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Grand Tour: scoprire realtà giovanili

Il progetto di micro-mobilità nazionale che permette ai giovani operatori culturali del territorio di scoprire nuove pratiche, tessere relazioni e opportunità di scambio
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Foto: Irecoop

Grand Tour è parte della piattaforma progettuale Yourope 21-27: un insieme di workshop, eventi e proposte formative che hanno l’obiettivo di stimolare l’innovazione e la multi-potenzialità dei giovani e delle organizzazioni giovanili e culturali del territorio. Sono state tre le protagoniste selezionate per il progetto; una di loro, Sara Hussein, ci racconta la sua esperienza.

salto.bz: Presentati: cosa fai nella vita?

Sara Hussein: Sono originaria di Trento anche se la mia è un'identità un po' ibrida. All’università ho studiato filosofia e ho avuto la possibilità di trascorrere lunghi periodi all’estero. A Bolzano sono arrivata per la prima volta nel 2018 quando ho iniziato a collaborare con l'Onlus Operation Daywork, approfondendo anche sul campo la difficile situazione dei profughi siriani in Libano. Poi dal 2020 fino a maggio di quest'anno ho lavorato per Arci Bolzano dove, in team, mi sono occupata dell'ideazione di iniziative culturali. Da giugno sono invece entrata a far parte dell'Ufficio delle Politiche Giovanili della Provincia come progettista culturale.

Come nasce il progetto Grand Tour?

Grand Tour è un progetto che trae ispirazione dalla pratica del viaggio che nel XVIII e nel XIX secolo era parte essenziale della formazione di giovani intellettuali e artisti. Proprio come i grand tour del passato, questa iniziativa di micro-mobilità nazionale mira ad offrire a giovani operatori e operatrici culturali della provincia l’opportunità di fare un'esperienza in una realtà significativa fuori regione e di poter costruire su di essa un racconto condiviso.

Grand Tour nasce dalla convinzione che l’innovazione non sia il frutto di un’idea geniale estemporanea, bensì giunga come risultato della capacità di creare collegamenti, re-interpretare ciò che già esiste in contesti differenti.

In cosa consiste?

Si tratta di un programma di micro-mobilità nazionale, che favorisce quindi lo scambio tra giovani – tra i 18 e i 35 anni – attivi nelle organizzazioni della provincia e persone che si occupano di attività culturali e giovanili in altre realtà italiane. Dal confronto tra idee diverse e progettualità simili in territori diversi si potenzia proprio quella abilità di ibridazione che dà poi luogo all’innovazione.

Come ne sei venuta a conoscenza? Perché hai deciso di farne parte?

Il mio instancabile desiderio di esplorare nuove realtà mi ha avvicinato subito a questa iniziativa. E così, l'estate scorsa, rientrata dai Campi della Legalità in Sicilia – iniziativa regionale di Arciragazzi e Arci del Trentino – ho deciso nottetempo di candidarmi. La mia lettera motivazionale è stata valutata positivamente dalla commissione e così è poi cominciata l'avventura.

Quando è stato svolto?

Il progetto è cominciato a inizio ottobre 2021 con gli incontri pre-partenza. A novembre le altre due partecipanti selezionate ed io abbiamo intrapreso il nostro viaggio formativo e costruito una narrazione sulla nostra esperienza che è poi stata presentata all'incontro di restituzione. A inizio febbraio, infatti, le realtà italiane coinvolte sono state invitate a venire a Bolzano e qui sono stati aperti dei tavoli di confronto con le associazioni locali.

Oltre agli incontri di restituzione, abbiamo riportato sul territorio le narrazioni della nostra esperienza, che sono state diffuse sia sui social media che raccolte in un libricino stampato. L’obiettivo finale è proprio quello di favorire la creazione di reti e relazioni che possano tradursi in nuove opportunità progettuali e scambi.

In questo senso, la narrazione della nostra esperienza serve proprio a trasferire le buone pratiche che abbiamo potuto osservare e da cui abbiamo potuto prendere spunto sul nostro territorio.

Quali sono stati gli attori coinvolti?

