Gesellschaft | VISIONI ALTERNATIVE

Contro la dittatura dei click

Evgeny Morozov, esperto di libertà digitale, venerdì 26 a Bolzano. "I social incentivano le fake news, attenti ai propri dati e alla propaganda. Giovani, siate critici".
Morozov, Evgeny
Foto: Internazionale

Un invito a risvegliare la propria coscienza dal torpore del flusso incessante della comunicazione dominante che omette, sapientemente, gli elementi imbarazzanti o in contrasto con la narrativa del potere. Perché il tema è sempre attuale e l’avvento della tecnologia digitale ha solo modificato le condizioni: viviamo in un’epoca di propaganda e le fake news portano acqua al mulino delle grandi compagnie del web, che nell’architettura dei social media mirano a “fare soldi con il massimo numero di click”. “Rubandoci” i dati e rivendendoli per la pubblicità o nuovi progetti di Intelligenza artificiale. Evgeny Morozov, che venerdì 26 gennaio sarà a Bolzano a liceo Carducci (alle 20.30), è un critico dell’informazione, dei social e della sfera digitale, per come si è strutturata. Ma non del ruolo della tecnologia nella lotta verso la libertà e l’uguaglianza. Nato in Bielorussia nel 1984, si è formato in Bulgaria e si è trasferito negli Stati Uniti. Sociologo, giornalista, collaboratore di numerose testate nel mondo (da Internazionale al Guardian passando per New York Times e The Economist) il ricercatore suggerisce di uscire dalla narrativa dei “nemici dell’America”, eredità della Guerra fredda, e di considerare il ruolo della Silicon Valley “integrata” nell’esercizio del potere alla stregua di Wall Street. Morozov concluderà il percorso “Pillole d’informazione”. Da Harvard, dove sta terminando il suo Phd, un’anteprima per salto.bz dei temi sui cui si misurerà.

Salto.bz: Le “fake news” sono diventate un tema ricorrente nel dibattito riguardo a Internet. Le notizie false, accuratamente preparate per sembrare vere, sono viste come strettamente connesse alla tecnologia digitale e alla sfera pervasiva della comunicazione. Allo stesso tempo, sullo sfondo, resta il nodo della propaganda: qualcosa che è legato in profondità alla storia dell’umanità e che ora, nel mondo digitale, rappresenta un fenomeno in estensione. Difficile stabilire quanto, del totale dei contenuti della comunicazione di massa, si possa classificare come produzione ispirata dai governi e da altre agenzie. Qual è il punto della questione, a suo avviso, e in che misura i due elementi sono legati tra loro?

Evgeny Morozov: Io per la verità non mi sono mai appassionato al discorso attorno alle “fake news”, che viene progressivamente usato da coloro che sono al potere – includendo molti politici influenti e le forze economiche che controllano i media i molti Stati europei e nordamericani – per destituire e marginalizzare i propri avversari. Trovo più felice il termine usato in precedenza per descrivere il fenomeno: appunto, propaganda. Ora, la transizione verso una sfera pubblica fondata sulla pubblicità, l’advertising, ha favorito la diffusione di quest’ultimo elemento. Molti utenti prendono parte al processo spesso senza neppure rendersene conto. Questo si verifica da quando esistono network come twitter e facebook. Sfruttando al massimo il numero di pagine visitate, indirettamente favoriscono, incentivano la diffusione di informazioni – senza preoccuparsi in un modo o nell’altro se il loro traffico è vero e accurato. Tutto ciò che a loro interessa è fare soldi con i click.

Non mi ha mai appassionato il termine fake news, preferisco quello più antico di propaganda. Massimizzando il numero di click indirettamente i social favoriscono la diffusione di informazioni senza preoccuparsi se siano vere o false

Perché non possiamo parlare di “post-verità” senza parlare di capitalismo digitale (e del potere che vi è connesso)?

C’è una propensione nel nostro discorso pubblico riguardo a internet: quella di presentare problemi come le fake news come se fossero un qualcosa di non storico e completamente attinente alla sfera culturale – e non a quella economica. Io la penso diversamente e contesto il ragionamento. Le fake news sono una sorta di inquinamento: naturalmente, tu puoi semplicemente guardarti attorno, notare che l’aria è inquinata e iniziare a indossare una maschera. Oppure, puoi realmente guardare alle cause sottostanti del fenomeno e fare qualcosa di attinente al modello politico ed economico che è alla base dell’inquinamento e lo produce. Noi affrontiamo sempre la stessa situazione di imbarazzo: possiamo indossare la maschera degli algoritmi e dei big data per proteggerci dalle “notizie false” mentre non facciamo nulla per indirizzarci verso le cause sottostanti. Oppure, al contrario, possiamo davvero fare qualcosa per affrontarle.

Lei è ancora pessimista a proposito del ruolo di internet nel favorire le istanze di democrazia, libertà, giustizia sociale nel mondo?

