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“Io, più che essere o venire da… passo”

Scrittrice e traduttrice, Brunamaria Dal Lago Veneri è un po’ maga, un po’ strega, esploratrice delle parole e dei loro misteri sul confine tra italiano, tedesco e ladino
Brunamaria Dal Lago Veneri
Foto: SAAV

salto.bz: La mitica BDLV scrittrice di miti e traduttrice di Hesse e dei Grimm, insomma Brunamaria Dal Lago Veneri, fin dal nome e cognome una storia lunga e sfaccettata, Brunamaria un po’ maga un po’ strega, figura morbidosa e affettuosa, esploratrice delle parole e dei loro misteri, sul confine tra l’italiano, il tedesco, il ladino: com’è la vigilia degli 88 anni, che compirà il 19 gennaio? BDLV è in forma?

Come sempre. Così così. Sempre in mezza forma… di formaggio”.

Cominciamo dall’inizio, allora. 80 anni fa. A 8 anni com’era la Brunamaria?

Proprio all’età di 8 anni, vi racconto cose terribili, la Brunamaria aveva deciso che fosse importante l’ingresso nel mondo altro, parallelo, che è sempre stato uno dei miei sogni: e infatti mi sono spaccata la testa e stavo per rimetterci le penne, dopo essere caduta da un secondo piano, a Roma in viale Carso numero 38. Lì abitavamo a quel tempo perché mio padre si era trasferito nella capitale a fare il corso per diventare direttore di Camera di commercio. E ho fatto proprio un tuffo dalla finestra, di testa, essendomi distratta a guardare un albero di acacia, che evidentemente mi ha stordita. Mio fratello l’Adriano, tre anni più piccolo, poverino, ha detto ai miei: “Io volevo tinerla!!!”. Ma a tinermi non ci era riuscito.

 

Probabilmente la più prolifica autrice del Trentino-Alto Adige/Südtirol, alla dimensione regionale, anche per la sua storia familiare e biografica, Brunamaria (attaccato) Dal Lago (staccato) Veneri ha sempre tenuto. Lei parla italiano ma a casa parlavano sia italiano che tedesco, al censimento si dichiara ladina mentre i suoi 4 figli risultano tedeschi come suo marito Roland, che però aveva un cognome italiano. Lei scrive in italiano ma adora la cultura tedesca e molti suoi libri hanno un respiro regionale che contrasta con lo sguardo corto e miope delle due politiche provinciali. Come la bellissima “Guida insolita ai misteri, ai segreti, alle leggende e alle curiosità del Trentino-Alto Adige”  (Newton & Compton, 2000). E dei 18 anni, quali ricordi?

Ero già diplomata e matricola a lingue alla Bocconi. Libera cittadina in quel di Milano. Mia madre, tipa tosta e maestra folle, mi aveva mandato a scuola in seconda, poi c’era la guerra e non ho fatto la quinta e dunque ero due anni in anticipo. Purtroppo pochi anni dopo è morto mio padre e ho finito l’Università a Londra, lavorando come ragazza alla pari, a 23 anni.

Insomma, ha annusato un po’ di mondo, ma partendo dalla natia Bolzano Bozen Bulsan.

Be’, così è stato quel 19 gennaio 1935, per merito di papà Bruno Dal Lago e di Maria Turra, quando aspettavano me e non sapevano come chiamarmi hanno fatto una sintesi tra i loro due nomi e sono diventata Brunamaria. Senza troppa fantasia. Invece mio fratello Adriano, tre anni dopo, ha preso il nome del famoso primo cugino di mio padre, Adriano Dal Lago, grande scalatore che in quel 1938 era caduto dalla Marmolada…

Quando l’innamoramento per la scrittura?

Ero proprio una bambinetta, la nonna materna Paolina era morta, mentre la nonna Teresa di Fiemme aveva una suocera, Marika, ungherese: chiamavo nonna anche lei e fu lei a raccontarmi l’Uccellino Azzurro, mi ha iniziato alla fantasia e alla mitologia, a un mondo fantastico da costruire come un mondo reale, come paragone di quel che mi succede tutti i giorni… quello è stato il primo libro.

 

Magia magiara, insomma. E subito la voglia di raccontarle, le storie. Non solo di ascoltarle.

Scrivevo storielle ridicole, da bambinetta. Ma abbiamo passato molti confini, anche di paura, durante la guerra, e quei primi esperimenti letterari si sono persi tutti tra i traslochi, i bombardamenti, gli incendi… Nella testa mi sono rimasti. Ma solo nella testa.

