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Foto: Daniel Töchterle
Books | Poesia

Il verbo di fronte

L'ultima fatica di Roberta Dapunt è una raccolta di poesie densa, per indurre chi legge alla pausa e all'introspezione. Martedì 13 la presentazione al Filmclub di Bolzano.
  • “Il verbo di fronte”, in libreria da pochi giorni, non delude chi ama la scrittura scarna e potente di Roberta Dapunt.

    Il dolore, i silenzi, i suoni e gli odori sono i fili dell’ordito che intrecciandosi con la potenza/impotenza del verbo formano la trama di questa tela in cui il personale ed il collettivo si rispecchiano l’uno nell’altro.

    L’esperienza personale del dolore non esacerba ed inaridisce, affina invece la sensibilità per cantare l’altrui dolore, quello dei senza voce dei “popoli caduti e lasciati”. Diventa “lo specchio del nostro misero intelletto,//voi migranti che non vi vogliamo, nel vostro sguardo//il presente delle genti soffocate dal passato. //Cruda linfa che non ci interessa,//se non dichiararvi colpevoli del vostro dramma”. 

    Bandisce dal proprio vocabolario l’indifferenza: “Quella che lungo i pensieri, i fatti, la realtà, dimostra//da fuori un composto ascoltare e guardare in silenzio.//E però dentro è vanità e presunzione mentre guarda,//mentre ascolta, e infine ripiega su sé stessa e si pone//in tasca da sé, come un fazzoletto sudicio che è meglio//non scoprire”.

    Augura “commozione, tremore di cuore, scossa// … che i libri…diventino scritture rare//dalla loro carta il profumo unico della compassione”.

    E se la compassione abbraccia le donne violate e/o uccise, le vittime innocenti delle guerre, delle epidemie di qualsiasi segno, dei soprusi e delle sopraffazioni, degli stigma, è nei silenzi che l’animo si acquieta e si immerge nella solitudine dello spirito che conduce all’esperienza del sacro.

    E ancora la domanda sul ruolo della parola, l’urgenza della poesia, la “richiesta di comprensione //posta sul desiderio di capire e farsi capire” Fino al senso della scrittura nella dissolvenza fra la forma e il contenuto,//per poter scrivere di nuovo e nuovamente…

    Un raccolta di poesie densa, dove ogni parola è pesata per indurre il lettore e la lettrice alla pausa, alla riflessione che diventa anche introspezione e interlocuzione tra il sé ed il mondo. Il senso del nostro essere nel mondo e il tempo in cui si diluiscono la vita, le emozioni, le sensazioni, il materiale e lo spirituale. 

    E tutto con una tensione forte, mai enfatica che mette e si mette in discussione di fronte ai temi che affronta.

     

    Literatur Lana presenta Il verbo di fronte (Einaudi 2024) di Roberta Dapunt

    Martedì 13 febbraio 2024 alle ore 18

    Filmclub Bolzano, Via Streiter 5

  • "Il verbo di fronte" presentato da Giovanni Tesio

    Un luogo, una vocazione, una lunga fedeltà, una voce che dice di non cantare, ma che invece canta, perché il canto non sempre è melodismo. Roberta Dapunt è giunta al suo quarto libro einaudiano, ma non ha mai tradito se stessa, pur cambiando ogni volta il passo. Da "La terra più del paradiso" a "Il verbo di fronte" una continuità di interrogazioni che si ripropongono in modalità diverse, ma costantemente protese al segreto che le anima. Tra la concretezza delle cose certe e la sacralità che le attraversa, è la voce essenziale della poesia  - espressa in versi spesso lunghi e a tratti prosastici ma mai dimessi  - ad affermare una presenza perplessa, una chiamata cui Roberta s'affida senza presumere mai. "Il verbo di fronte" è il libro di massima apertura al dolore del mondo, alla contraddittoria ragione delle azioni umane, alla loro vicenda incresciosa, al loro tempo irredento ma sempre e così tanto bisognoso di redenzione.

    Giovanni Tesio, già ordinario di letteratura italiana presso l’Università del Piemonte Orientale "A. Avogadro", ha curato per Einaudi la scelta dall’epistolario editoriale di Italo Calvino, I libri degli altri (1991), ora riproposta negli Oscar Mondadori; più recentemente ha pubblicato la conversazione con Primo Levi, Io che vi parlo (2016), e quest'anno, per Interlinea, il volume Primo Levi, il laboratorio della coscienza. È stato per trentacinque anni collaboratore della “Stampa”.