Umwelt | L’urgenza

La sfida del nostro tempo

“Limitare il cambiamento climatico è una delle sfide centrali del nostro tempo”: così il sindacato tedesco, DGB.
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Foto: Pixabay Industria

Secondo la Deutscher Gewerkschaftsbund, la maggiore confederazione sindacale tedesca DGB, è necessario un cambio di rotta per prevenire “danni incontrollabili allo sviluppo sociale ed economico della popolazione mondiale”. “La politica climatica avrà successo solo se le politiche sociali, ecologiche e le esigenze economiche, quali il buon lavoro o la prosperità sostenibile sono in egual misura inclusi nel progetto di trasformazione”: si legge nella premessa di un recente documento del DGB.

Anche la Cgil è convinta che i dipendenti interessati dalla trasformazione devono essere pienamente tutelati e messi in grado di ottenere nuove opportunità di lavoro. Servono perciò percorsi praticabili se si vogliono raggiungere determinati obiettivi climatici nei singoli settori, pena la mancata accettazione da parte della popolazione, che è indispensabile. Un percorso per la protezione del clima equilibrato e vincolante deve garantire una pianificazione a lungo respiro e predeterminata, sia per i dipendenti che per gli investimenti pubblici e privati.
Proprio per questo vanno definiti a priori i percorsi di trasformazione e gli investimenti necessari. Questo potrebbe portare non solo alla modernizzazione dei processi industriali, ma ad aumentare pure le opportunità economiche derivanti dalla necessità di proteggere il clima. Assieme a questi aspetti va valorizzato il lavoro.

L'impatto di queste misure concrete va, infatti, esaminato anche per quanto riguarda l'equità distributiva. Questo vale non solo per i lavoratori, ma anche per i consumatori, che andrebbero eventualmente gravati di costi ulteriori sulla base delle loro capacità reddituali, altrimenti si rischia di compromettere il consenso e l'accettazione dei piani climatici, nonché di provocare reazioni indesiderate. E' necessario inoltre escludere la possibilità di spostare in paesi meno rigorosi le emissioni di carbonio e quindi la migrazione delle imprese, in particolare di aziende ad alta intensità energetica.

Al fine di raggiungere gli obiettivi nazionali in materia di clima, è necessario che il legislatore affronti il tema della politica climatica come una scelta che va oltre le questioni puramente ambientali. Gli investimenti per la riduzione di CO2 e le conseguenza che produrranno non avranno un'incidenza lineare nei vari settori, ma produrranno effetti molto diversi. Per questo è necessario stabilire obiettivi flessibili che lascino anche un margine di manovra per affrontare il cambiamento in modo strutturale.

E' problematico gestire annualmente obiettivi climatici rigidi per difficoltà intrinseche dal punto di vista della politica dell'occupazione e degli investimenti, mentre la valutazione andrebbe fatta nel medio e lungo periodo. Se il mancato raggiungimento degli obiettivi annuali dovesse provocare immediatamente misure ad hoc da realizzare a breve termine, non si avrà automaticamente una maggiore protezione del clima, ma, nel peggiore dei casi, una risposta molto negativa da parte della popolazione nelle regioni interessate. Per questo il risultato realizzato deve essere realistico rispetto alla potenziale riduzione di CO2. Eventuali interventi correttivi rendono soltanto più difficile la pianificazione per i consumatori, i comuni e le imprese.

E' meglio adottare un obiettivo indicativo, ma specifico per ogni settore, con l'obbligo di raggiungere i risultati nel medio periodo. Quello che conta è garantire che le misure introdotte portano anche a riduzioni concrete. Possibili flessibilità compensative tra i settori vanno previste in casi eccezionali e anche giustificate senza perdere di vista il raggiungimento degli obiettivi fissati in tutti i settori entro il 2030. In tale ottica i costi per l'acquisto di quote di emissioni di CO2, ai sensi del regolamento europeo sui cambiamenti climatici, dovrebbero essere mantenuti al livello più basso possibile. E' preferibile effettuare gli investimenti necessari nei singoli paesi per una riconversione dei processi produttivi, per stimolare l'innovazione e quindi ridurre così gradualmente le emissioni dei gas serra. Bisogna inoltre effettuare un esame specifico, settore per settore, per determinare quali misure possano garantire una protezione efficace del clima. Servono progetti che devono soddisfare anche i criteri di compatibilità sociale.

Alla politica compete garantire fondi pubblici sufficienti per sostenere questi percorsi. Essa deve fornire linee guida chiare per la valutazione dell'impatto delle singole misure e un loro monitoraggio continuo. Serve una griglia trasparente dei criteri di valutazione, e che oltre a raccogliere i dati, deve prevedere anche criteri uniformi per gli indicatori sociali, ecologici ed economici, garantendo così la massima trasparenza e la possibilità di comparazione. Il sindacato deve rivendicare la gestione degli impatti sociali ed economici delle misure proposte, dal momento che, oltre alla riduzione dell'uso di combustibili fossili, vanno valutati gli effetti sul mercato del lavoro, sulla sua qualità dell'occupazione e sulla distribuzione del reddito.

Ma anche il prezzo dell'energia e gli effetti sulla mobilità delle persone e non ultimo sul costo delle abitazioni, che è legato anche ai consumi energetici, sono tutti aspetti che vanno inclusi in questo ragionamento. Inoltre le conseguenze sociali, ecologiche ed economiche vanno per forza incluse nella discussione che porta alle decisioni finali. Serve un coinvolgimento dei cittadini e delle loro rappresentanze politiche e sociali anche con il coinvolgimento di commissioni di esperti in materia climatica indipendenti dai singoli governi. L'attuazione della politica climatica dovrebbe essere valutata, infatti, anche fuori dalle strategie dei governi. Una commissione di esperti può dare un importante contributo in tal senso se racchiude al suo interno la dimensione sociale, economica e ambientale della politica climatica.