Il Traum è sempre stato importante nella scrittrice Dal Lago, l’Alptraum anche. Incubosi, i ricordi bellici?

Mi ricordo quando stavamo ancora a Roma, e mio padre era stato richiamato per la guerra in Albania, ha suonato alla porta di casa un omino del ministero, col vestitino liso liso. Apro io e mi chiede se c’è la mamma. Ci legge un telegramma del ministero della guerra: il dottor sottotenente Bruno Dal Lago… è morto sul campo dell’onore… il campo dell’onore! Un concetto che mi ha dato sempre fastidio… anche perché in casa parlavamo tedesco e io il campo dell’onore non sapevo proprio che cos’era. Ma la mamma ha detto: guardi che non è vero, mio marito non è morto, se fosse morto lo saprei, me lo sentirei…  Così ha preso la nave per Tirana e si è messa a girare l’ospedale e gridava di letto in letto “Bruno Bruno Bruno” finché una manina venne su e una vocina disse ‘Mariuccia sono qua’. Insomma l’ha trovato, ferito ma vivo. Una scheggia di granata gli aveva reciso la catenella della piastrina di identificazione, che era caduta su un altro soldato, morto… Insomma la mamma Maria si è riportata il papà Bruno all’ospedale al Celio… questa era la razza dei Bonenti-Turra, la mamma un po’ streghetta era pure lei…

Già. Una streghetta tridentin-asburgica.

Famiglia giudicariese. Ma parlavano in tedesco perché mia nonna, Paolina Bonenti Turra, aveva sposato un primierotto che era diventato ufficiale della gendarmeria austriaca, a Innsbruck – a quell’epoca uno intelligente diventava prete o soldato, c’era poco da fare – e in casa parlavano tedesco e italiano. Così è cresciuta mia mamma. Però era stata partorita, prima figlia, a Vigo Lomaso nelle Giudicarie perché voleva l’assistenza di sua sorella Savia, e a Innsbruck era sola come un cagnotto, con tutti quei bei soldatini ma sola. Era l’anno di grazia 1905. Mia mamma e Vittore nacquero nelle Giudicarie, gli altri fratelli tutti in Austria.

Dunque Brunamaria è mistilingue di terza generazione.

A Roma ho fatto anche la Goethe Schule, dove insegnava mia mamma, per due anni, poi col papà ci siamo trasferiti ad Aosta, a Padova e di nuovo a Bolzano nel ’43. Credo, in fondo, di aver goduto di questi continui mutamenti, anche se tra un bombardamento e l’altro… Tornati quassù, alle medie eravamo sfollati a Cavalese dalla nonna… Il liceo l’ho fatto a Bolzano. Io ringrazio Gesù Bambino, il Padreterno, l’Angelo custode, chi volete voi, e i miei veci di queste esperienze diverse. Alternavamo le due lingue, e così è stato tra me e i miei figli…

La resistenza, italiana e tedesca, come rivolta contro il potere dei dittatori, questo sentivo nell’aria… si aprivano tante finestre sul mondo

Com’era, la Bolzano del Quarantatré?

Un mondo davvero tutto diverso, una stagione eccezionale. I miei genitori erano funzionari pubblici (lui direttore della Camera di commercio, lei a scuola) e dovevano fare il sabato fascista come tutti, si mettevano le loro divise e andavano ma io li vedevo ben poco convinti della cosa… Di duce e di fascismo, comunque, in casa non si parlava. E basta. Invece mi ricordo bene la solidarietà incondizionata della nostra famiglia alla zia Franca, la partigiana “Anita”. E gli altri partigiani italiani. E i sudtirolesi come Friedl Volgger, anche lui era di casa. Lo zio Vittore, marito di zia Franca, intanto, era prigioniero in India. La resistenza, italiana e tedesca, come rivolta contro il potere dei dittatori, questo sentivo nell’aria… si aprivano tante finestre sul mondo. Finestre sul mondo e sul modo di interpretarlo…

E dopo tutti quei traslochi in giro per l’Italia, la vita della giovane Brunamaria si è stabilizzata a Bolzano.

