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"La Lega? È l'Italia reazionaria"

Intervista al giornalista e scrittore Gad Lerner, ospite a Bolzano per il 25 aprile in chiusura del Festival delle Resistenze.
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Foto: web

salto.bz . Nelle ultime ore è stato liberato Gabriele Del Grande. Ci offre un suo commento?
Gad Lerner - Devo dire che sono doppiamente contento. Ho infatti vissuto la vicenda con un’ansia speciale perché ho un figlio che vive in Turchia. La sua compagna lavora in UNHCR e lui dunque quelle zone le frequenta abitualmente. Quelli sono luoghi in realtà vicinissimi all’Italia e cruciali per il destino della nostra penisola, ma che noi tendiamo a non guadare applichiamo il proverbio “occhio non vede, cuore non duole”. A noi dà sollievo sapere che quelle masse di profughi disperati che prima attraversavano l’Egeo entrando in Europa attraverso la rotta balcanica, ora non le vediamo più dopo aver pagato Erdogan. Però non ci chiediamo cosa avviene di loro, da quando non li vediamo più. È una vera e propria rimozione: li cancelliamo inseguendo una logica di puro contenimento. Ma prima o poi verrà un momento in cui dovremo chiederci cosa ne è stato di loro. In occasione del 25 aprile dovremmo poterci ricordare di quello che avvenne 70 anni fa quando già dicemmo “questi profughi non possiamo accoglierli, sono troppi, abbiamo i poveri di casa nostra”. E lo sappiamo come andò a finire. 

In realtà la ricorrenza del 25 aprile in Alto Adige è stata vissuta sempre con una certa freddezza da parte della popolazione di madrelingua tedesca…
La memoria è molto difficile da condividere quando ci si trova in una società lacerata, dove anche i ricordi delle famiglie sono di un segno così diverso. 

La provincia di Bolzano negli ultimi tempi ha dovuto fare anche i conti con una sorta di ‘immagine contaminata’ dall’accusa di privilegio per via della sua autonomia. Un’accusa rimbalzata a più riprese sui media nazionali ed anche nel servizio pubblico radiotelevisivo. 
Io credo che dobbiamo mantenere uno sguardo ampio sulla storia e dire che questo speciale beneficio economico di cui la vostra regione ha goduto era davvero necessario. Per sanare appunto una frontiera che altrimenti avrebbe rischiato di incancrenirsi. Le cicatrici della memoria divisa infatti rischiavano di infettarsi. Per gestire e normalizzare la situazione è stata dunque usata anche la leva dei finanziamenti, questo è vero. Oggi con ogni probabilità questa necessità ha fatto il suo tempo, ma del risultato raggiunto dobbiamo comunque esserne tutti lieti. A cominciare dai residenti nella zona, naturalmente. Ma anche tutti gli italiani dovrebbero rallegrarsene. 

Nei giorni scorsi lei ha espresso un giudizio molto critico sulla deriva dei talk show televisivi, un format giornalistico che lei a suo tempo ha contribuito a creare ed a lanciare in Italia. Forse però non molti ricordano che il suo primo programma Profondo Nord celebrò il suo battesimo proprio a Bolzano, il 15 ottobre del 1991, in un Walterhaus gremito di pubblico. Tra gli ospiti vi furono Lilli Gruber, Reinhold Messner, Luis Durnwalder, Eva Klotz, Pius Leitner. Ma anche diversi altri personaggi che oggi non vivono più, come il suo amico Alexander Langer, Remo Ferretti, Pietro Mitolo e Wilhelm Egger. Che ricordo ha di quei giorni?
I talkshow non sono morti, anzi ce ne sono ogni giorno parecchi in televisione ed esistono varie motivazioni per la loro permanenza in vita. Secondo me però oggi questi programmi hanno cambiato natura ed perso molta della loro autenticità in termini di scoperta dei linguaggi e rappresentazione degli interessi delle varie componenti della società italiana. E di fatto non mi interessano più. 
Invece è vero che a Bolzano feci la prima puntata in assoluto di Profondo Nord, la trasmissione con cui la televisione di Angelo Guglielmi scelse di prendere di petto la ‘questione settentrionale’. Il nostro lavoro di fatto fu una classica inchiesta giornalistica: la mia squadra di giornalisti lavorò in provincia di Bolzano per alcune settimane, incontrando le diverse categorie e personalità. La disordinata folla che sedeva in platea, un pubblico di alcune centinaia di persone, in realtà era stata accuratamente prescelta sulla base di criteri giornalistici e non politici. La sala era stata mappata di modo che io potessi sapere, lavorando, dove erano seduti i diversi gruppi. Per me fu l’avvio di un metodo di lavoro caratterizzato dal fatto che chi stava sul palco non era più importante di chi sedeva in platea. Anzi: passavo molto più tempo con il mio microfono in platea. In quel frangente il mio amico Alexander Langer ebbe l’intelligenza e la generosità di accettare la mia proposta di restare seduto in platea, nonostante all’epoca fosse una delle personalità più autorevoli nella provincia di Bolzano. 