Questa prima edizione di Grand Tour è nata su proposta della cooperativa Irecoop Alto Adige con il sostegno dell’Ufficio Politiche Giovanili. La rete delle realtà coinvolte a livello nazionale comprende luoghi nati da processi di rigenerazione urbana a base culturale, come Moltivolti a Palermo, un’impresa sociale che si occupa di ristorazione, cultura e inserimento sociale a Ballarò, CasermArcheologica a San Sepolcro, la Rete delle Case del Quartiere di Torino che riunisce le case di quartiere di Torino per diffondere le buone pratiche ed organizzare un welfare di comunità, Facto Montelupo a Montelupo Fiorentino o le Serre dei Giardini Margherita a Bologna ed ExFadda in Puglia. Io sono stata ospitata due settimane da OvestLab a Modena, un'officina di idee, una fabbrica civica nata all'interno di un capannone industriale dismesso nel cuore del Villaggio artigiano di Modena Ovest.

Quali sono gli obiettivi del progetto?

Partecipare a un progetto di questo tipo significa decidere di investire sul proprio sviluppo personale e professionale con l’obiettivo di trasferire quanto si apprende durante il viaggio nel proprio contesto di vita e di lavoro. Fondamentale è assumere lo sguardo di quello che definirei l'"antropologo urbano", uno sguardo attento alle dinamiche tra le persone, capaci di cogliere gli elementi le sfumature, i dettagli, gli elementi "antirottura", quelli che rendono peculiare e unico quello spazio all'interno di un contesto relazionale complesso. Quest'esperienza ha permesso non solo a me e alle altre partecipanti, ma a tutte le realtà coinvolte di creare nuove sinergie, di contaminare con idee nuove le progettualità implementate e di avviare dei percorsi di riflessione condivisi.

Cosa ti sei portata a casa da questo progetto? Perché?

Grand Tour ha rappresentato per me un'iniezione di entusiasmo. Accompagnata da Silvia Tagliazucchi, docente di architettura all’Università di Ferrara, membro del collettivo Amigdala, una delle due associazioni che gestisce OvestLab, ho scoperto una dimensione estremamente dinamica che sperimenta una nuova connessione tra discipline artistiche, produzione artigianale, rigenerazione urbana e partecipazione dei cittadini. Ad OvestLab la sensazione è quella di trovarsi all’interno di un’“officina di idee” in continuo movimento, dove ogni giorno è differente dal giorno precedente. OvestLab è infatti una realtà fluida la cui identità si rispecchia nei processi che attiva. È una fabbrica civica in continuo mutamento, in costante rapporto con l’esterno, dove si prova a riaffermare il ruolo del cittadino come protagonista nella trasformazione e innovazione dello spazio urbano. Un luogo complesso che attiva energie e crea sinergie che mi ha permesso di scoprire nuove pratiche di empowerment culturale.

Immergermi in una esperienza di questo tipo mi ha permesso di capire che l'innovazione non è solo nel contenuto delle cose che si fanno, ma nel modo in cui queste vengono fatte.

La cosa che ti è rimasta più impressa?

Ciò che mi ha maggiormente colpito è la postura assunta da chi vivifica OvestLab.

In che senso?

Non si replicano buone pratiche ma si esplorano costantemente nuovi scenari ed orizzonti, anche attraverso il linguaggio delle arti performative, assumendo serenamente il rischio di imboccare un sentiero che può rivelarsi più contorto del previsto.

Cosa hai scoperto di nuovo?

È quindi fondamentale valorizzare la multidisciplinarietà dei luoghi e l'interdisciplinarietà dei gruppi di ricerca avviando circoli virtuosi in grado di aumentare la qualità della vita del territori e ingaggiando sempre la comunità locale nei processi di cambiamento. Nonostante i contesti regionali e provinciali non siano né uguali né particolarmente affini, penso che i processi di attivazioni di reti e di alleanze con le realtà pubbliche, gli enti del Terzo Settore, e le comunità siano le pratiche che maggiormente dovremmo mettere in atto affinché anche la nostra realtà possa esprimere al meglio le proprie potenzialità.

Rifaresti l'esperienza?

Rifarei senza ombra di dubbio questa esperienza anche per conoscere le altre realtà della rete e aprirmi ancora a nuovi spunti e contaminazioni.