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“La politica più indietro delle piazze”

Intervista a Elly Schlein, Vicepresidente dell’Emilia Romagna, all’indomani della presentazione del suo libro a Bolzano: “Prato allo Stelvio comunità energetica modello”.
Elly Schlein
Foto: Gilberto Cavalli

“Ho tra le mani un libro di una persona alla cui memoria sono legatissima: è Alexander Langer, Idee per un’Europa di pace. Non c’è pensiero più attuale e lungimirante di quello che ci ha lasciato”. Sono le prime parole di Elly Schlein, Vicepresidente dell’Emilia Romagna con delega al Welfare e al Patto per il Clima, che di fronte a una sessantina di persone e con a fianco l’Assessora alla cultura e all’ambiente Chiara Rabini è intervenuta sabato (23 aprile) all’Auditorium di Bolzano. “Il dialogo non vuol dire essere sempre tutti d’accordo su tutto, ma darci dei luoghi dove ci confrontiamo pacificamente”, ha aggiunto Schlein commentando il recente dibattito (“un po’ surreale”) sull’ANPI: “La guerra porta polarizzazione. Resistere vuol dire resistere anche alla polarizzazione che la guerra porta con sé per dividere noi, il fronte della pace, progressista, democratico, quando dovrebbe mettere in difficoltà i nazionalisti come Putin e quelli di casa nostra”. L’incontro ha rappresentato l’occasione per presentare il nuovo libro di Elly Schlein, “La nostra parte. Per la giustizia sociale e ambientale, insieme”.

 

 

Salto.bz: Vicepresidente Schlein, la politica si trova di fronte a grandi sfide. Nel suo libro ne elenca alcune, interconnesse tra loro: la giustizia sociale, il contrasto alle diseguaglianze, quello all’emergenza climatica. “La copertina è rosso-verde non per un caso”, ha spiegato ieri, aggiungendo però che “nella sinistra e nell’ecologismo ci sono quasi più sigle che elettori”.

Elly Schlein: Il libro parte da un assunto di Alexander Langer: con la sua straordinaria lungimiranza aveva già colto l’inscindibilità, sostenendo che “la conversione ecologica avverrà quando apparirà socialmente desiderabile”. Questa visione la vedo avanzare fortemente nella società e nella mobilitazione delle nuove generazioni che uniscono questi temi. La politica mi sembra più indietro, perché continua a dividere ciò che in quelle piazze continua a marciare insieme. Se proviamo a mettere al centro tale visione e alcune proposte concrete, sono certa che scopriremo che anche trasversalmente alle forze politiche abbiamo già tanto in comune. E riusciremo forse, se discutiamo di questo, ad non arrivare quindici minuti prima del voto a sapere quale proposta vogliamo fare al paese.

salto.bz: Lei amministra un’importante regione italiana. Dall’Europa stanno arrivando i fondi del PNRR e si iniziano anche a spendere: dal suo punto di vista, lo si fa nella direzione giusta?

Nelle risorse del PNRR vedo da un lato una grande opportunità. Prima tali risorse non c’erano, e la Commissione europea le ha orientate alle giuste condizionalità: per almeno il 37% alla transizione ecologica, con la necessità per le pubbliche amministrazioni di dotarsi di strumenti di monitoraggio degli impatti, sia ambientali che sociali, economici-occupazionali e di genere, degli investimenti. Questa è una grande rivoluzione per come facciamo spesa. La Commissione non pagherà a scontrino presentato, bensì a performance realizzata: perciò dobbiamo cambiare mentalità, con un’iniezione di innovazione, per verificare che queste risorse siano spese per progetti realmente trasformativi, in grado di ridurre l’impatto umano sull’ambiente e di ridurre le emissioni. Onde evitare - rischio presente con più risorse - operazioni di greenwashing.

Quindi è soddisfatta di come sono orientati gli investimenti verdi del PNRR?

Come è stata costruita quella parte del PNRR non ha lasciato pienamente soddisfatti. C’è ancora troppo poco sforzo per un’infrastrutturazione “green” del paese, dal punto di vista sia del cambiamento dei trasporti e della mobilità, sia di quello della produzione di energia pulita e rinnovabile, che incontra spesso gli ostacoli sia di iter autorizzativi molto lunghi e complessi che andrebbero semplificati, sia della sindrome del “nimby”, che deve per forza vedere percorsi partecipativi nei territori con le comunità, per far sì che si riesca a collocare la produzione di rinnovabili in modo il più possibile condiviso. La transizione energetica non si può calare dall’alto, bisogna costruirla con i territori. Funziona, lo hanno fatto in altri paesi europei, sia sull’eolico che sul fotovoltaico. L’agrivoltaico, per esempio, è una nuova tecnologia introdotta nel PNRR, che consente di non sacrificare la coltura dei suoli e al contempo di utilizzarli per la produzione di energia rinnovabile.

Un altro esempio di come fare “la nostra parte” sono le comunità energetiche. Nel suo libro cita l’esempio di Prato allo Stelvio.

