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"Lingue, la scuola non è ferma"

Secondo la docente esperta in glottodidattica Barbara Gramegna "generazioni di studenti bilingui si avranno solo creando occasioni di convivenza fuori dagli istituti".

A parziale e mia personale risposta all’editoriale “Lingue a scuola: ci vuole chiarezza”. Rispondo a titolo personale, come docente di L2 della scuola in lingua italiana, che ha insegnato nelle prime classi cosiddette ad “immersione linguistica negli anni ‘90, che ha proseguito poi sempre nell’insegnamento in questo tipo di classi - definite negli anni successivi in diversi modi - nella sezione trilingue del Liceo “Carducci” di Bolzano, alcuni anni fa ormai, e nella sezione internazionale del Liceo “Pascoli” di Bolzano pochi anni fa. La glottodidattica è stata e continua ad essere per me anche un oggetto di studio e continua ricerca, così come tutto quello che riguarda i fenomeni legati alla sociolinguistica, ai linguaggi e alla comunicazione.

Mi sento pertanto di esprimere qui alcune considerazioni, che, per praticità di lettura, vorrei fare per punti e ripercorrendo idealmente l’editoriale, senza pretesa di esaustività e senza alcuno spirito di polemica, sperando, al contrario, di contribuire costruttivamente a quanto proposto da Fabio Gobbato.

…è un dato di fatto che da oltre un decennio in Alto Adige-Südtirol, per rispondere alla fame di bilinguismo dei centri urbani, la scuola italiana abbia nobilmente reagito cercando una soluzione,…

La scuola italiana risponde a una “fame di bilinguismo” sino dagli anni ’90 e, come in altri paesi nel mondo, su forte sollecitazione dei comitati di genitori, in provincia di Bolzano dei Genitori per il bilinguismo, di cui esiste ancora traccia online: http://www.gebi.bz.it/infobz/sommario.php?sez=2 e che, nella primavera del 1996 raccolsero 10.000 firme per sensibilizzare la Giunta Provinciale a consentire i percorsi sperimentali in atto a quell’epoca in maniera ufficiosa in un paio di scuole di Bolzano. Per ottenere quello che oggi è ormai acquisito, infatti, genitori, docenti, dirigenti, l’allora Istituto Pedagogico, la Sovrintendenza scolastica, alcuni politici, dovettero combattere e affrontare incontri, scontri e polemiche.

La tanto richiesta sperimentazione fu però vietata dalla Giunta provinciale nel febbraio del 1996, dopo lunghe controversie e con la motivazione di una, a suo avviso, evidente violazione dell’articolo 19 dello Statuto d’Autonomia, che non prevede insegnamenti o discipline insegnate in lingue diverse da quella madre degli alunni e che regolamenta il numero delle ore di insegnamento in L2, tedesco per la scuola italiana e italiano per la scuola tedesca. Nell’ ottobre del 1997 la Giunta provinciale decise però di abbandonare questa posizione e di permettere nelle scuole italiane, a determinate condizioni, un insegnamento potenziato (ovvero con un aumento orario) della L2 tedesco.

Da quel momento, si sono susseguiti e diffusi in varie realtà ulteriori potenziamenti, fino a giungere al recepimento da parte della Giunta (Delibera 10 giugno 2014, n. 688) della normativa nazionale in ambito di insegnamento disciplinare in una lingua diversa da quella di scolarizzazione, ovvero il CLIL (Content and Language Integrated Learning), di fatto un uso veicolare della lingua, sia straniera che seconda, in un determinato ambito disciplinare.

“…gli insegnanti CLIL, però, non c'erano e ci si è inventati l'insegnamento in compresenza…”

Anche qui mi sento di fare una precisazione rispetto alla questione del co-teaching o compresenza,  (sia di due docenti contemporaneamente nello stesso spazio, che in spazi diversi): non si tratta né di un’invenzione, né di un escamotage, ma di una delle diverse possibilità offerte dai diversi modelli di didattica CLIL circolanti in Europa dagli anni ’90. In diversi casi questa modalità, peraltro diffusa non solo per le lingue, mostra vantaggi di vario genere: interazione produttiva fra docenti, possibilità di differenziare e individualizzare percorsi (con obiettivi di massima inclusione), possibilità di gestire gruppi distinti di diverso livello e, nel caso del CLIL, garantire in qualche modo la vera integrazione fra contenuto disciplinare e lingua.

Laddove sia stata privilegiata la modalità della compresenza, si suppone siano state fatte dovute riflessioni anche a posteriori, rispetto alla sua reale efficacia, praticabilità e proficuità in termini di apprendimenti.

Il CLIL ha consentito, fra altre cose, un ragionamento più attento su metodologia, monitoraggio, valutazione dell’insegnamento e dell’apprendimento e ha portato a maggiore riflessione sul ruolo della lingua usata dai docenti in classe, anche della lingua italiana. (Per inciso, ci sono studi proprio sulla complessità dell’italiano ad esempio della matematica, condotti grazie e a causa dei diffusi insuccessi scolastici in questa disciplina e non solo nelle classi con potenziamento linguistico in L2.)