Cambiando qualche casa ma senza allontanarmi troppo. Ero nata in piazza Vittoria aspettando la casa nuova di famiglia in via Weggenstein, poi da sposata siamo stati prima in via Museo poi in via Beda Weber, dove abito tuttora. Più o meno sono rimasta sempre a nord, nella zona Dodiciville…

E l’incontro fatale (e fecondo) con l’architetto Veneri, come avvenne?

Aha… Roland aveva una morosa, diciamo, non troppo adatta a lui, e così noi due andavamo a spasso o al cinema insieme… Una bellissima giornata mi riaccompagna a casa in macchina, in una stradella vicino a via Weggenstein e mi dice: stai ancora un po’ con me. E io: no, devo andare a casa perché piove. Ma se c’è il sole?, ribatte Roland. E invece di lì a un attimo si scatena un temporale. Qualche giorno dopo va da mia mamma e le dice: vorremmo sposarci. E lei: hai preso paura, eh? Ahaha. Si vede che la strega aveva certe doti… L’ho conquistato con la pioggia. E qualche piccola virtù ce l’ho ancora.

Brunamaria e Roland convolano dunque a giuste nozze. Quando?

Era l’11 febbraio 1961, anniversario dei Patti lateranensi, di quella che si chiamava Conciliazione. Ebbene, ci siamo conciliati anche noi, a Riffian, sopra Merano, nella chiesa del paese, il celebrante amico di Roland era insegnante al seminario lassù. Andò bene, il matrimonio, troppo breve è stato però, purtroppo è quasi trent’anni che sono da sola… Pazienza, il mondo è fatto così. Sola per modo di dire perché ho 4 meravigliosi figli e 8 fantastici nipoti.

Una dinastia… Elenchiamoli, bitte schön.

La Petra (1961) è la prima, archeologa e interprete simultanea, vicedirettrice dell’ufficio traduzioni in Provincia, sposata con un giornalista che si chiama quasi come me (Maurizio Dallago), tre figli: Anna "quasi" architetta, Maximilian giurista, Magdalena orafa molta brava; Robert, architetto (1962), sposato con Martina, con due gemelli di 7 anni, Ruben e Mathilda; a Egna c’è Nora (1964) scenografa e costumista, insegna storia dell’arte, sposata con un regista, un altro Roland, e un figlio, Moritz, campione di hockey, che lavora all’Azienda di soggiorno; Richard, sposato con Daniela, architetto (1968) con due figlie rosse come il fuoco, come tradizione delle donne della mia famiglia, Lisa (economia a Innsbruck) e Valentina (liceale). Una bella serie. Tutti adorabili. Ho un bellissimo rapporto con i nipoti e le nipoti, mi telefonano e mi raccontano, sono molto felice, sono veri amici…

Lui, un avvocato, ha detto la cosa più bella sui miei riti: non sono mai entrato, in vita mia, così profondamente nella dimensione del sacro

Vigo di Fassa e Paxos, le due patrie oltre alla città natale.

Sì, due luoghi dell’anima, due case. Fassa è la terra madre, è la ladinità. Il 5 gennaio, come sempre alla vigilia dell’Epifania, abbiamo benedetto la casa, eravamo su con Petra, Nora, Richard e altri parenti, più due amici di Lecce, in punta di piedi… Lui, un avvocato, ha detto la cosa più bella sui miei riti: non sono mai entrato, in vita mia, così profondamente nella dimensione del sacro. Si sta lì un paio d’ore a salmodiare, a pregare, ad affumicare… Si scrivono col gesso le iniziali dei nomi dei tre magi sullo stipite della porta: K + M + B + 2023, la formula sull’ingresso di casa, la bocca della casa, si benedice per prima la cucina, un’altra bocca… poi le stanze da letto, il cagadór, il luogo dove si evacua, perché anche quello ha la sua importanza. Viene un mio amico di Vigo a dirigere il rito, uno dei “ragazzi” fa il capocerimoniere… Alla fine, vino e biscotti… un rito semplice. In Grecia sono 55 anni che andiamo, Roland ha comprato un rudere, che ha messo apposto e non si è goduto. Una casa accogliente, da mezzo secolo ci viviamo nello stesso modo, andandoci a turno in vacanza. Viviamo la casa ma anche i vicini, che sono filoi, amici veri… Il più grande amico di Roland era Spiro, sindaco di Gaios, il paesino dell’isola. L’anno dopo la moglie mi porta al cimitero: e cosa vedo? Sulla lapide della sua tomba, essendo morto poco dopo mio marito, hanno scritto il nome di Spiro ma anche del suo filos Roland. Bellissimo. Commovente.

