Kultur | Salto Afternoon

“L’ego ti porta a voler comunicare”

Yomer è un artista poliedrico: cantautore, podcaster, storyteller, grafico e scrittore. Ma nessuna persona è riducibile al lavoro che fa, quindi siamo andati a conoscerlo
yomer-1.jpg
Foto: Yomer
Salto.bz: Per fare tutto quello che fai ci vuole una sana dose di ego. Che ruolo gioca nella tua vita?

Yomer: Se mi avessi posto questa domanda dieci anni fa ti avrei risposto in maniera diversa. Adesso ti dico che l’ego ti porta a voler comunicare quello che hai dentro, ma di fatto è un’energia da controllare. Prima di trasferirmi a Vienna il mio era un ego smisurato e puntava a portare scompiglio nel territorio bolzanino. Poi quando internet mi ha fatto raggiungere una certa popolarità ne ho compreso meglio altri aspetti. Siamo in un’epoca in cui si parla tanto ma si comunica poco, ho capito che per me funziona aprire bocca solo quando ho qualcosa da dire. L’ego ti porta a fare i selfie per mostrarti a vuoto non crea molto, al massimo ok scopi, quello buono invece è come una miccia o, se vogliamo, un’incoscienza che ti porta a fare delle cose che di base non faresti. Se pensiamo anche solo al mio podcast “Diari dell’orso”, l’ego mi ha aiutato a superare il timore di non riuscire a realizzarlo.
Anche il mio primo concerto da solista ha avuto un importante peso nel mio rapporto con l’ego, perché mi è stato detto che quello che dicevo nelle canzoni non era nulla di trascendentale se non pensieri facilmente condivisibili. La differenza era che io mi ero preso la responsabilità di salire su un palco ed esporli.
 
L’ironia è molto presente in quello che fai. Che rapporto c’è tra ironia e malinconia?

Credo che l’ironia sia una salvezza da tutto quello che è l’oscurità dei pensieri che uno ha. Essere una persona profondamente ironica mi ha salvato dai momenti complicati della mia vita. Io dico sempre che mi piango addosso, ma allo stesso tempo riesco anche a ridermi addosso. L’ironia e la malinconia sono le emozioni più nobili e le più complesse. L’ironia è inoltre lo strumento che ti permette di andare a fondo della tua tristezza e portare dei graziosi souvenir in superficie. E poi, diciamolo, le famose “good vibes” – essere sempre in un buon mood – è una rottura di palle. Come posso essere preparato alla vita se voglio vivere solamente le emozioni positive? Al di là dell’ironia e della malinconia, direi che c’è un grande bisogno di provare l’intero ventaglio delle emozioni di cui abbiamo a disposizione, altrimenti l’esperienza di essere vivi su questo pianeta si impoverisce.
 
Tempo fa mi dicevi che scrivi canzoni d’amore, ma nella quotidianità non ci credi tanto. Come mai?

Direi che è semplicemente un cinismo di difesa che va a depotenziare una possibile delusione. Ma ciò non toglie che rimanga la speranza che arrivi qualcosa in grado di abbattere questo muro. Il cinismo alla fine è una crosta che cresce sulle ferite che ti sei fatto. Mazzata dopo mazzata, sempre sullo stesso punto, la crosta si inspessisce e diventa difficile riuscire a gestirla, per questo non vedi l’ora che cada.
 
Solitamente essere così poliedrici significa avere tanto da elaborare. Che rapporto hai col tuo passato?

Il passato, e tutto il lavoro poliedrico che ne esce dal punto di vista artistico, è un materiale prezioso. Nonostante sia proprio dal passato che nascono le paranoie per le questioni future, se non avessi dovuto elaborare i traumi, anche tramite notti insonni e pianti solitari nella doccia, non avrei avuto tutti gli spunti artistici che ho. Il passato è semplicemente un nutrimento.
 
 
Hai finito da poco di scrivere un libro di cui hai presentato alcuni capitoli in anteprima. Di cosa tratta?

Volevo prendermi del tempo per capire se riuscivo a finire una cosa complicata come la scrittura di un libro. Quando hai molta creatività passi da un ambito all’altro spesso senza controllo, nel libro sono partito da due capitoli che avevo scritto più di dieci anni fa e mi sono deciso a partorirlo definitivamente, controllando e addomentiscando la creatività. Questo inverno, da ottobre a marzo, mi sono concentrato su questo. La creazione dei personaggi e della trama sono state tutte esperienze nuove e estremamente immersive. È un romanzo comico e soprannaturale. La storia è basata sull’invidia e rancore che sta in un villaggio popolato solo da anziani. Dentro questo villaggio vive Louis, che ha perso la moglie in un incidente assurdo, rinchiuso in un’estrema solitudine. Poi a un certo punto arriva Greta – figlia ventenne e rompicoglioni dei nuovi ristoratori – che comincerà ad indagare sulle dinamiche di questa morte e, in generale, sui misteri di questo apparentemente noioso villaggio.
 
Facendo tante cose diverse, a volte si rischia di fare caos. Che ruolo gioca il caos nella vita artistica?

La ricerca di tutto quello che faccio è un tentativo di domare il caos. Il caos mi piace perché si contrappone al mio bisogno di mettere tutto in ordine. Dovresti vedere casa mia quanto è ordinata, nonostante Ernesto. Molti dei testi che scrivo nascono dal caos. Se ti leggessi la prima stesura della mia canzone “Senza droghe” ti troveresti di fronte un materiale caotico e violentemente triste, da cui poi però è nata una canzone che ha un ordine, un inizio e una fine, un messaggio di resa positiva. Posso dire anche che sono grato alle persone che hanno portato del caos nella mia vita, ma allo stesso tempo non bisogna diventarne schiavi, perché il bisogno di provare emozioni estreme può sfociare nel masochismo e quante volte mi sono fatto del male solo per provare qualcosa. Poi ho preso un gatto e ora mi fa male lui senza motivo e io mi domando “ma che ho fatto di male volevo solo accarezzarti” e invece litri di sangue sul divano.