Wirtschaft | L'intervista

“Il nuovo governo? Capisca cosa vuole”

Il presidente di Assoimprenditori Federico Giudiceandrea sulle ricette economiche dei giallo-verdi, i principianti della politica, l’uscita dall’euro e la flat-tax.
Giudiceandrea, Federico
Foto: Assoimprenditori-Unternehmerverband

salto.bz: Presidente, è preoccupato dal governo nascente? Il premier incaricato Giuseppe Conte nella sua dichiarazione dopo il colloquio con Mattarella ha detto che l’Italia rispetterà gli accordi europei e internazionali ma si è anche auto-definito “avvocato difensore degli italiani”. 

Federico Giudiceandrea: Mi preoccuperei se si dovesse fare marcia indietro su quel percorso virtuoso che ha portato la nostra economia fuori dalla crisi e avviato la ripresa. Il fatto è che non abbiamo ancora chiaro cosa voglia fare questo governo. Chiudere l’Ilva, per esempio, come è stato di colpo prospettato, sarebbe una catastrofe. Stesso discorso vale se non si dovesse proseguire con la Tav o il Terzo Valico, tutti lavori che se interrotti costringerebbero l’Italia a dover pagare pesanti penali. Mi auguro che questi signori siano ragionevoli e che si rendano conto che certe cose semplicemente non si possono fare. Non è un mistero che molte di queste persone abbiano ancora poca esperienza e che manchi un certo livello di conoscenza su alcuni temi in particolare.

È come affidare una macchina a una persona che non sa guidare, se questa va a sbattere contro il muro i danni però in questo caso ricadono su tutti

Lo stesso Financial Times del resto ha stroncato Conte dandogli del “principiante della politica”.

Quello di essere dei neofiti della politica è giudicato come fattore positivo dai diretti interessati. Proprio perché principianti dovrebbero affiancarsi ad esperti che possano consigliarli. E voglio credere che lo faranno. È chiaro che bisogna tenere alta l’attenzione, è come affidare una macchina a una persona che non sa guidare, se questa va a sbattere contro il muro i danni però in questo caso ricadono su tutti.  

Come vede Paolo Savona, che molto critico è stato sulla moneta unica, nel ruolo di possibile ministro dell’Economia?

L’euro è stato un grande passo per l’Unione europea e ha permesso la crescita di tutti i paesi dell’eurozona. È condivisibile il fatto che alcune cose debbano essere riviste e che l’Europa debba crescere ancora, intendiamoci, superfluo dire che saremmo naturalmente tutti lieti se questa unione monetaria diventasse più forte. L’Europa va riformata, ma dall’interno. Occorre più coesione, e l’idea degli eurobond, ossia l’emissione congiunta di titoli di Stato garantiti da tutti i paesi che fanno parte dell’euro, va proprio in quella direzione. 

Se l’Europa va ripensata è anche vero che non può esserci una Ue solo monetaria ma anche politica e finora non è stato propriamente così…

C’è bisogno che la Banca centrale europea sia in condizione di poter emettere bond, la crisi del debito italiano è stata solo anestetizzata dal “quantitative easing”, un escamotage che è però provvisorio. Non possiamo vivere al di sopra delle nostre possibilità, non possiamo pretendere che gli altri ci “mantengano”, mi spiego? La situazione va perciò stabilizzata, i paesi devono impegnarsi per rendere più forte l’Ue sotto ogni punto di vista. 

Il problema di un’uscita dall’euro è strettamente legato all’enorme problema del debito pubblico che abbiamo e c’è poco da fare: i debiti si pagano

L’Italia cosa può andare a negoziare quindi in Europa?

Possiamo, ad esempio, chiedere di fare i grandi investimenti insieme e non come singoli paesi. Una proposta di Assoimprenditori è stata peraltro proprio quella di finanziare le infrastrutture attraverso l’emissione di bond europei. 

Ritiene ci sia il rischio concreto di un’uscita del nostro Paese dall’euro?

Tutto è possibile, guardiamo il caso del Regno Unito. Uscire dall'euro però sarebbe un disastro per il nostro Paese, un’operazione costosissima. Se l’Italia vuole stare nel circuito della legalità internazionale deve rispettare i contratti e gli impegni presi. Il problema di un’uscita dall’euro è strettamente legato all’enorme problema del debito pubblico che abbiamo e c’è poco da fare: i debiti si pagano. O vogliamo finire come l’Argentina? Ce lo immaginiamo? Abbiamo degli interessi altissimi che paghiamo ogni anno e che paghiamo anche poco dal momento che la BCE ancora compra i nostri titoli di stato e tiene bassi i rendimenti. 

 Temi come la digitalizzazione e l’automazione sono strade maestre senza le quali saremmo destinati a diventare un’economia davvero marginale

Il presidente di Confindustria Boccia, che si è detto scettico sulle ricette economiche di Lega e 5 stelle, ha fatto notare che il capitolo industria manca fra quelle che sono le priorità del contratto di governo.

Sui punti dell’accordo in effetti la parola industria praticamente non compare. Voglio sperare che sia una svista, l’Italia è il secondo Paese manifatturiero in Europa, una posizione che dobbiamo preservare, siamo un Paese che trasforma e che non ha materie prime e la sua ricchezza viene dall’industria. Non dimentichiamoci che con riforme come il Jobs act o il programma Industria 4.0 l’Italia è tornata a fare politica industriale in maniera seria creando una best practice in Europa. Gli imprenditori tedeschi del BDI vengono regolarmente a Bolzano e ci invidiano le leggi fatte per favorire la digitalizzazione delle aziende in Italia, una grande sfida che stiamo affrontando con strumenti più potenti di quelli che possiedono i nostri concorrenti stranieri. Ecco, è in questo senso che vogliamo capire dove vuole andare questo governo, se vuole mantenere questa rotta o meno, perché invertirla per noi è inaccettabile. Lo ha detto anche Boccia, temi come la digitalizzazione e l’automazione sono strade maestre senza le quali saremmo destinati a diventare un’economia davvero marginale. 

Per il sindacato della Cisl altoatesina la flat-tax sarebbe un salasso per le casse della Provincia, lei che ne dice?

L’Italia ha una tassazione molto elevata. Se mettessimo insieme tutte le imposte che le aziende italiane devono pagare risulterebbe che noi siamo svantaggiati rispetto ai nostri concorrenti, non solo extraeuropei ma anche europei. Una riduzione del carico fiscale darebbe respiro alle aziende, e non vuol dire minori entrate per lo Stato. In Trentino-Alto Adige per esempio la riduzione dell’Irap ha funzionato e la Provincia ha incassato più soldi di prima pur avendo diminuito le tasse alle aziende. Se il carico fiscale delle aziende viene alleggerito non significa che gli imprenditori si mettono quei soldi in tasca ma li investono per restare competitivi sul mercato. 

Non è però che le tasse tagliate ai ricchi finiscono in consumi, piuttosto in risparmi. Cosa ci guadagna allora l’economia?

La progressione fiscale è nella nostra Costituzione, non penso perciò che si possa fare una tassa uguale per tutti. Ci sono dei correttivi nella proposta della flat-tax, casi in cui è prevista un’esenzione totale, sgravi se uno ha famiglia, insomma dobbiamo studiare bene il contenuto della manovra ma non siamo contrari, di principio, a un’introduzione di una semplificazione del sistema fiscale che in Italia è macchinosissimo. Anzi, l’auspichiamo.