Non penso di essere mai stato pessimista al riguardo. Sono sempre stato dell’idea di dare alle persone l’opportunità di esprimere se stesse, di sfidare la narrativa dominante politica e mediatica e via dicendo. Le piattaforme digitali – nel complesso – possono essere adatte per questa valorizzazione individuale e per il trasferimento di potere. Purtroppo, le piattaforme che noi abbiamo “ora” non sono vocate a questo. Piuttosto, sono spinte dalla logica di quello che chiamo l’estrazione di dati: sono affamate dei nostri dati, perché l’intento è vendere avvisi e spazi pubblicitari o usare i dati per sviluppare nuovi prodotti dell’Intelligenza artificiale.

Mai stato pessimista sulla potenzialità della tecnologia per l'espressione individuale e la sfida al discorso politico prevalente. Le piattaforme digitali aiutano, ma non quelle che abbiamo oggi. Sono spinte dall'esigenza di estrarre i nostri dati per l'advertisement o lo sviluppo di prodotti di Ai

Il problema di fondo quindi è la corsa da parte delle grandi compagnie globali del web ad accaparrarsi e utilizzare i dati degli utenti sui social e non solo?

Sì. Il problema non è che qualcuno, in un tal posto, può produrre ogni tipologia di notizie che vuole, ma che il sistema corrente, fino a quando resta legato all’estrazione di informazioni personali, rende più facile la diffusione di questa tipologia di contenuti essendo orientato per massimizzare il più possibile il numero di click. Quindi, se vogliano veramente una valorizzazione degli individui senza nessun effetto negativo dato dalle fake news, dobbiamo trovare una via per essere sicuri che la nostra sfera pubblica sia non più dipendente proprio dall’estrazione di dati o dalla pubblicità.

Ho vissuto in Catalogna, mia moglie lavora lì. Mentre denunciavano la violenza nei cosiddetti Stati autoritari, i media mainstream sottostimavano completamente la violenza della polizia spagnola, senza precedenti, in occasione del referendum

La narrazione a favore dell'impero americano è un'eredità della guerra fredda che va superata. Molti giornalisti europei la alimentano senza essere pagati per farlo. Questo non viene ritenuto un problema, mentre spendiamo così tanto tempo occupandoci dello sforzo di Russia e Cina per una visione mediatica alternativa

Alcuni credono che il Russiagate negli Stati Uniti sia un insieme di notizie gonfiate ad arte per delegittimare Trump e ostacolare il suo sforzo di normalizzare le relazioni con la Russia. Inoltre, in Italia, come in altre nazioni occidentali, la narrativa della comunicazione dominante tende a demonizzare i governi che non sono allineati con gli Stati Uniti e che rappresentano un ostacolo alla loro supremazia. Nella lista dei “cattivi” figurano Iran, Siria, Venezuela, Cina, Corea del Nord mentre ci sono nazioni come l’Arabia Saudita, alleata d’acciaio degli Usa, le cui azioni di guerra e i bombardamenti nello Yemen (con le bombe italiane) vengono sistematicamente sottaciuti. Lei cosa pensa di questa “lotta contro il nemico”?

Penso sia un’eredità della Guerra fredda e qualcosa che dovremmo superare. Sono stato per un sacco di tempo in Catalogna negli ultimi due anni – mia moglie lavora lì – e devo dire che ho letto tantissimi articoli nei media mainstream spagnoli che constatavano la violenza nei cosiddetti Stati autoritari, mentre sottostimavano completamente quando si trattava di riportare l’inasprimento spagnolo verso il referendum catalano, dove il livello della violenza della polizia è stato senza precedenti. Malgrado tutti i recenti dibattiti sulla caduta dell’impero americano e della sua predominanza nel mondo, ancora molte istituzioni e giornalisti che hanno agito in tal modo durante la Guerra fredda, talvolta comportandosi in modo auto-indotto, continuano a servire i bisogni di legittimazione di questo potere senza neppure essere pagati per farlo. È una caratteristica di base di come operano molti media europei. Non capisco come sul pianeta possiamo ritenere che questo non sia un problema, mentre invece spendiamo così tanto tempo occupandoci dello sforzo di Russia e Cina di avere loro propri media internazionali per esprimere una visione alternativa sul mondo.

Ai giovani dico: interrogate l'autorità, siate critici. Sulla Silicon Valley ad esempio, così integrata nell'esercizio del potere alla pari di Wall Street

L’incontro pubblico di Bolzano del 26 gennaio si terrà in un liceo. Cosa suggerisce agli studenti e ai giovani in generale perché affrontino nel modo migliore un mondo nel quale la verità, nella comunicazione pervasiva, è spesso se non nascosta manipolata?  

Li invito a interrogare l’autorità. A domandare in quali particolari condizioni una particolare affermazione risulta vera e in quali altre un’affermazione simile risulterebbe falsa. Serve un pensiero critico di base – e l’idea che molte delle nostre cosiddette verità sono profondamente attinenti al contesto storico e ancora molto fortuite, casuali potrà darci un grande aiuto. Ma più di tutto, ci faciliterebbe avere una visione critica della Silicon Valley e capire che è profondamente integrata in come oggi si esercita il potere. Alla stregua, dico, di Wall Street.

Lei lavora sempre all’università di Harvard?

Sto finendo la mia tesi sulla storia iniziale di Internet e su come questa storia si connetta alla controcultura ma anche all’inizio della cibernetica. Quindi sì, sono ancora qui.