Kultur | Salto Afternoon

Moreness

Il nuovo progetto editoriale di FranzLAB è di lunga durata: è uscito il primo numero della prima trilogia dedicata alla montagna.
moreness3.jpeg
Foto: Franziska Unterholzner

Dopo essere stata presentata a Milano, alla Feltrinelli, a Merano presso Kunst Meran/o Arte era la volta di Trento: la nuova rivista uscita dalle menti geniali di chi sta dietro a Franzmagazine si chiama Moreness, a Monograph of the State of Being More ossia, “una monografia sullo stato di essere di più”…

Il primo numero della Prima Trilogia ha come titolo Above the Tree Line, “Oltre il limite della vegetazione arborea”. Questo essere di più viene spiegato così nella comunicazione del nuovo progetto: “Da sempre la filosofia che connota il nostro il lavoro di ricerca e narrazione  del territorio montano è condensata nel concetto more than apples and cows. E dopo franzmagazine e JOSEF, oggi arricchiamo la nostro proposta editoriale con una nuova pubblicazione “on paper”, un ibrido tra magazine e libro che si pone l’obiettivo di investigare, esplicitare, amplificare e sostantivare il concetto di more than apples and cows. Da qui, il nome della testata: Moreness, termine inglese intraducibile che, letteralmente, significa the state of being more.” Appunto!

La prima trilogia è dedicata alla montagna, e per il primo numero – come abbiamo visto – si sale molto in alto. Si parla di Alpinismo culturale di Dolomiti Contemporanee, ma anche di Picco della conoscenza, di Cinema e Montagna e dell’Essere al momento giusto nel luogo giusto, da sempre
Curiosa è La piccola enciclopedia di Design in altezza, dove si elencano le invenzioni dell’asso degli sci Erwin Stricker e il debutto della produzione dell’Amaro Alpino negli anni trenta del Novecento.

Questa rivista in ogni caso è più di una rivista, contiene foto stupende in bianco e nero, dove la neve o le rocce appaiono quasi in maniera tridimensionale a forza di nitidezza e quantità di grana nella stampa, e ha un impianto grafico molto gradevole per l’occhio e anche per il tatto. La lettura è piacevole grazie a un font elegante e una impaginazione leggera che lascia tanti spazi ariosi nelle pagine, al contrario di altre pubblicazioni dove si trovano testi fitti fitti, tante lettere condensate in righe strette da risultare a volte silhouette nero-bianche da sorvolare piuttosto che da decifrare per comprenderne il significato espresso. Tutt’altro qui in Moreness, che infatti - a detta di Kunigunde Weissenegger e Anna Quinz, rispettivamente caporedattrice e direzione creativa - vuol essere un oggetto da sfogliare e da riprendere in mano continuamente e spesso, a tempo perso oppure per approfondire un sapere o semplicemente far viaggiare la mente. Come ad esempio nell’interessante contributo di apertura dedicato al cambiamento climatico.


Invece dei soliti ghiacciai in fase di scioglimento, Moreness propone qualcosa “di più”: un testo sulle origini marine delle Dolomiti dal titolo Terra Marique scritto da un biologo marino, Daniel Depellegrin. “Circa 250mila milioni di anni fa, le Dolomiti e un’ampia parte del Mare Adriatico del Nord erano parte del cosiddetto Thetys Oceano. Un mare tropicale antico che nella sua parte occidentale fu chiamato anche il Thetys Alpino”, leggiamo tra le stupefacenti immagini di ambienti sottomarini scattate da uno tra i migliori cameraman che si tuffa nelle acque profonde per portare a galla i suoi progetti, Michael Pitts. Le foto pubblicate su questo numero sono fermo-immagini tratte dal suo documentario Ocean’s Breath girato nelle atmosfere sospese della scogliera corallina attorno alle isole di Montserrat dalle parti delle Antille nel Mar dei Caraibi. Oltre la linea degli alberi per scendere al contempo oltre le barriere coralline, passare dalle montagne nate dall’acqua ai coralli che vivono sott’acqua, una altra forma di barriera che si alza dal profondo e che proprio nel confronto esprime al meglio la catastrofe che potrebbe arrivare a breve.

