Gesellschaft | Volontariato lingue

“Un’esperienza che funziona”

Il Volontariato delle lingue, raccontato da due partecipanti, consente di prendere davvero coraggio nella pratica della lingua tedesca.
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Voluntariat per les llengües
Foto: Ivo Corrà

Il progetto "Voluntariat per les llengües" ha appena compiuto 7 anni ed ha riscosso un grande successo in Alto Adige, sulla scia di quanto sperimentato fin già dal 2003 nella Catalunya spagnola. Non per nulla il programma è stato considerato nel 2005 dalla Commissione Europea come una delle “’Best Practices’ per l’apprendimento delle lingue.

 

Ma come funziona concretamente il Volontariato delle lingue?

In sintesi prevede la formazione di ‘coppie linguistiche’, costituite da un Volontario ed un Apprendente, che dedicano alla conversazione nella lingua da praticare un numero prefissato di ore del proprio tempo libero, solitamente 1 ora settimanale per 10 settimane, da poter ripetere non più di due volte.

I due soggetti si incontrano dove vogliono e quando vogliono, con lo scopo condiviso di aiutare l’Apprendente ad acquisire fluidità e sicurezza nella lingua del Volontario, praticandola in situazioni colloquiali e informali, conoscendosi e arricchendosi reciprocamente.

 

In provincia di Bolzano l’iniziativa ha l’ovvio scopo anche di sbloccare dal punto di vista psicologico apprendenti di madrelingua italiana, inserendo l’uso della L2 in un contesto di reale ‘quotidianità’.

Ma come si fa a raggiungere questo obiettivo? E come si sviluppano, nel concreto, queste che - oltre ad essere degli incontri linguistici - sono anche delle vere e proprie esperienze personali di condivisione?

Per rispondere a queste domande (e ad altre), su Salto a partire da oggi incontreremo alcune ‘coppie’. Che avranno l’occasione di descrivere la loro esperienza, spiegando nel concreto cos’è successo e quali meccanismi che si sono stati attivati, per avvicinare la lingua tedesca ad una dimensione di familiare spontaneità.

 

La prima coppia che incontriamo è costituita da Stefano Lodola (Apprendente) e Josephus Mayr (Volontario).

Siete ormai nella fase conclusiva del vostro secondo ciclo di incontri. Ci dite com’è andata?

Stefano Lodola - Posso direi che l’esperienza per me è stata molto positiva. Ho conosciuto Josephus l’anno scorso ed è stato molto appagante, perché abbiamo subito  scoperto di aver tanti hobby e interessi in comune. Insomma: ogni sera quando ci vedevamo spaziamo da un tema all’altro senza neanche accorgercene. Io imparavo vocaboli nuovi ed che anche a lui faceva piacere staccare un po’ dal lavoro e parlare di altro.

 

Come avete fatto ad organizzare i vostri incontri?

Stefano Lodola - Ci siamo trovati 1 ora alla volta e tendenzialmente abbiamo cercato di seguire una cadenza settimanale, a seconda della disponibilità di entrambi. Il percorso l’abbiamo iniziato l’estate scorsa, poi per un po’ ci siamo fermati, riprendendo durante l’inverno. All’inizio del primo ciclo siamo stati introdotti da una signora che ha fatto un po’ da mediatrice, giusto per farci conoscere. Ma poi ci siamo sempre messi d’accordo per conto nostro.

 

Rispetto ai metodi tradizionali di apprendimento della seconda lingua, quali sono le principali differenze nel metodo del volontariato linguistico?

Stefano Lodola - Sei sicuramente più rilassato e parlando un po’ di tutto hai più anche più possibilità di aprirti. Soprattutto hai meno paura di sbagliare e poi ha l’occasione di apprendere vocaboli che non fanno parte della tua quotidianità. Noi due ad esempio abbiamo parlato della campagna, delle automobili elettriche, di fotografia e caccia. In un corso classico invece si studia sempre la grammatica, poi un argomento e via così. Nei corsi si segue per forza di cose un percorso di apprendimento della lingua più ‘standard’.

