Gesellschaft | L'inchiesta

Accoglienza, ecco cosa non funziona

La morte di Mostafa ha fatto emergere la contraddizione dell’Alto Adige che mentre apre le porte a milioni di turisti, costringe centinaia di persone all'addiaccio.
senta tetto senzatetto senza fissa dimora - rifugio a Bolzano sud
Foto: Alessio Giordano

(*) Nella notte tra giovedì 8 e venerdì 9 dicembre Mostafa Abdelaziz Mostafa Abouelela, 19 anni, è morto assiderato a Bolzano. Aveva lasciato l’Egitto nel 2019 e aveva vissuto per qualche tempo in Francia. Era riuscito a giungere nel capoluogo altoatesino da pochi giorni insieme a un amico, con l’intenzione di presentare domanda di protezione internazionale. I due avevano trovato riparo in una baracca di legno tra i piloni della linea ferroviaria Bolzano-Merano a Bolzano Sud. Il giovedì fatale erano andati a dormire verso le 22. Dopo qualche ora l’amico si era svegliato e, notando che Abouelela non dava più segni di vita, ha allertato i soccorsi, che giunti sul posto hanno cercato di rianimare senza successo il ragazzo. Un articolo pubblicato dal portale di informazione salto.bz riferisce che Abouelela era in lista di attesa per un posto letto in dormitorio insieme ad altre 170 persone.

Attualmente in Alto Adige sono aperti cinque dormitori, distribuiti tra il capoluogo e le cittadine di Merano e Bressanone. A Bolzano l’“Accoglienza Notturna Temporanea”, gestita dal Gruppo Volontarius, e l’“Ex Alimarket”, un vecchio capannone industriale convertito in struttura dalla Croce Rossa italiana, offrono rispettivamente 95 e 90 posti letto per uomini adulti. Le strutture sono situate in zona industriale, all’estrema periferia Sud della città. Il Gruppo Volontarius ha in gestione a Bolzano anche la Casa Conte Forni, che ospita 28 donne senza dimora, e a Merano il “Ricovero Notturno”, che garantisce un letto a 25 persone. A Bressanone, invece, è la Comunità comprensoriale della Valle Isarco a mettere a disposizione 10 posti letto. Il giorno dopo la morte di Mostafa Abouelela, l’assessore alle politiche sociali del Comune di Bolzano, Juri Andriollo, ha stimato che nel capoluogo siano circa 250 le persone che vivono (e dormono) all’addiaccio. Andrea Tremolada, responsabile progetti e attività sociali del Comitato Provincia Autonoma di Bolzano della Croce Rossa, spiega che “molte delle persone costrette in strada hanno concluso con esito positivo la procedura di asilo e spesso hanno anche un lavoro regolare, ma non riescono a trovare casa sul libero mercato, perché -inutile nascondersi dietro a un dito- il mercato immobiliare altoatesino è fondamentalmente razzista. La maggior parte dei senzatetto a Bolzano oggi, però, è costituita da persone che hanno formalizzato -o intendono farlo- la richiesta di protezione internazionale”. Si tratta pertanto di persone che dovrebbero avere accesso al sistema di accoglienza ma ne sono escluse in quanto “fuori quota”.

 

Quella dei “fuori quota” è una peculiarità altoatesina, che esclude dall’accoglienza i richiedenti asilo che riescono a giungere in Alto Adige autonomamente seguendo rotte diverse da quella del Mediterraneo. Dal 2015 a Bolzano sono ogni anno circa un centinaio le persone in questa sorta di limbo giuridico, costrette a vivere in campi informali sotto i ponti o lungo gli argini dei fiumi. A complicare ulteriormente le cose in materia di accoglienza contribuisce la cosiddetta “Circolare Critelli” (dal nome dell’allora direttore della Ripartizione politiche sociali Luca Critelli che la firmò). Emanata nel 2016 ha portato tra le altre cose all’esclusione dall’accoglienza “dei soggetti vulnerabili che risultano essere stati presenti in altri Stati europei, o in altri Stati esteri anche non europei, nei quali era presente la possibilità di chiedervi asilo, nonché le persone per le quali sia riscontrabile una presenza anche temporanea in altre regioni italiane […]”. Peccato che entrambe le prassi -cioè la distinzione tra profughi “ordinari” e “fuori quota” e la “Circolare Critelli”- violano il decreto legislativo 142/2015, che prevede l’applicazione delle misure di accoglienza a partire dalla manifestazione della volontà di chiedere protezione internazionale e, come segnalato dal “Rapporto sulla situazione dei Migranti a Bolzano e sulla rotta del Brennero” curato nel 2017 dall’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi), Fondazione Langer e Antenne Migranti, “non prevede alcun vincolo territoriale e neppure temporale nel scegliere dove presentare la domanda di asilo e chiedere la relativa accoglienza in quanto la domanda può esser presentata alla frontiera o nel territorio nazionale dove il richiedente si trova”.