Se chiedono alla scrittrice Dal Lago chi, che cosa è oggi, che cosa risponde?

Rispondo: sono quello che vuoi. Trentina, ladina, fiammazza, sudtirolese, italiana, tedesca… Boh. Io, più che essere o venire da…, passo. Diciamo così: passo, di luogo in luogo, di anno in anno.

Non ho mai avuto impressione di far parte di un gruppo invece di un altro, come negli ultimi anni: ora si sente di più. Una volta si cambiava lingua, tra italiano e tedesco, e cambiar ambiente. E senza fatica. E non è bello

Com’è la Bolzano 2023?

Io la trovo molto degenerata, vent’anni fa era meglio ma forse il fatto è che sono anch’io peggio, più critica e cattiva, di vent’anni fa. Comunque non c’è più quel rapporto umano, tranquillo che c’era una volta. Non ho mai avuto impressione di far parte di un gruppo invece di un altro, come negli ultimi anni: ora si sente di più. Una volta si cambiava lingua, tra italiano e tedesco, e cambiar ambiente. E senza fatica. E non è bello.

È colpa della politica?

Sicuramente sì. Anche.

Ha conosciuto, bene, tre Landeshauptmänner. Un’impressione su ciascuno, visto da vicino.

Magnago era davvero un vicino di casa, eravamo amici di famiglia, e poi conoscevo la moglie che lavorava in Rai… Magnago era carismatico, un profeta, in fondo. Il Luis invece era uomo di grande attività: il Durnwalder, che slancio. Incontrato tante volte. Vitale. Più contrastato il Kompatscher, bravissima persona ma in grosse difficoltà con i suoi, non ha libertà di movimento. Tre personaggi molto diversi. Tutti e tre molto intelligenti.

E il sindaco di Bolzano?

Lo conosco, ma troppo poco come uomo, ho letto i suoi romanzi, ma non mi intendo di politica né di pubblica amministrazione. Boh. Non so. Non so.

I giornali, anche quelli una “casa” per BDLV. Anche loro peggio di quelli di 20 anni fa?

Mah, non lo so, ai giornali resto affezionata. Sono abbonata all’Alto Adige e all’Adige, e poi prendo anche qualche volta il Corriere dell’Alto Adige, su cui continuo a scrivere una volta in settimana. In rete vedo il giornale di Tribus e il Salto.bz, che mi piace molto. È fresco e libero come era una volta il Mattino, forse se lo ricorda… Era quella, e sarebbe ancora, l’idea giusta: superare le divisioni, i recinti fra i gruppi linguistici e politici.

Be’, era una stagione difficile ma eroica, fare concorrenza all’Alto. Curti se le inventava tutte, nel marketing… Incluso il librettino del “Sciur-gelato”, raccontino sull’Uomo del Similaun, formato piccolo, copertina gialla, autrice una certa Brunamaria… E il Dolomiten, lo legge?

Solo ogni tanto, ogni tanto la Petra me lo passa. Ne ho un’idea vaga, quasi vagolante.

Be’, la corazzata della Familie Ebner spara volentieri sull’Arno, cercando di affogarlo. Una Zeitung che fa corrente, che fa politica, insomma.

Mah, boh, non saprei. Preferisco starne fuori. Dalle correnti.

Torniamo ai libri, allora. Il primo titolo pubblicato?

Naturalmente “Storie di magia”. Avevo un’amica a Milano, Margherita Granetto della casa editrice Lato Side, mi ha portato dalla Grecia dell’olio che avevo dimenticato e ha visto che avevo scritto tante storielle e nel 1978 mi ha regalato questa prima edizione. Era una casa editrice che pubblicava anche i testi dei cantautori.

“Sulle soglie” è l’ultimo titolo. Tra poco in libreria con Reverdito.

Ho fatto tre libri di racconti e leggende con il professor Elmar Locher, una bella testa. E ultimamente ne ho fatti due con la filosofia Rosetta Infelise Fronza. Il primo si chiama “Colori del pensiero”, quello nuovo “Oltre le soglie”… riflessioni filosofiche sue, letterarie mie e poi ci attacco una coda, una traccia, un racconto… l’apertura verso un’altra via. L’immagine che mi ha sempre seguita nella costruzione di questi due libri è quel meraviglioso verso di Montale in Ossi di Seppia che dice: “Forse un mattino andando in un'aria di vetro,/ arida, rivolgendomi, vedrò compirsi il miracolo”. Ecco il miracolo, essere ancora in grado di stupirsi, meravigliarsi… Abbiamo scelto dieci idee, dieci parole, dieci soglie da visitare e oltrepassare. Da Amicizia fino a Abbandono: abbandonarsi ed essere abbandonati.