 

Quali sono i risultati?

Stefano Lodola - Beh, posso dire che dove lavoro, in Alperia, i colleghi di lingua tedesca mi hanno subito detto che mi sentivano più sciolto. In grado insomma di masticare meglio i vocaboli, ma anche nelle condizioni di trovarmi molto più a mio agio anche nell’ascolto.

 

Tecnicamente come si sono svolte le vostre conversazioni?

Stefano Lodola - Abbiamo parlato sempre e solo in tedesco, a parte ora (ride, ndr). E quando magari non capivo una parola Josephus ci girava intorno, cercando di spiegarmela, comunque in tedesco. La traduzione italiana è stata proprio solo l’ultima risorsa, se proprio non riuscivo a capire.

 

Nella conversazione avete utilizzato sempre il tedesco standard?

Josephus Mayr - Sì, certo, il tedesco standard è la prima cosa da imparare quando ci si avvicina alla nostra lingua, anche in Alto Adige. Per me è una bella esperienza perché nel corso del processo riesco comunque anche ad imparare qualche parola in più in italiano. Conoscendo sempre meglio l’italiano riesco anche a capire l’altro modo di pensare. Quando ho saputo di questo progetto ho subito pensato di aderire, perché in realtà in passato avevo fatto un’esperienza simile. Mia mamma aveva l’obiettivo di farci imparare abbastanza bene la seconda lingua e per questo, quando io e i miei fratelli eravamo bambini, chiamò una signora italiana per farci fare una conversazione settimanale. All’epoca noi bambini non eravamo molto contenti, però devo dire che questa cosa ci ha aiutato molto. A scuola non abbiamo poi trovato nessuna difficoltà nell’imparare questa seconda lingua. Va anche detto che a ben vedere la conoscenza d’italiano era già una tradizione di famiglia, in quando mio papà che era del 1909 ed anche mio nonno avevano fatto il liceo a Rovereto. I nonni e i bisnonni sono sempre stati interessati in questo senso, anche prima che questo territorio entrasse a far parte dell’Italia. All’epoca infatti la lingua italiana era già molto importante per tutti coloro che si occupavano di commercio del vino. Come la nostra famiglia.

 

Com’è venuto a conoscenza del progetto?

Josephus Mayr - Con il trattore mi trovavo in via Resia e mi stato dirigendo verso la campagna che abbiamo a San Maurizio. Il trattore viaggia lentamente e allora sulla pensilina di una fermata degli autobus ho visto la pubblicità del progetto. Mi sono messo in contatto con gli organizzatori ed ho iniziato. Oggi sono uno dei più esperti,  perché sono già alla quinta o alla sesta esperienza di volontariato linguistico, ormai ho perso il conto. Devo dire che per me ogni volta si è trattato di un’esperienza positiva. Normalmente cerco di ritagliare il tempo di venerdì, quando la sera devo fare le prove con la banda di Dodiciville dove faccio il timpanista. L’ora di conversazione mi consente di staccare un po’ prima dal lavoro. Per me è molto importante, noi lavoriamo normalmente 12/13 ore al giorno. Ma se arrivo alle prove della banda direttamente dal lavoro nei campi, rischio di non avere le forze e la necessaria tranquillità per concentrarmi.

 

         “Ho avuto il grande vantaggio di ricevere in regalo la seconda lingua e in questo modo ho la possibilità di restituire il regalo.”

 

Com’erano gli altri Apprendenti incontrati?

Josephus Mayr - Le persone più differenti. Ad esempio un impiegato del Comune di Merano che voleva migliorarsi. O la segretaria di una ditta con un titolare di madrelingua tedesca. Quest’ultima prendeva anche appunti ed a casa ripassava. Tutte le persone che ho incontrato alla fine mi hanno confermato di essere riuscite di nuovo a trovare il coraggio di parlare la lingua tedesca sul posto lavoro. Riuscendo a superare un po’ la barriera che c’è, e la paura di sbagliare. 

 

Chi si rende disponibile per mettere a disposizione la propria lingua in che modo viene introdotto nel progetto?