Le comunità energetiche sono una straordinaria rappresentazione di come tenere assieme ambiente e sociale, e quello di Prato allo Stelvio è un bellissimo esempio. Possono ridurre la povertà energetica: abbiamo presentato una legge in Emilia Romagna che vuole promuovere nel modo più capillare le costruzione di comunità energetiche, sostenendo in modo maggiorato quelle con una forte valenza sociale, che coinvolgano persone in difficoltà economiche, enti del terzo settore, comuni periferici e montani, case popolari, con una valenza che faccia risparmiare alle famiglie in bolletta e al contempo riduca le emissioni di CO2. Purtroppo il PNRR limita il finanziamento ai Comuni sotto i 5mila abitanti; con la nostra legge regionale, non limitiamo la dimensione dei Comuni.

 

 

Prima di assumere un ruolo di governo in Emilia-Romagna, è stata europarlamentare per una legislatura. Sulla guerra in Ucraina, la risposta europea è stata sufficiente? Parafrasando Langer, l’Europa muore o rinasce a Kiev?

Valuto positivamente la grande compattezza dimostrata nel prendere posizione a favore dell’Ucraina a fronte di quella che è stata unanimamente riconosciuta come un’aggressione criminale da parte di Putin, che viola il diritto internazionale e non può trovare alcuna giustificazione. Compattezza, sì, soprattutto dal punto di vista delle sanzioni. Sono però preoccupata dalla corsa al riarmo dell’Unione. Da federalista europea, credo che serva una difesa comune ma anche per rendere più efficiente, razionalizzare e ottimizzare la spesa militare, e non per aumentarla in maniera lineare in tutti i 27 paese dell’Unione. Questo aspetto mi preoccupa e vorrei vedere più protagonismo dell’Unione anche nello sforzo diplomatico, costringendo tutti a un serio tavolo di negoziato, che però come premessa necessaria debba avere il cessate il fuoco, perché non è tollerabile che ci sia una discussione negoziale mentre cadono le bombe sui civili.

Sono preoccupata dalla corsa al riarmo dell’Unione. Serve più protagonismo nello sforzo diplomatico.

La questione ucraina si collega a una “conversione ecologica” delle nostre risorse energetiche?

L’indipendenza energetica è un fatto di credibilità delle nostre posizioni geopolitiche. Siamo tra i paesi più dipendenti dal gas russo. È l’effetto di scelte fatte in questi anni, a mio avviso sbagliate. Abbiamo tutto il potenziale di essere molto più indipendenti grazie a un forte sviluppo delle rinnovabili: non lo chiedono solo gli ecologisti, ma anche le imprese di Elettricità futura di Confindustria, che vogliono investire 85 miliardi di euro. Sono 80mila posti di lavoro, 60 nuovi Gigawatt di impianti rinnovabili, e nei prossimi tre anni, quindi a breve termine. Abbiamo tutta la convenienza. Non stiamo parlando della fusione nucleare, che gli stessi scienziati immaginano possa essere industrializzata fra trent’anni.

Il dibattito sulla pace sta rappresentando un altro tema potenzialmente divisivo tra le varie anime della sinistra in Italia. Citando di nuovo Langer, che parlava di “solve et coagula”, progressisti ed ecologisti riusciranno a ricomporsi attorno a un’agenda di proposte concrete, come quella suggerita dal suo libro? Anche nell’incontro di sabato, emergono grandi aspettative in tal senso.

Credo sia così che dobbiamo utilizzare i prossimi mesi: provando a ricucire trasversalmente tra le forze politiche e sociali una visione comune che si basa su proposte concrete. Nel libro ne faccio molte: analizzo i problemi e provo a raccogliere le tante soluzioni che già esistono, con realtà che propongono un modello diverso. In Spagna si è fatto un lavoro sui diritti del lavoro digitale, sanciti con una legge discussa coi sindacati e le organizzazioni dei rider; hanno fatto un congedo paritario pienamente retribuito di 11 settimane per entrambi i genitori, hanno fatto un ragionamento sul salario minimo, sempre con i sindacati. Cosa aspettiamo a farlo anche qui? Niente ce lo impedisce.

In Spagna si sono confrontati con i diritti del lavoro digitale, il congedo paritario, il salario minimo. Cosa aspettiamo a farlo anche noi?

Sul lavoro di qualità, sulla parità di genere per superare il patriarcato che è un danno per tutta la società, sulla costruzione di una società inclusiva che riduce le diseguaglianze perché capisce che una società più sicura è quella più inclusiva, che non marginalizza, e rivede il suo sistema di welfare in un mondo trasformato dalla pandemia, dalla globalizzazione e adesso purtroppo dalla guerra: sono tutti temi connessi strettamente con la giustizia climatica.

A chi rivolge questo invito?

Non si può anticipare l’esito al processo, però invito sempre non solo alla mobilitazione collettiva, ma anche a chiederci qual è “la nostra parte”, che tiene assieme questi temi e propone queste trasformazioni. Ci sono tante persone del fronte largo, progressista, del PD, delle forze della sinistra ecologista, dei Verdi, addirittura del Movimento 5 Stelle e anche di alcune forze più moderate, che già condividono questi temi. Se proviamo a discuterli insieme, saranno il collante migliore per una proposta unitaria e coerente. Il mio auspicio, il mio impegno personale va in questa direzione.