanici e ambientalisti insieme nei cortei a difendere un terreno, come quello di Coltano nel pisano, dalla proliferazione dell'edilizia bellica o a urlare, come a Firenze il 26 marzo 2022, che dobbiamo uscire dalla logica dell'emergenza ed entrare insieme in quella dell'urgenza; li ho visti agli stessi tavoli, a discutere su come far ripartire la produzione in fabbrica senza cadere nel rischio di prestarsi all'ennesimo green-washing; e, proprio in questi giorni, li ho visti insieme nelle strade di Campi Bisenzio a spalare via il fango di un'alluvione che è solo il volto della nostra nuova tragica normalità. Nel piano di reindustrializzazione del Collettivo e del suo Gruppo di Ricerca solidale la fabbrica dovrebbe dedicarsi alla produzione di cargo-bike e di pannelli fotovoltaici sostenibili realizzati senza utilizzo di terre rare. È mirabolante considerare tutte queste tappe nella loro progressione. Ma personalmente ritengo più efficace e  rincuorante ricondurre tutto questo a quella visione, anarchica e stupenda, di una bicicletta issata sull'insegna di un fabbrica di semiassi per automobili. Non a caso è una delle prime immagini del film.

    Il torpore di questo paese a cui prima alludevo è politico e istituzionale, non sociale

    Avendo visto la lotta di GKN così da vicino, pensi sia possibile per altre fabbriche seguire questo modello?

    Assolutamente sì. Il torpore di questo paese a cui prima alludevo è politico e istituzionale, non sociale. La lotta di GKN ha già fatto storia e quindi, per chiunque voglia, anche scuola. Si potrebbe pensare che tutte le iniziative sopraelencate, per non parlare delle altre, siano possibili solo se condotte da menti brillanti e spiriti incrollabili. Ecco, no. L'obiettivo che mi sono posto, rispetto al delineamento dei personaggi del film, era proprio quello di non costruire l'immagine stereotipata di guerriglieri senza macchia, bensì quello di mostrare un gruppo di persone del tutto ordinarie (qualunque cosa ciò possa mai significare) che si organizzano per reagire a una minaccia comune. Ritengo che la brillantezza d'ingegno, così come la forza d'animo, siano un qualcosa che ha a che fare più con la potenzialità che con l'esclusività. Non abbiamo idea della forza che abbiamo, nessuno di noi l'ha davvero. Forse perché la nostra scala delle priorità si è ormai completamente ingolfata. E forse anche perché, fra di noi, non ce lo diciamo abbastanza. Se l'occasione fa l'uomo ladro, allora può anche renderlo eroe. Spesso, non sempre, sta a lui scegliere.

    In questo momento GKN si trova a dover lottare per salvare i propri posti di lavoro e far fronte ai danni dell'alluvione sul proprio territorio. Qual è la situazione attuale e come si sta organizzando il Collettivo di Fabbrica?

    Il bollettino dal fronte della lotta non potrebbe essere più tragico attualmente.
    La proprietà subentrata al Fondo finanziario Melrose, la QF di Francesco Borgomeo attualmente in liquidazione, dopo più di un anno di inconsistenza ha riaperto la procedura di licenziamento a carico degli operai che non hanno ancora abbandonato la vertenza. Dal 1 gennaio, a meno di svolte epocali, saranno tutti licenziati definitivamente. Un insulto spietato, ignorante e subdolo. Chi mai potrà in futuro, in condizioni precarie analoghe, anche solo fare un terzo di quanto fatto da questo Collettivo di operai se tutto ciò avrà portato a un nulla di fatto? Se passano lì, continueranno a passare ovunque. Perciò, mai come ora, dobbiamo stare appiccicate e appiccicati a quella fabbrica, al Collettivo di Fabbrica ex-Gkn, all'Aps SOMS Insorgiamo, all'iniziativa di azionariato popolare con cui poter contribuire alla fattibilità della reindustrializzazione ideata dall'assemblea permanente. Ma non solo. Dopo l'alluvione che ha devastato Campi Bisenzio e molte altre zone della Piana (i quartieri di Prato di Santa Lucia e Figline; i paesi di Oste, Montale, Quarrata; i campi degli agricoltori, orti e stalle di animali, le fabbriche e le case di queste comunità), il Collettivo, dopo aver messo in sicurezza ancora una volta lo stabilimento, ha organizzato un coordinamento di volontarie e volontari per portare soccorso, braccia e assistenza alle tante, tantissime famiglie alluvionate. Ero con loro la scorsa domenica. Sapevo che vari operai ex-Gkn avevano direttamente subito gravi danni nelle loro dimore. Mi veniva in mente il finale di "Capitalism: a love story" dove Michael Moore, commentando alcune immagini della devastazione dell'uragano Katrina, si chiede come mai queste cose capitino sempre "a quelli che non hanno avuto la loro fetta di torta, perché gli altri se la sono presa tutta". Tuttavia, nessuno durante il concentramento in fabbrica prima della partenza ha parlato al megafono dei colleghi colpiti. A dir la verità in quel momento ho sentito davvero poco di quanto si diceva. La folla era troppo grande e tutti eravamo troppo impegnati a districarci in quel bosco di pale e scope. Gli operai che incontravo erano tutti intenti a organizzare il flusso di persone e ad assegnarci delle destinazioni, predisponendo la logistica per gli spostamenti e per la raccolta di attrezzature e beni di prima necessità. Ancora una volta, l'ennesima, questi operai non potevano che concepire la cura di sé se non come cura degli altri. Solo che ormai non serviva più stimolare, sensibilizzare, empatizzare col tema della convergenza. No, era azione pura. Le persone erano già lì, c'era da fare. Perché è solo nell'azione che possiamo trovare la pace, la stabilità e l'armonia che ognuno di noi agogna per una vita intera. Prima lo capiamo meglio è, altrimenti ci sarà sempre qualcun altro pronto a capirlo a discapito nostro. Perché la vita è lotta, e la lotta è vita.