Laddove sia stata privilegiata la modalità della compresenza, si suppone siano state fatte dovute riflessioni anche a posteriori, rispetto alla sua reale efficacia, praticabilità e proficuità in termini di apprendimenti.

“…Mancando gli insegnanti qualificati (non possono provenire "ovviamente" dalla scuola tedesca, sarebbe tutto troppo facile), negli ultimi anni le lezioni in compresenza nell'altra lingua vengono in molti casi tenute da giovanissimi, magari anche di madrelingua, che non hanno alcuna formazione didattica specifica e in diversi casi neppure la laurea.” Questo è sempre accaduto e continuerà ad accadere, anche per le discipline e non solo per la L2, esiste per questa ragione la cosiddetta Berufseingangsphase, una sorta di “avviamento professionale” per i docenti neoinseriti nel sistema scolastico, una formazione ad hoc regolamentata ogni dalle singole Direzioni istruzione e formazione.

“In Alto Adige, dove i gruppi linguistici, salvo poche eccezioni, vivono in mondi paralleli, si pensa di poter supplire a questo "svantaggio di contesto" partendo con un tuffo in un gelido mare di ore in (e di) tedesco”.

Riprendendo dall’editoriale la corretta metafora del mare, visto che i primi programmi di nuovo approccio all’insegnamento delle lingue vennero definiti, prima in Canada e poi in Europa, di “immersione linguistica”, direi però che la “temperatura” dell’acqua dipende da diversi fattori: contesto (tipo di scuola, contesto socioculturale e socioeconomico dell’utenza, città, periferia ecc.), modello organizzativo, team docenti, competenze della dirigenza, del/dei docente/i, investimenti in  termini di formazione, scelta dei contenuti da veicolare, definizione degli obiettivi di apprendimento ecc., capacità di monitoraggio ecc.

La riflessione sugli esiti delle prove standardizzate merita sicura attenzione, ma non la ricondurrei necessariamente alla facile equazione: meno ore in italiano - perché ci sono potenziamenti in tedesco - risultati peggiori.

“…E, guarda caso, italiano e matematica, le cattedre a cui vengono sottratte le ore, sono le materie in cui siamo in grossa difficoltà nell'INVALSI proprio perché, rilevano parecchi insegnanti, il troppo precoce insegnamento veicolare priva i ragazzi della conoscenza del lessico disciplinare nella loro madrelingua.” La riflessione sugli esiti delle prove standardizzate merita sicura attenzione, ma non la ricondurrei necessariamente alla facile equazione: meno ore in italiano - perché ci sono potenziamenti in tedesco - risultati peggiori. Come sempre il discorso è più articolato e va affrontato in maniera meno semplicistica, anche se posso comprendere la facilità che offre questo tipo di spiegazione.

In neurolinguistica il “troppo precoce” è qualcosa che non esiste (si sa che il momento più favorevole all’apprendimento linguistico e all’esposizione anche a più lingue contemporaneamente si colloca preferibilmente fra i tre e i sette anni), esiste invece semmai la possibilità di fare un’accurata riflessione su quali siano i contenuti e gli ambiti disciplinari da veicolare più vantaggiosamente in un’altra lingua (esistono degli studi appositi e riflessioni scientifiche a sostegno e a detrazione delle diverse scelte) e questo dipende da fattori relativi a: cultura e linguaggio delle singole discipline; sufficiente disponibilità di docenti preparati; modello organizzativo, caratteristica del singolo istituto ecc.

Stesse riflessioni di merito mi piacerebbe venissero fatte in ogni caso anche per i tanti ragazzi di origini diverse che siedono nei banchi delle nostre scuole e che spesso vengono travolti da ore e ore di discipline veicolate in italiano nella scuola italiana e in tedesco nella scuola tedesca, senza pensare che si tratta di CLIL a tutti gli effetti, ma mai concepito come tale e quindi senza tutte le accortezze metodologiche del caso.

Sul fatto di “scendere di colpo” col monte ore alle scuole secondarie di secondo grado, questo è dovuto al fatto che nella scuola secondaria di secondo grado è necessario dare spazio alle discipline di indirizzo che caratterizzano i singoli istituti, salvo negli indirizzi internazionali, dove si trovano diverse discipline veicolate in diverse lingue.

“…Come spiega Mazzadi, alcuni aspetti decisivi per l'apprendimento linguistico sono la gradualità e l'assenza di fretta. Al secondo posto viene l’adeguata formazione linguistica dei docenti. Ancora oggi, non essendo riusciti a creare un piano formativo efficace, si pensa di poter fingere di averla con quintali di ore “in compresenza” che non fanno altro che sottrarre importanti risorse economiche.”

Se la fretta di risultati la riportiamo alla fame di bilinguismo, sarebbe bene chiarire di che risultati si parla e di che bilinguismo si parla.

