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La rivoluzione della delicatezza

La nuova mostra alla Galleria Civica di Bressanone entra nel vivo di un dibattito globale con le opere di quattro artiste altoatesine e la curatela di Elisa Barison.
radical softness
Foto: Leonhard Angerer

Se ancora non vi è capitato, presto sentirete parlare di “delicatezza radicale” (radical softness), e saprete che la fragilità e l’emotività sono entrate nel dibattito culturale, politico e sociale, come potenti armi di resistenza e ribellione.

Radical Softness è anche il titolo della mostra inaugurata giovedì 9 giugno alla Galleria Civica di Bressanone, visitabile fino al 20 agosto. L’allestimento curato dalla giovane Elisa Barison mette in dialogo le opere inedite di quattro artiste altoatesine, ispirate al concetto di delicatezza radicale.

“Questo concetto rappresenta una risposta diretta ad una società patriarcale ancora rigidamente costruita sulla convinzione che qualità come emotività, fragilità e sensibilità siano negative”, spiega Elisa Barison. “Ormai esiste un vero e proprio movimento globale che si ispira a questo concetto. Si tratta di lasciarsi alle spalle gli stereotipi di genere e adottare questo strumento di resistenza passiva, per costruire una società basata sulla delicatezza”.

 

 

La genesi del termine è da ricondurre ad una serie di opere dell’artista queer Lora Mathis, dove per la prima volta compare la frase “radical softness as a weapon”, da intendersi come un invito a scoprire la parte più morbida e accogliente di sé stessi, non solo per fronteggiare una società machista e patriarcale, ostile alle persone trans e queer, ma anche per addolcire alcuni tratti cinici e aggressivi dello stesso movimento LGBTQ+.

La fantasia che scherzosamente l’artista cullava, ovvero che dallo slogan da lei coniato scaturisse un movimento, si sta concretizzando nella forma di una vera riflessione globale sul tema.

Riflessione che attraversa anche le opere delle quattro artiste in mostra a Bressanone. Jasmine Deporta, Barbara Gamper, Arianna Moroder e Doris Moser hanno immaginato e creato lavori multimediali inediti per la Galleria Civica.

“Tutte le opere hanno una dimensione fortemente autobiografica, ma allo stesso tempo manifestano un senso collettivo di uguaglianza e comunione”, spiega la curatrice Elisa Barison. “Jasmine Deporta mostra delle sculture fotografiche che in sostanza sono una foto delle sue mani, stampate su un telo (morbido, riempito) lungo 6 metri; delle braccia lunghissime dunque, pronte ad accogliere e ad abbracciare chiunque ne abbia bisogno e voglia”.

 

 

Le mani – Hands è il titolo della serie – sono non intesi da Deporta non solo come uno degli organi sensoriali primari dell’essere umano ma anche come un elemento di unicità, che permette una precisa identificazione fisica del soggetto. Sono dunque allo stesso tempo un simbolo di forte individualità e di comunicazione verso l’esterno attraverso un linguaggio simbolico universale.

Arianna Moroder si apre invece rivelando le proprie vulnerabilità, in particolare il blocco creativo di cui soffre lavorando sotto pressione. “La sua è un’installazione spaziale che ha al centro la sua casa di bambole dell’infanzia (quando ancora creava per il semplice desiderio di farlo)”, spiega Barison. “A cui si aggiungono delle fototessere di donne ed artiste che la ispirano e motivano, ed una scritta poetica che recita: we are all in in together…”.

 

 

Barbara Gamper presenta due video dal titolo cellular breathing che mostrano parti del suo corpo in colori pastello, mentre si muove lentamente al ritmo del proprio respiro. “Gamper pensa al corpo tanto nella sua forma microscopica, cellulare, quanto come parte integrante della società”, racconta la curatrice. “Insomma, il corpo per l’artista non finisce con la pelle, ma prosegue nell'ecosistema che lo circonda”.

 

 

Infine Doris Moser ha occupato (in modo molto molto soft) lo spazio piccolo della galleria con del fieno sparso per terra ed un murales che raffigura dei piccoli coniglietti, accoccolati l’uno accanto all’altro. Con questa immagine l’artista mette in discussione la tendenza attuale a concepire la comunità solamente a fini produttivi ed economici, tralasciando invece la dimensione di protezione e calore che può dare il rapporto – morbido e delicato – con gli altri individui.