Il programma Profondo Nord 25 anni fa andò appunto alla scoperta delle nuove sensibilità politiche che si erano andate affermando nell’Italia settentrionale, rappresentate in particolare dalla Lega di Umberto Bossi e Gianfranco Miglio. Un movimento che, visto con gli occhi di oggi, appare molto diverso dalla nuova Lega di Matteo Salvini.  
Della Lega iniziale secondo me si conferma oggi solo un elemento e forse in modo pure inconsapevole. La Lega infatti in qualche modo rappresenta l’incarnazione contemporanea di una spinta reazionaria che nel sottosuolo italiano è presente da secoli e che anche in qualche modo anche il fascismo ha incarnato. La lega originaria aveva esasperato i caratteri identitari localistici (il Nord, l’essere lombardi o veneti, solo il seguito padani ma comunque separatisti e secessionisti). Salvini invece ha intuito che nel mondo contemporaneo c’è la possibilità  di risollevare il vessillo del nazionalismo autarchico e protezionista. Di fatto si tratta della retorica della nazione proletaria contro le edite cosmopolite.

"Salvini non ha fatto altro appunto che scommettere su quel tasso di fascismo che permane nella società italiana. Al di là delle piccole formazioni che hanno cercato di rappresentare la vecchia destra in Parlamento." 

Lei oggi 25 aprile alle ore 21 sarà ospite in piazza Matteotti a Bolzano del Festival delle Resistenze. Per parlare in particolare del ritorno della retorica dei confini e delle nuove frontiere, sociali e culturali, che li sottendono. In Alto Adige a questo proposito la sensibilità storicamente è ai massimi livelli, naturalmente. 
Secondo me non si tratta di frontiere sociali e culturali. Mi sembra invece vero l’opposto. Una cosa è certa: gli albergatori - sia quelli che stanno a nord che quelli che stanno a sud del Brennero - la frontiera non la vogliono. E la stessa cosa vale per gli studenti universitari, gli imprenditori ed i lavoratori transfrontalieri. A nord e a sud del Brennero la gente parla anche la stessa lingua. Quindi queste nuove frontiere non possono che essere politiche e coerenti con la nuova tendenza - anacronistica e che io credo essere destinata alla sconfitta - volta a ripristinare la sovranità degli stati nazionali.

"Gli stati nazionali per contare di più hanno bisogno di un perimetro e dunque di confini dentro i quali comandano pienamente. Ma è illusorio e palesemente velleitario pensare di fronteggiare i flussi migratori o gestire gli scambi commerciali semplicemente governando alle frontiere dello stato nazionale. E agitando lo spettro di poteri sovranazionali che diventano nemici." 

Di fatto chi potrà essere in grado, prossimamente, di smontare questa retorica dei confini? I lavoratori? Le categorie economiche?
Purtroppo i lavoratori dipendenti sono la categoria più sensibile agli argomenti nazionalistici. Perché nella retrocessione che stanno vivendo, sia di normative che di retribuzioni, viene facile dare la colpa alla concorrenza dei lavoratori stranieri. La classe operaia dall’internazionalismo scivola facilmente nel nazionalismo.