La gradualità e l’assenza di fretta possono essere criteri condivisibili. Quello della gradualità lo vedo diffusamente rispettato, esistono apposite indicazioni provinciali  che, periodicamente riviste, indicano i traguardi per le diverse discipline/lingue per le diverse classi e che costituiscono la base su cui le singole scuole costruiscono i propri curricoli. Quanto alla fretta, si tratta di un atteggiamento emotivo che si traduce in termini di ansia e aspettative di risultati, non è però un criterio di misurazione, piuttosto un elemento di disturbo. Se la fretta di risultati la riportiamo alla fame di bilinguismo, sarebbe bene chiarire di che risultati si parla e di che bilinguismo si parla.

Tutti coloro che “maneggiano” quotidianamente le due lingue, ritenendosi o essendo ritenuti bilingui, per famiglia, vita e studi, sanno bene quanto altrettanto quotidianamente ci si possa sentire difettosi in una delle due e, per questa ragione, si ricorra spesso all’altra lingua a completamento, integrazione o sostituzione di quanto non ci soddisfa. Esistono infatti diversi domini di uso della lingua (semplificando si tratta di situazioni e contesti che richiedono diverso lessico, diversa varietà e diverso registro linguistico), è per questa ragione che la sola scuola non rende bilingui – per così dire - ad ampio spettro, semplicemente perché non può curare che qualche dominio. La scuola stessa è un dominio e, proprio per questo motivo, quello che accade fuori scuola è di così grande importanza!

Come tutti gli studi, senza entrare nel merito del metodo di ricerca, la lettura dovrebbe essere fatta in maniera analitica, rispetto a obiettivi, premesse, campione, contesto.

E invece che imboscare le critiche come avvenne a suo tempo per il Kolipsi II andrebbe subito rifatto uno studio analogo per capire quali sono le cose che non funzionano.” Come tutti gli studi, senza entrare nel merito del metodo di ricerca, la lettura dovrebbe essere fatta in maniera analitica, rispetto a obiettivi, premesse, campione, contesto. Le domande di ricerca sono molto importanti, così come il campione considerato. Lo studio voleva indagare, nella fattispecie, la competenza comunicativa di un campione di studenti ad un anno dalla maturità e quanto si sentissero di riuscire a partecipare e interagire quotidianamente nella seconda lingua. Anche fermandosi solo a questo, risulta evidente che stiamo parlando appunto di domini di uso che la scuola può esercitare solo in maniera fittizia, sono quelli della vita, diciamo così, come già accennato, fuori dalla scuola, quella a cui allude la dirigente di Monaco: l’attività ricreativa, sportiva ecc. Non mi addentro a questo proposito in discorsi di politica linguistica e politica tout court che pure molto incidono in questo senso

“Il grosso dubbio, però, è che questa situazione, in fondo in fondo, stia bene a tutti: alla scuola "che fa il possibile", e alle famiglie che si convincono a loro volta di "fare il possibile" per i loro figli. E così, un paio di volte all'anno, quando escono i vari studi, c'è qualche ora di fibrillazione ma a partire dal giorno dopo tutti si autoassolvono e resta tutto uguale a prima.”

Non credo resti davvero tutto uguale, credo piuttosto che - come sono trascorsi quasi trent’anni prima di aver raggiunto risultati, seppure di parziale soddisfazione, decisamente migliorativi rispetto al passato precedente agli anni ’90 - il processo di riflessione, rimodulazione e attivazione di altre e/o diverse pratiche e modelli organizzativi sia già in atto, ma necessiti probabilmente di altrettanto tempo. All’interno delle singole scuole esistono dispositivi per la autovalutazione, centralmente vengono proposte periodiche rilevazioni sugli apprendimenti linguistici (Sprachstandserhebungen)e non posso certo affermare di avere assistito ad un autoassolvimento da parte di nessuno.

Sono anche comunque altrettanto convinta che generazioni di bilingui non se ne produrranno né grazie a più, né grazie ad un ritorno di meno ore di L2 nelle scuole, ma piuttosto con la continua promozione di atteggiamenti, creazione di dispositivi e di occasioni di convivenza in più lingue fuori scuola;

I correttivi da apportare ci sono, dalla rimodulazione oraria alla richiesta di consulenza metodologico-didattica presso il “Servizio L2 e lingue straniere” della Direzione scuole in lingua italiana, allo scambio di buone pratiche fra istituti (attraverso gruppi di lavoro o ospitazioni fra docenti) per migliorare l’efficacia dei percorsi, per cambiare orientamenti, per ispirarsi a diversi modelli.

Sono anche comunque altrettanto convinta che generazioni di bilingui non se ne produrranno né grazie a più, né grazie ad un ritorno di meno ore di L2 nelle scuole, ma piuttosto con la continua promozione di atteggiamenti, creazione di dispositivi e di occasioni di convivenza in più lingue fuori scuola; in ambito scolastico, invece, contribuendo ad abbassare quello che il linguista americano Stephen Krashen definì il filtro affettivo , ovvero quella condizione emotiva e inconscia che favorisce o inibisce ogni processo di acquisizione linguistica. Krashen distingue infatti fra apprendimento e acquisizione, il primo razionale e a breve termine finalizzato solitamente al soddisfacimento di richieste e compiti, in cui il filtro affettivo è elevato e fortemente influenzato dal contesto (tipo mare gelato!), la seconda più naturale, stabile e profonda in cui il filtro affettivo è basso e il contesto favorevole.