Per i richiedenti asilo che rientrano nella percentuale assegnata dal ministero dell’Interno -circa l’1% del totale-, invece, la Provincia di Bolzano ha sempre privilegiato il modello di accoglienza dei centri di accoglienza straordinaria (Cas). Nel 2017 erano 26 le strutture impiegate, che ospitavano circa 1.600 persone in tutto il territorio. A partire dal 2018 il calo degli arrivi dal Mediterraneo ha determinato la chiusura progressiva di molti centri e i dati forniti dalla Provincia di Bolzano rivelano che a novembre 2022 i posti disponibili erano 416 (di cui 115 destinati a cittadini provenienti dall’Ucraina).

Fino a cinque anni fa nemmeno uno dei 116 Comuni dell’Alto Adige aveva partecipato a un bando Sprar, oggi Sai. Solo a partire dal 2017 sei Comunità comprensoriali del territorio -Valle Isarco, Val Pusteria, Salto Sciliar, Burgraviato, Val Venosta, Oltradige Bassa Atesina- hanno aderito al modello di accoglienza diffusa con 223 posti per il triennio 2018-2020 ma alla scadenza del bando tre delle sei Comunità hanno deciso di non proseguire il progetto. Sono in corso fino al 2023, quindi, solamente tre progetti Sai, per un totale di 103 posti, 15 dei quali riservati all’“emergenza Ucraina”.

L’amministrazione comunale di Bolzano da diversi anni affronta il tema della grave emarginazione mettendo in campo soprattutto dispositivi repressivi ed escludenti -come sgomberi, Daspo urbani, assenza di un centro diurno per cittadini non europei, architettura e burocrazia ostile-, che spingono le persone sempre più ai margini della città. Osservando quest’approccio di tipo securitario appare evidente la contraddizione del Comune e della Provincia di Bolzano, in grado di accogliere nel periodo da maggio a ottobre 2022 ben 5,1 milioni di turisti ma incapaci di garantire accoglienza e protezione a qualche centinaia di persone. La morte di Mostafa Abdelaziz Mostafa Abouelela ha scosso l’opinione pubblica altoatesina e ha costretto le istituzioni a misurarsi con il problema ma la Provincia di Bolzano ha reagito finora con misure di carattere emergenziale: la capienza del dormitorio “Ex Alimarket” è stata incrementata di 50 posti, si parla genericamente di riaprire i Cas dismessi e il presidente della Provincia Autonoma di Bolzano, Arno Kompatscher, ha annunciato che nei prossimi giorni verrà siglata un’intesa con i Comuni del territorio, chiamati a contribuire con ulteriori 150 posti letto. “Impresa non semplice -commenta Andrea Tremolada di Croce Rossa- data la ritrosia di molti paesi del territorio, dove esiste ancora un forte pregiudizio e permane il timore che una maggiore offerta di servizi possa fungere da fattore di attrazione per le persone senza dimora”. Una collaboratrice di una delle organizzazioni del Terzo settore del territorio che preferisce rimanere anonima ritiene “improprio che si affrontino temi di questo tipo connotandoli come emergenza. Questa è tale per chi la vive in strada, non dovrebbe esserlo per chi il fenomeno -che si ripresenta ogni anno- è chiamato a gestirlo”. Con questi presupposti la morte di Mostafa Abdelaziz Mostafa Abouelela, quindi, non può essere considerata una tragica fatalità o, come ha titolato sabato scorso il quotidiano locale in lingua tedesca Dolomiten, solo un evento “infinitamente triste”, ma appare come la conseguenza delle politiche discriminatorie che l’Alto Adige attua da anni in materia di asilo e nell’accoglienza delle persone senzatetto e senza dimora.