Kultur | Salto Afternoon

Liberi in carcere

Le foto scattate dai detenuti della casa circondariale di Bolzano diventano un libro, curato da Nicolò Degiorgis. “L’arte ha un linguaggio evasivo”.
Prison Photography
Foto: Salto.bz

Riportare l’attenzione sulla dimensione del carcere attraverso l’enciclopedico linguaggio dell’arte. È la pregevole iniziativa che l’artista Nicolò Degiorgis ha costruito intorno alla mostra Hämatli & Patriae che ha curato per il Museion. Dal progetto è nato un libro, Prison Photography (ispirato all’omonimo blog statunitense), che raccoglie fotografie in bianco e nero scattate dal 2013 al 2017 dai detenuti carcere di Bolzano nell’ambito del corso di fotografia tenuto dallo stesso Degiorgis per la cooperativa alfa beta piccadilly. Corsi che l’artista tiene ormai da 4 anni animato da onnivora curiosità e interesse “a livello umano, oltre il 70% dei detenuti sono immigrati, questo significa che ci si ritrova magari con 8 nazionalità diverse che devono convivere nella stessa classe”.

Il volume è in mostra a Museion Passage e, dal 26 settembre scorso, nel cortile della Casa circondariale di Bolzano. Perché l’idea di fondo è quella di “mettere in dialogo l’istituzione museale e il carcere” spiega Letizia Ragaglia, direttrice del Museion, nel corso della tavola rotonda di ieri sera (14 novembre) al Passage insieme all’autore del progetto e alla direttrice del carcere Anna Rita Nuzzaci con la moderazione di Paolo Mazzucato, programmista alla Rai di Bolzano. Il concetto è quello di favorire il trattamento penitenziario che significa “trattare il tempo a disposizione in maniera positiva e costruttiva, così da appropriarsi di quegli strumenti utili ad affrontare la vita fuori”, chiosa Nuzzaci. Nel carcere di Bolzano questo si traduce in corsi scolastici e ricreativi perché “l’arte ha un linguaggio evasivo e permette quindi di sentirsi liberi anche fra quattro mura. Soprattutto chi non ha una rete sociale fuori, parlo soprattutto di senzatetto e migranti, è proprio in carcere che a volte inizia a vivere davvero”.  

La difficoltà, nel progetto, è stata quella di realizzare gli autoritratti dei detenuti viste le restrittive regole sulla privacy, “bisognava capire come mantenere l’identità senza svelarla e lo abbiamo fatto in due modi, banalmente sfuocando le foto e coprendo i volti con alcuni messaggi”, afferma Degiorgis. E la domanda è d'obbligo, perché l’arte contemporanea è attratta dalla realtà carceraria? Secondo Ragaglia nei luoghi deputati alla libera espressione, come il museo, la costrizione è spesso una fonte per un progetto artistico. Ne è un luminoso esempio l'installazione dell’artista statunitense Bruce Nauman la quale prevede che lo spettatore percorra un corridoio lungo e stretto, confinato quindi in uno spazio claustrofobico e costretto a guardarsi mentre viene guardato, seguito dall’occhio delle videocamere di sorveglianza.

"L'arte, attraverso l’estetica, deve toccare anche temi sociali e politici" (Letizia Ragaglia)

O ancora “The Prison of Santo Stefano” di Rossella Biscotti (artista che ha esposto anche al Museion), che proponeva i calchi in piombo di frammenti dalla prima prigione per gli ergastolani costruita nel 1793 sull’isola pontina di Santo Stefano. “Non credo nella definizione di arte sociale o politica, penso al contrario che l’arte, attraverso l’estetica, debba toccare anche temi sociali e politici”, puntualizza la direttrice di Museion. All’interno del carcere di Bolzano la frequentazione dei corsi è su base volontaria. “È difficile convincere i detenuti a iniziare, ma poi non vogliono più smettere”, dice Nuzzaci. Tutto pur di sfuggire dalla condanna della mutilazione temporale dei giorni.