Altri progetti?

Ce ne sono alcuni, perché non sono mai stanca. Il primo è per l’Istituto culturale ladino, un catalogo ragionato dei giocattoli tradizionali che abbozzavano in Val di Fassa e poi rifinivano in Val Gardena e poi giravano il mondo. Un’amica di Padova li ha raccolti. Duecento pezzi. Faranno anche una mostra. Interessante, il discorso sul gioco, i passaggi di valle in valle… Il cavalluccio ladino lo trovi perfino in Danimarca… E poi ancora un altro libro di racconti significativi, come quello della vigilia dell’Epifania, del mio amico scultore sciamano Fulvio Vian, che viene spesso da me e parliamo di tutte le cose di questo mondo. Ha finito il rito con questa storia: la notte dei Magi gli animali parlano e il contadino ascolta quel che dicono su di lui ma gli animali se ne accorgono e allora lui viene trasmutato in un pezzo di legno, cambia dimensione, diventa un albero che sente, respira, parla con gli altri alberi ma non può parlare con gli umani, perché ha oltrepassato il confine degli zoccoli ed è stato punito. Nel rito e nel mito bisogna entrarci in punta di piedi.

 

Tra i mille libri letti, quale è il più straordinario?

Mah, sono così tanti. Un mare. Mi perdo e mi ritrovo in ogni libro, non so dire… Amo moltissimo i russi ma anche i sudamericani, adoro Calvino e ho avuto la fortuna di incontrarlo. Hesse in persona mi ha dato l’incarico di tradurre le sue poesie, esperienza veramente grandiosa, non era un uomo che parlasse molto, la cosa fu decisa davanti a un iris azzurro che teneva in un vaso… nella sua casa del Canton Ticino. Sono rimasta senza fiato. C’erano Roland, Botta e il nipote di Hesse, un ragazzo che lavorava nello studio di mio marito a Bolzano e un giorno aveva proposto: non è che magari volete conoscere mio nonno Hermann?  

I miei amici greci vivono ancora il mito. Si chiamano come nei miti e vivono nel mito. Cosa da noi dimenticata

La storia che le è più cara?

Sono molto affezionata a una nuova versione della leggenda della Medea raccontatami dieci anni fa da una giovane greca a Paxos. Mi dice: Bruma (lì mi chiamano così, con la m), ti voglio raccontare una storia, la Medea. E mi racconta che il marito l’aveva chiamata con i figli in Germania: e aveva trovato cieli alti e case senza vicini, si sente un’estranea anche perché il marito sta con la figlia del padrone, e così le appaiono ombre di forbici sulle teste dei suoi figli… come Medea che poi li uccise. Ma lei dice: Medea, i tuoi erano altri tempi. E allora lei lascia quell’uomo, prende un treno, prende una nave senza musica e senza caffè e ritorna a casa sulla nostra isola, con i suoi figli. Lasciando tutto alle spalle. Ecco, i miei amici greci vivono ancora il mito. Si chiamano come nei miti e vivono nel mito. Cosa da noi dimenticata.

La più bella parola tedesca, secondo BDLV?

Unheimlich, inquietante, misterioso, meraviglioso…traducilo come vuoi tu. Qualcosa che non c’è. Una parola di mezzo.

E in ladino?

Un saluto, Divelpai… “Dio ve lo paghi”, Dio ti benedica… il concetto è che siamo un pezzo di un tutto, una rotella.

Come lo celebrerà, l’88°?

Non lo so, non ho capito niente. I miei mi faranno un po’ di festino feston, spero. Sennò mi metto a letto, chiudo gli occhi e basta. Sono un po’ stufa, sapete, con tutto quel che succede nel mondo ma… tirem innanz.

 

E intorno a Bruna appare un po’ di bruma. Ma si diraderà. Come sempre succede sui laghi. Buon Ottantottovolante! Sperando in almeno altre 88 storie. Di lago, di monte, di angeli e mostri. Insomma di quelli che ci abitano intorno. E soprattutto dentro di noi.