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Umwelt | Mobilità a idrogeno

Il fallimento delle auto a idrogeno

Viaggiare in elettrico, senza emissioni (almeno allo scarico), rifornimenti in pochi minuti e prospettive di sviluppo che sembravano molto promettenti nelle cifre che circolavano una decina di anni fa ma che oggi, ma pure allora, parevano troppo ottimistiche.
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Consegna Toyota Mirai a IIT a Bolzano Sud per il progetto LIFEAlps
Foto: Toyota Italia
  • Il distributore di idrogeno ha la capacità di rifornire circa 15 autobus ad idrogeno al giorno con autonomia di 200-250 km o fino a 700 autovetture. Il conseguente risparmio annuo ambientale si attesta a 525.000 litri di benzina o 440.000 litri di diesel che corrispondono ad oltre 1.200.000 kg di anidride carbonica non emessa in atmosfera.

    Questo è quanto tuttora si legge sulla pagina dedicata di A22.

    Un focus sulla mobilità a idrogeno che continua a persistere, forse per non perdere del tutto la faccia, dopo praticamente lo svanire delle fin troppo ottimistiche previsioni iniziali. Oltretutto, non c’è un unico progetto H2 che in tutti questi anni non abbia avuto contributi statali ed europei il che la dice un po’ lunga del gran pavese altoatesin-sudtirolese pro H2.

    I dubbi di allora si sono concretizzati in un nulla di fatto

    Allora furono pochi coloro che espressero dubbi in proposito alle fanfare idrogenistiche a cui fu dato fiato per anni, fra cui il sottoscritto in particolare sul primo progetto dei bus H2, ovviamente ignorati, se non sbeffeggiati non tanto pubblicamente ma spesso dietro le quinte. D’altronde in quei periodi l’adesione alle esternazioni e ai desiderata del nostrano “Wasserstoffpapst” erano totali. Mi chiedevo allora: ma da dove salta fuori quel numero di vetture da rifornire? Ancora oggi me lo chiedo perché già allora era piuttosto chiaro che non c’era alcuna prospettiva di un inizio di una cospicua produzione di autovetture H2. Con buona pace, ad esempio, anche dell’irrealistico “Masterplan idrogeno” del 2020 a dimostrazione della pervicacia con cui si continua a (s)parlare di idrogeno quasi sempre e solo per il settore della mobilità.

    Com’è un dato di fatto che al centro H2 di Bolzano, oggi in mano ad Alperia che detiene, almeno per quanto ho rilevato, il 44% delle quote societarie di IIT, i responsabili di allora non ci siano più e che i promessi distributori di idrogeno del “Brenner Green Corridor” non siano mai stati realizzati. Adesso, solo grazie ai fondi del PNRR, tale infrastruttura, beninteso dopo oltre quindici anni, pare che venga realizzata.

    Idrogeno salvato dall’Unione Europa

    Cosa rimane di quel progetto? A poco meno di dieci anni dall’inaugurazione in pompa magna del centro H2 di Bolzano Sud, se non fosse stato per il “green deal” della UE e il successivo “fitfor55” che dà spazio ai mezzi pesanti ad idrogeno, su cui comunque i dubbi sono molteplici, e ai bus, probabilmente staremmo parlando ormai di un progetto fallito al di là del discorso sull’efficienza energetica dell’idrogeno su cui si focalizzano i non pochi detrattori e critici sull’H2.

    Il sostanziale fallimento della mobilità automobilistica a idrogeno

    Che sia fallita la mobilità H2 in auto è un dato di fatto. Quei pochi prototipi presentati nel corso degli anni non sono mai diventate auto di serie tranne quelli di Honda (solo negli Usa), Hyundai e Toyota ma con numeri sempre molto ridotti. Soprattutto quest’ultima ha tentato di tenere in piedi quest’offerta. Due sono, però, le recenti notizie di rilievo. Una uscita lo scorso ottobre sul disimpegno, di fatto, dello sviluppo della Mirai (ma non dallo sviluppo dei motori a combustione interna alimentati a idrogeno) e l’impegno solo per i veicoli FCEV solo nel settore dei veicoli pesanti dove, ripeto, i dubbi comunque non sono pochi. La seconda notizia è la chiusura da parte di Shell di sette distributori H2 per auto in California, dove ne erano stati chiusi altri già qualche mese fa, notizia che ha prodotto parecchio “rumore” mediatico.

