Wirtschaft | CONFRONTO A BRUNICO

“Ecco come funziona il populismo”

Federico Boffa spiega il workshop di political economy: “Studiamo la polarizzazione e i suoi antidoti, per incanalare in modo fruttuoso il volere degli elettori”.
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PoliEco2019 Relatore Andrei Shleifer
Foto: unibz

salto.bz: Federico Boffa, per il 21 e 22 ottobre nel campus di Brunico della Libera università di Bolzano è stato organizzato il workshop in political economy. Di che cosa esattamente si occupa questa materia di studio che non va confusa con la “politica economica”?

Federico Boffa: Con questo termine, “political economy”, si intende in italiano l’analisi economica della politica e non appunto l’economia politica, che si traduce in inglese in “economics”, o la politica economica, o “economic policy”. Ciò che facciamo è prendere il punto di vista dell’economista, della teoria economica, e studiare i meccanismi che orientano le scelte degli elettori e il comportamento dei politici. Essendo esseri umani, i rappresentanti eletti hanno i loro interessi e nell’azione fanno un mix di cose, si adoperano per l’interesse della comunità ma anche banalmente cercano di farsi rieleggere. Un’attenzione particolare viene data negli studi a come si allocano le risorse.

 

In questo sta la parte economica, ovvero su come si distribuiscono le risorse nei sistemi istituzionali?

Il fulcro dell’indagine è come vengono e a chi vanno i trasferimenti, ad esempio nelle diverse regioni in base a come è fatto il sistema elettorale. Alcuni studi hanno rivelato che il politico cerca di trasferire la maggior quantità di risorse possibili nelle zone dove l’esito elettorale è più incerto. Altri studi analizzano la modalità con cui vengono trasferite le risorse dal centro alla periferia nei sistemi centralistici e in quelli federali. Nella pratica avviene che quando le competenze sono condivise su certi temi tra diversi livelli di governo, ad esempio governo centrale e locale, c’è il rischio, empiricamente dimostrato, che i politici facciano di meno. Ciò dipende dal fatto che nessuno ha voglia di farsi carico di un’iniziativa se sa che gli elettori non sanno bene a chi attribuire il merito, o se addirittura c’è il rischio che vadano a premiare nell’urna un politico di un partito diverso rispetto a quello che ha agito. Il fenomeno è più evidente se è diverso il colore politico dei livelli coinvolti: nessuno vuol fare una strada se poi pensa che gli elettori possano pensare che sia stato merito degli avversari.

 

Il workshop cosa tratterà?

Consisterà in 16 presentazioni di economisti e scienziati politici provenienti da tutto il mondo, in particolare da Stati Uniti e Europa, sui temi principali che sono la polarizzazione e il populismo. Uno degli argomenti riguarderà le cosidette eco-chamber, il fatto che facebook e tutti i social media tendono a fare in modo che ciascuno riceva notizie che sono già in linea con quello che ciascuno pensa. Questo però favorisce una polarizzazione dell’elettorato che porta a estremismi, populismi di destra e sinistra con tutte le conseguenze del caso. Dall’altra parte però si approfondiscono anche le mancanze della vecchia politica che hanno portato all’emergere dei populismi. Si studiano gli errori dei partiti tradizionali, dalla corruzione al malgoverno.

 

Si faranno nomi e cognomi del populismo internazionale, ad esempio Trump negli Stati Uniti, Orbàn in Ungheria o altri?

Il keynote speaker é Andrei Shleifer ed è un professore di Harvard che è stato un pioniere di tre campi di analisi, l’economia finanziaria, del diritto e dello sviluppo ed è uno degli economisti più citati al mondo. Parlerà di un tema profondamente collegato alla political economy, ovvero “memoria, attenzione, scelta”. Nei lavori degli ultimi anni sta studiando come l’attenzione dei cittadini determini le loro scelte e la loro memoria. Le persone ricordano certe cose e poi quando vedono una novità tendono ad associarla proprio come procedura cognitiva a delle cose che già hanno visto, magari sbagliando. Questo influenza le nostre decisioni: se la associamo a qualcosa di positivo tendiamo a farcela piacere, quindi può succedere che se è un prodotto lo compriamo, se è un politico lo votiamo. È evidente che quelli che fanno marketing o i politici se ne sono resi conto, magari intuitivamente, e quindi cercano di rimandarci a modelli precedenti. Quando un politico fa un discorso cerca di farti ricordare dei tempi oppure delle situazioni vissute in passato che piacciono o di cui si ha un buon ricordo, in modo da farti piacere la persona che sta parlando.

 

È il famoso “make America great again”?

Esattamente. Ma c’è un grosso problema se si applicano tali tecniche alla politica: i contenuti hanno perso rilievo, tutto invece si è ora incentrato sulla retorica, sull’evocazione di evocare ricordi e emozioni. Non si parla più di politiche, dei risultati raggiunti.

 

In altre parole andate a vedere come è fatto il populismo?

Sì, una parte dell’approfondimento è dedicata a come è fatto il populismo, qual è la retorica che lo anima, come agiscono i partiti populisti che hanno un’ideologia poco robusta, liquida, che si adatta alle richieste degli elettori. Di per sè è una cosa desiderabile, visto che il politico è rappresentante dell’elettore, ma c’è il rischio che in presenza di disinformazione si ricada in problemi di inseguimento continuo del consenso, nella campagna elettorale permanente per dirla in termini giornalistici.

 

La finalità del workshop è elaborare queste conoscenze, ma in che modo?

Lo scopo è cercare di capire i meccanismi che guidano gli elettori e gli eletti, in modo tale da concepire delle istituzioni, delle regole e dei sistemi elettorali che siano in grado di produrre risultati positivi. Posto che l’espressione degli elettori è ovviamente indispensabile e sacrosanta, occorre che si incanali in un sistema di regole che la possa rendere fruttuosa e possa evitare di arrivare ad un conflitto permanente. Un altro tema del seminario è quello di studiare delle regole per indurre gli aggregatori di notizie a ridurre il loro incentivo a dare a ciascuno solo le notizie che uno si vuol sentire. Negli Usa c’è già un dibattito grosso tra i candidati alle primarie per la presidenza federale sui colossi del web, ad esempio la democratica Elisabeth Warren dice che facebook non può essere mantenuta come unica entità, e dev’essere scissa. Infine, abbiamo le ricadute locali del workshop legate ai temi del federalismo: su come e su quali materie una decentralizzazione effettiva possa avere impatti positivi.