Gesellschaft | Trentino

Pane e socialità

I forni sociali stanno tornando ad animare i quartieri: la storia di Migola a Canova di Gardolo, in Trentino.

Quello della panificazione – arte antica come testimoniato anche dagli oltre trenta forni rinvenuti a Pompei – è stato per lungo tempo un rito collettivo consumato all’interno dei cosiddetti forni comunitari. Numerosi villaggi della Valle d’Aosta e del Piemonte, ma più in generale dell’intero arco alpino nord occidentale, possedevano forni in pietra utilizzati dagli abitanti per cuocere il proprio pane; in passato il luogo dove si cucinavano gli impasti non era solo uno spazio legato alla sopravvivenza, ma rappresentava anche un punto di socializzazione. Sebbene oggi quasi tutti posseggano un forno domestico, l’idea di uscire da casa per condividere conoscenze e tradizioni legate al pane è tornata ad animare alcune realtà italiane, tanto che a Rocca Cigliè nel cuneese i proprietari della vecchia struttura del forno hanno lasciato l’uso in comodato gratuito al Comune che ha poi creato un’associazione che si occupa del suo funzionamento.

 

taglio pane

Accanto al valore culturale, appare forte anche quello socio-economico dato che il prezzo del pane – cibo semplice fatto di acqua, farina, sale e lievito – ha subito negli ultimi anni un forte aumento. Alimento essenziale, spesso quasi unico per le classi povere, il pane è stato spesso sottoposto a pesanti tassazioni ed è stato al centro di contestazioni, come l’assalto al forno delle grucce avvenuto a Milano l’11 novembre 1628 e ricordato da Alessandro Manzoni ne I promessi sposi. Oltrepassando i confini nazionali, il pane continua a essere motivo di forti rivolte, basti pensare che anche le proteste delle primavere arabe hanno visto la loro origine nell’aumento del prezzo del pane, oltre a quello di altri generi alimentari di prima necessità. Quando si pensa a pane e rivolte, è impossibile non ricordare la battuta tradizionalmente attribuita a Maria Antonietta d’Asburgo-Lorena che, rivolgendosi al popolo affamato, disse: «Se non hanno più pane, che mangino brioche», un’espressione che rischia di diventare realtà dato che in dieci anni il costo della pagnotta è aumentato di oltre il 50%.

Secondo Assoutenti, in vetta alla classifica italiana ci sono le città di Trento e Bolzano, dove il pane supera in media i 6 euro al chilogrammo. A fronte di questi numeri, l’autoproduzione rappresenta un modo per avvicinarsi in tutti i sensi al valore del cibo: cuocere in un forno comunitario o sociale permette di scegliere le materie prime, di decidere come unirle, di toccare con mano gli ingredienti. Un’associazione che vuole fare del momento dell’impasto un’occasione di socializzazione è la trentina Carpe Diem che, tra i suoi progetti, annovera il forno sociale Migola (nel dialetto locale significa “briciola”): aperto nel 2015 a Canova di Gardolo, quartiere periferico di Trento, è a disposizione di chiunque voglia infornare pane, pizze e focacce. È Vittoria De Mare, direttrice di Carpe Diem, a spiegare cosa significa per la comunità poter usufruire di un forno comunitario.

 

farcitura pizza

salto.bz: Perché e come avete deciso di aprire il forno sociale Migola?

Vittoria De Mare: Il forno sociale nasce come progetto di sviluppo di comunità. L’associazione Carpe Diem esiste dal 2003 e ha una storia intrecciata con la gestione dei centri Giocastudiamo, frequentati da bambini dai 6 ai 14 anni. Negli anni ci siamo accorti che le famiglie del territorio avevano bisogno anche di altro oltre che ad attività indirizzate ai più giovani. Da questa osservazione e dal sogno di una volontaria è nata l’idea di realizzare un programma per tutta la comunità del quartiere: insieme a un’altra associazione, Germogli, abbiamo così acquistato un forno e il 27 gennaio 2015 abbiamo inaugurato il nuovo spazio.