    L’irrisolto problema dell’uovo e della gallina

    Il problema, come ben spiegato in un recente servizio di Automobil di Vox (qui il link ai video, il servizio è “Was sind die Vor- und Nachteile dieses Modell? – Wasserstoff-auto”) è quello dell’uovo e della gallina. In poche parole, chi potrebbe costruire stazioni di rifornimento H2 non le costruisce perché non ci sono auto da comprare e chi costruisce auto non le costruisce perché mancano i distributori. Banale ma reale, oltre, ovviamente a tutti i discorsi sull’efficienza energetica (produrre idrogeno ha senso solo se prodotto fonti rinnovabili e non si hanno altri metodi per stoccarne gli eccessi) e i costi. La mancanza di una produzione di serie ampia impedisce di ridurre i costi di produzione delle auto H2 e così la recente Bmw iX5 Hydrogen avrebbe un costo sopra i 100mila Euro e pare certo ormai che rimarrà confinata alla piccola flotta pilota realizzata.

    C’è da dire che l’idolatrato, ma anche discusso, megamiliardario sudafricano che anni fa cominciò a creare una rete d’impianti di ricarica elettrica per le sue EV di marca sud-californiana ci aveva visto giusto nel crearla. Certo non è direttamente comparabile con l’idrogeno che ha bisogno di essere stoccato e compresso a 350 o 700 bar ma alle case automobilistiche non gliene è importato nulla di creare una rete di distributori H2, tanto facevano e fanno tuttora, nonostante tanti piagnistei, megaprofitti con le auto a benzina e diesel.

    Idrogeno per bus e camion, ma i dubbi non sono pochi per il trasporto merci

    Adesso l’idrogeno pare avere trovato, come detto, una strada per i trasporti pesanti ed i bus, soprattutto grazie ai fondi del PNRR, ma è l’incognita dei costi la sfida più grande per avere idrogeno “green” a 3, 4 €/kg, quindi pari o meno rispetto al diesel (dato emerso da un recente webinar), rispetto ai costi attuali ben sopra i 10 €/kg. Se già nelle auto il costo elevato, esploso poi durante il boom dei costi dell’elettricità, era uno dei fattori scoraggianti, nel settore del trasporto merci questo rischia di diventare il vero ostacolo alla diffusione dei camion H2 che finora risultano tuttora alla fase prototipale o di preserie. Per tacere di chi vuole produrre camion a idrogeno liquido che, ad oggi, sembra per davvero una follia.

    Staremo quindi a vedere se con i fondi del PNRR le stazioni di rifornimento finanziate di recente dal Ministero dei Trasporti, oltretutto distribuite in modo disomogeneo sul territorio nazionale, potranno “dare il là” a questa forma di trazione alternativa per i mezzi pesanti.

    Bus a idrogeno, tradotto: tanti bus diesel a gogò

    Sui bus cosa dire? Si straparla d’idrogeno ma qui in A.A. poi si è comprato indefessamente diesel, chi mi segue lo sa fino alla nausea, e pure nel 2025 con Sasa pare che sarà di nuovo così nel silenzio totale degli enti proprietari di Sasa (un atteggiamento da testa nella sabbia come gli struzzi), pure con il contraddittorio beneplacito di un piano clima 2040 che su questo aspetto è stato notevolmente ammorbidito rispetto al precedente (sospetto che i costi della transizione abbiano fatto scendere con i piedi per terra più di uno…), come ho già evidenziato nel silenzio assordante (imbarazzato?) della politica e che continua imperterrito. Ma si continua a parlare di idrogeno con progetti, come quello delle Olimpiadi, che bisognerà vedere se poi potranno sopravvivere soprattutto dal punto di vista dei costi.

    Anche altrove hanno acquistato bus a idrogeno, si vedano i numeri ben diversi da quelli locali di Bologna e Venezia. In quest’ultima città si sono accorti che comprare bus e non avere la stazione di rifornimento, anzi avere una stazione di rifornimento per auto, non è l’ideale per rifornire gli autobus quando sono arrivati i primi quattro (attribuendosi di essere i primi, chissà cosa ne pensano qui in A.A.-S.) e così l’attuale “doge” si è reso conto che per rifornire un bus H2 ci vogliono 45 minuti invece di 15. Debbo essere sincero, una risata m’è partita spontanea a vedere quel video con la sensazione che queste scelte si scontrerano, prima o poi, con la dura realtà dei costi.