Un altro tema caro a chi va “oltre le mele e le mucche”, è lo sfruttamento eccessivo delle montagne e del paesaggio a favore del turismo: “Fare affari con le montagne” a cura di Verena Pliger. Scrive: “Le montagne altoatesine sono alte, ripide e aspre, ma ciò non ferma le imprese locali, anzi, la zona alpina stimola, mette le ali a chi vuole compiere imprese spesso un po’ folli…” Interessante è anche la parte che riguarda le costruzioni in alta montagna, i rifugi, con belle foto del progetto architettonico della Edelrauthütte di Leonhard Angerer di Bressanone, che nelle sue ricerche pone particolare attenzione ad architettura, paesaggi e vita sociale. Qui si parla dell’alpinismo “come cultura e forma di conoscenza”, un “conoscere che è anche un fare”, per cui si definisce l’alpinista come “colui che conosce agendo”. Qui il testo è a firma di Antonio de Rossi e Laura Mascino.

Dopo l’indice classico e lineare che elenca i singoli capitoli, si trova uno strumento tipico della nostra era digitale: una serie di hyperlink che legano gli articoli sparsi in percorsi tematici. Ne sono stati individuati 6: da uno che tocca punti fondamentali del già citato cambiamento climatico a un altro che parla dei protagonisti della montagna, dagli alpinisti agli sciatori, dai climber agli hiker. Dalla ricerca di emozioni e del sublime si passa al filo conduttore che tocca le memorie dell’infanzia, la nostalgia del passato. 12 numeri di pagine indicano riferimenti a un altro quesito base che si pone soprattutto quando si parla delle Dolomiti: quale vantaggio o svantaggio significa l’essere diventate Patrimonio universale dell’Umanità?

Le stratificazioni delle pietre sono un ottimo materiale di partenza per immagini astratte, se poi sono state anche riprese in luminosità particolari ne escono impressioni delicate, come veli di seta o fruscii di foglie seccate: la serie Mountain Abstract ci propone sette foto a tutta pagina di Marco Pietracupa, e accompagna l’intrigante testo poetico di Paolo Costa, Cambiare la vita in montagna. “Se il punto in cui ti immergi in un fiume è il presente, pensai allora il passato è l’acqua che ti ha superato, quella che va verso il basso e dove non c’è più niente per te, mentre il futuro è l’acqua che scende dall’alto, portando pericoli e sorprese. Il passato è a valle, il futuro a monte”.


Dieser stete Begleiter si chiama l’articolo proposto da Maria Oberrauch a fronte di una serie di foto dell’artista Martin Kippenberger (nato nel 1953 a Dortmund e morto nel 1997 a Vienna) – chi non ricorda la sua - per molti - “scandalosa” Rana all’inaugurazione del Museion nel 2008? – che lo rappresentano in abito grigio elegante con camicia bianca e cravatta in diverse pose in alta montagna (le foto sono di Johann Widauer e fanno parte del progetto Kippenberger in Tirol del 1994). “Quell’eterno compagno” nel caso di Oberrauch è lo zaino che la accompagna(va) nei suoi giri in montagna, a partire dalla sua giovane età. Come schede da infratesto l’autrice ha inserito alcuni brevi elenchi di singoli elementi che erano e sono all’interno dello zaino nelle differenti gite o di differenti persone in momenti storici differenti, come nei tempi antichi in quello di Ötzi, oppure cosa c’era in quello dei genitori quando lei era piccola, poi di una che fa lo ski fuori pista oggi giorno oppure cosa si portarono i partecipanti di una spedizione per scopi scientifici attorno al 1.800… Si identifica così a colpo d’occhio, essendo stampate queste schede-elenchi a caratteri molto più grandi, la lista che fornisce un’idea di che cosa poteva servire ieri e che cosa serve oggi, in alta montagna, che cosa si mise nello zaino colui che visse nell’era del rame e che cosa si porta colei che oggi scala le montagne d’inverno: dal contenitore in corteccia di betulla si è passati al thermos col tè caldo, dagli strumenti tecnologici del 1.800 come termometro, barometro o microscopio al cellulare con le diverse applicazioni per il meteo, le indicazioni delle rotte o gli avvertimenti di valanghe di neve…

Le silhouette rocciose nei colori sbiaditi del bianco e nero, nonché nelle tonalità delicatamente rosa, grigio-azzurre e bianche, che aprono e chiudono Above the Tree Line sono attribuite all’obiettivo di Martin Schgaguler, un fotografo che vive a Ginevra e crea le sue sofisticate foto di ampio formato grazie a un’acuta e intensa osservazione del suo habitat. Il progetto Saxum - di cui fanno parte le immagini pubblicate - si deve a una idea-pensiero-riflessione profonda che tocca molti alpinisti nel corso delle loro spericolate imprese. Dice Schgaguler: “La maestosità delle montagne mi ha sempre affascinato; forse perché trasmettono impulsi spirituali e ispirano a compiere qualcosa che va oltre la nostra esistenza, o coscienza…?”