Josephus Mayr - Beh, la cosa è piuttosto informale. A dire la verità io ho un grande difetto: sono molto eloquente e non lascio parlare abbastanza l’alunno. Invece dovrei trattenermi di più per lasciar parlare maggiormente colui che deve imparare la lingua. Se avessi fatto un corso di formazione forse avrebbero potuto convincermi un po’… (ride, ndr).

 

Durante la conversazione si potrebbe utilizzare un timer, come nelle partite di scacchi…

Josephus Mayr - Sì (ride, ndr), per fare in modo che almeno la percentuale sia almeno, non so, 60 a 40.

Stefano Lodola - Comunque quando parliamo ad un certo punto lui se ne accorge che sta parlando troppo e allora mi dice: “ora parla tu che io ho parlato già abbastanza”.

 

Lei signor Mayr questa esperienza la consigliereste anche ad altri volontari di madrelingua tedesca?

Josephus Mayr - Senz’altro. Per me è davvero molto importante che due culture possano comprendersi a vicenda. In questo modo si riesce davvero a facilitare la cosiddetta convivenza. Ognuno - lo ripeto - deve riuscire a capire la vita e il modo di pensare dell’altro. Prima di giudicare occorre conoscere. Secondo me oggi tutti i conflitti nascono sulla base di un problema di comunicazione. In azienda ho 5/6 dipendenti e se succedono grossi problemi o perdite di produzione e cerchi capire cosa è successo, alla fine scopri che si tratta quasi sempre di un deficit di comunicazione. Spesso ai fraintendimenti nello specifico del contesto tecnico si sommano proprio difficoltà di tipo linguistico. Insomma: parlare è molto importante perché è l’unica via per cercare di farsi capire.

 

Per gli italiani di Bolzano esiste anche la necessità di uscire dalla quella abitudine consolidata, che fa in modo che quando un italiano e un tedesco si incontrano, finiscono sempre per parlare in italiano.

Josephus Mayr - È vero. E anche da questo punto di vista bisogna cercare di invertire la tendenza. O, per meglio dire: bilanciare. Consentendo ad ognuno essere in grado di spiegarsi anche nella lingua del prossimo.

 

L’italiano e il tedesco sono lingue così diverse tra loro?

Josephus Mayr - In tedesco forse abbiamo più termini specifici. Io mi arrangio anche con l’inglese, che è molto rudimentale rispetto al tedesco. Non per caso gli scienziati giapponesi usavano il tedesco come lingua scientifica. Poi c’è il discorso della costruzione frase, che in tedesco è diversa. E i modi di dire, che in certi casi corrispondono, ma in molti altri invece sono molto differenti ed anche difficili da spiegare.

 

Spesso nelle esperienze del volontariato linguistico si verifica l’incontro tra mondi diversi, anche da punto di vista dei contesti di lavoro. Con i relativi bagagli di termini specifici.

Josephus Mayr - Sì, certo. Lui fa l’impiegato ed è laureato in ingegneria delle telecomunicazioni e io invece faccio il contadino producendo soprattutto vini. Però noi abbiamo anche molte cose in comune. Ad esempio la musica: lui canta in un coro ed è percussionista come me.

Stefano Lodola - Sì, è vero. Lui fa il contadino, ma ha anche un’auto elettrica. E guarda caso io lavoro in Alperia, ci siamo ritrovati anche su questo. Lui poi conosce così tante persone che alla fine possiamo parlare di qualsiasi cosa.

 

Lei Stefano Lodola come ha saputo dell’esistenza di questo progetto? Consiglierebbe ad altri di prendervi parte?

Stefano Lodola - Anch’io ho visto la pubblicità, poi un amico mi ha raccontato come funziona ed ho pensato di provare. Con Josephus mi sono davvero trovato molto bene. E qualche settimana fa ci siamo ritrovati anche ritrovati qui nella campagna di Josefus tutti noi del volontariato linguistico. Lui è stato molto accogliente e mi ha anche invitato ad andare sentirlo suonare il primo maggio in piazza Municipio con la Banda di Dodiciville. Naturalmente ci sono andato.