In che modo un forno sociale può essere un centro di socialità e accoglienza?

La filosofia che sta alla base del progetto è la volontà di dare alle persone una “scusa” per incontrarsi. Vogliamo scardinare un po’ quel concetto secondo il quale le persone che hanno bisogno chiedono aiuto in determinati posti e le altre si arrangiano in modo autonomo. Con il forno abbiamo fatto una scommessa: con il pretesto di fare il pane – attività collante perché lo possono fare tutti – si creano momenti di dialogo – il tempo di attesa della lievitazione. Al forno s’incontrano persone con difficoltà anche temporanee e persone con maggiori risorse da mettere a disposizione. Qui si viene per autoprodurre il pane, non perché si ha bisogno di aiuto, ma allo stesso tempo è uno spazio che accoglie le richieste di aiuto.

Chi sono i fruitori di Migola?

Le porte sono aperte a tutti, dagli 0 ai 99 anni. Abbiamo un target abbastanza eterogeneo, un po’ centrato sulle donne – la cucina è ancora appannaggio femminile – e sui pensionati. Ma ci sono anche giovani, persone momentaneamente disoccupate in cerca di un interesse, famiglie che accedono con i bambini e gruppi ingaggiati tramite altre cooperative come la Rete (si rivolge a persone con disabilità) o il Centro Astalli (si rivolge a persone con un percorso migratorio). Penso che riusciamo a rivolgerci un po’ a tutti, anche perché si chiede una quota di compartecipazione minima, 2 euro a volta, una cifra calmierata in modo tale da permettere a tutti di poter accedere quando vogliono.

 

pagnotte

Cosa serve per venire al forno?

Il concetto base è l’autoproduzione, quindi le persone si portano da casa la farina e il lievito per fare il pane oppure gli ingredienti per farcire la pizza.

Chi frequenta il forno è più interessato all’arte della panificazione o a condividere del tempo in compagnia?

Direi metà e metà. Per esempio A.M.A., un’associazione di auto mutuo aiuto che collabora con noi a cui si rivolgono persone che stanno attraversando un momento di difficoltà come può essere la depressione, intercetta persone che avrebbero bisogno di stare in compagnia. Lo stesso avviene con il servizio sociale. Poi ci sono gli accessi liberi del territorio, cioè persone che vengono perché incuriosite dalla possibilità di panificare.

Canova di Gardolo è abitato da persone di oltre cinquanta nazionalità differenti. Questa pluralità incide in qualche modo sul vostro progetto?

Questa pluralità ha inciso sulla nostra intera storia, non solo su questo progetto. Canova fa parte della circoscrizione di Gardolo che è la più popolosa, la più giovane e quella con la percentuale maggiore di persone che vivono in situazioni di indigenza. Nello specifico, Canova su 3000 abitanti ha 52 etnie differenti, un record nazionale, con una percentuale di persone che hanno vissuto un percorso migratorio che si aggira intorno al 30%. Noi dobbiamo tutto a questo quartiere, perché i suoi abitanti partecipano alle attività, non bisogna andare a prenderli a casa. Qui lo spazio pubblico viene vissuto come un’espansione di quello domestico.

Secondo te, qual è il valore di un forno sociale per un quartiere come Canova?

Il suo valore sta nel fatto che è un luogo aperto, di incontro e di scambio, dove alle persone non viene chiesto nulla se non di fare il pane insieme. Tutto quello che viene dopo, arriva per iniziativa e volontà di chi abita il forno. È un progetto che mescola bene professionalità e volontariato e che promuove la prossimità.

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Dietmar Nußbaumer So., 23.07.2023 - 20:25

Ein interessanter Artikel und ein Beispiel dafür, wie eine Gemeinschaft selbst ihr Schicksal lenken kann. Übrigens, früher hatte es Brot gegeben, das einen vom Staat garantierten Preis nicht überschritten hat, gibt es das noch? Und das Brot der armen Leute waren Kastanien und Kartoffeln.

So., 23.07.2023 - 20:25 Permalink