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“Maschiaccio! Ma ora gioco in nazionale”

Tornata dal torneo in Sudafrica, la bolzanina Alessandra Frangipani racconta l’esperienza con la maglia della nazionale femminile di rugby: dal Sei Nazioni al sogno dei mondiali. "In Italia ci sono ancora molti pregiudizi nei confronti del mio sport".
Alessandra Frangipani
Foto: FIR/Getty Images
  • “Durante gli anni delle scuole medie mi veniva spesso detto che giocavo a rugby solo per stare in mezzo ai ragazzi, mi davano del ‘maschiaccio’. Non ho mai pensato di mollare perché volevo raggiungere il mio obiettivo: vestire la maglia azzurra”. Non usa giri di parole Alessandra Frangipani, rugbista bolzanina classe 2003 da poco tornata in Italia per allenarsi con la prima squadra del Treviso-Villorba per l’inizio di campionato. Ottobre lo ha dedicato alla nazionale, con cui ha vinto tutte le partite del torneo internazionale tenuto in Sudafrica che, sfortunatamente, a causa di una differenza di punti con la Scozia, non sono state sufficienti per conquistare la prima posizione in classifica. “Siamo soddisfatte del lavoro, ma restiamo con l’amaro in bocca”, dice Alessandra, racchiudendo anche il sentimento delle compagne. I prossimi appuntamenti in azzurro: il Sei Nazioni a marzo 2024 e i mondiali in Inghilterra nel 2025. 

  • Frangipani: Noi femmine ci alleniamo e giochiamo come professioniste, ma non riceviamo alcuna retribuzione dai club. Foto: FIR/Getty Images

    SALTO: Com’è possibile che, vincendo tutte partite, al torneo in Sudafrica siate arrivate solo seconde?

    Alessandra Frangipani: Come nazionale italiana abbiamo giocato nel girone B insieme a Giappone, Sudafrica e Stati Uniti. Abbiamo vinto tutte le partite ma, purtroppo, la Scozia, contro la quale non abbiamo mai giocato ma che faceva parte del nostro stesso girone, ha vinto per differenza reti - come si dice nel calcio. Peccato che i punti di distacco fossero soltanto due: nulla nel rugby. 

    Come l’avete presa?

    Siamo tutte soddisfatte del lavoro svolto in questi mesi di preparazione e di partite, però la vittoria era così vicina che ci ha lasciato con l’amaro in bocca.

    Comunque vi portate a casa tre vittorie: avete battuto le altre nazionali con scioltezza?

    Non direi, con facilità non si vince nulla, però sì: è andata bene. E questo ci fa ben sperare per il Sei Nazioni. Non siamo al livello dell’Inghilterra, che ha giocatrici davvero forti, ma le partite che sono alla nostra portata possiamo vincerle. 

  • Gli unici soldi che arrivano sono quelli della nazionale: guadagniamo giusto il minimo per mantenerci, ma nulla di più. 

    Ora sei tornata ad allenarti con il tuo club, il Treviso-Villorba, per l’inizio del campionato élite. Come sta procedendo? Ti torvi bene con la tua squadra e quale ruolo ricopri? 

    Abbiamo vinto la prima partita e questo fine settimana siamo a Roma; è iniziato bene. Io gioco in seconda/terza linea: ho il compito di portare avanti il pallone e placare molto le avversarie. Il clima è davvero bello, le mie compagne sono come una famiglia qui in Veneto. Tra palestra, corsa, allenamenti di squadra e impegni nel weekend, si passa davvero tanto tempo insieme.

    Ti rimane del tempo per studiare o lavorare? Oppure gli stipendi sono sufficienti per vivere?

    Frequento un’università telematica e studio scienze motorie. Questo permette di organizzarmi al meglio. Noi femmine ci alleniamo e giochiamo come professioniste, ma non riceviamo alcuna retribuzione dai club. Gli unici soldi che arrivano sono quelli della nazionale: guadagniamo giusto il minimo per mantenerci, ma nulla di più. Dalle compagne più grandi sento dire che anni fa non si prendeva un soldo neppure con la maglia azzurra, anzi, ci si doveva pure pagare le trasferte. Con il tempo, qualcosa è evidentemente migliorato, speriamo che si continui in questa direzione.

  • Foto: FIR/Getty Images

    Nell’immaginario comune il rugby è uno sport “da maschi”. Quanto ha inciso questo “stereotipo” nel tuo percorso sportivo?

    In Italia, al contrario di paesi come la Nuova Zelanda dove il rugby appartiene alla cultura della popolazione, ci sono molti pregiudizi nei confronti di questo sport. Alle volte perfino all’interno del mondo del rugby alcuni non accettano che il mio sia uno sport per tutti. Durante gli anni delle scuole medie mi veniva spesso detto che giocavo a rugby solo per stare in mezzo ai ragazzi, mi davano del ‘maschiaccio’. Non ho mai pensato di mollare perché volevo raggiungere il mio obiettivo: vestire la maglia azzurra.

    Non c’erano ragazze con cui potevi allenarti?

    Esattamente. A Bolzano ero sola e quindi facevo gruppo con i maschi. Le domeniche, però, andavo in Veneto perché venivano organizzati dei raduni femminili. Ecco perché poi sono entrate a far parte del mio attuale club.

  • Oltre alle ragazze con cui potersi allenare, a differenza del Veneto, a Bolzano mancano anche luoghi dedicati al rugby…

    Assolutamente. Qui in Veneto ogni paesino ha un campo o una struttura riservata al rugby. A Bolzano bisogna rimediare allenandosi sui campi da calcio oppure allo Stadio Europa, ovvero il campo da football americano. Ultimamente, tra Merano e il capoluogo, è partito qualche progetto per introdurre più ragazze nel mondo del rugby, spero si continui così.