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Il rettore ama il basket e il canto

Paolo Lugli si racconta, parla di università e futuro. "Alla Lub nuovi spazi e una facoltà al NOI. L’Alto Adige un polo produttivo mondiale, ma apriamoci di più”.
Paolo Lugli
Foto: Stefano Voltolini

Giocatore di basket semiprofessionista (è alto un metro e 96) durante gli anni scolastici, tentato dalla carriera sportiva a cui però ha rinunciato per continuare gli studi ad alto livello. Appassionato di teatro (si è abbonato allo Stabile), cantante in un coro a Monaco di Baviera dove ha vissuto 16 anni e ha diretto la Facoltà di elettrotecnica e tecnologie dell’informazione dell’Università tecnica. Ancora, poliglotta, lettore di Francesca Melandri che con il romanzo "Eva dorme" l’ha iniziato alla conoscenza dell’Alto Adige. E che con il suo ultimo libro gli ha ricordato la storia di suo nonno materno, morto in Abissinia, nel 1934, dove si era spostato scappando dai fascisti. È l’inedito ritratto di Paolo Lugli, esperto di bioingegneria e nanotecnologie, da gennaio rettore della Libera università di Bolzano. Accademia giovane (è una splendida ventenne) e molto ambiziosa, secondo le intenzioni del suo massimo rappresentante che si racconta a Salto.bz. L’Unibz «soffre per la mancanza di spazi» e ha bisogno di allargarsi, anche con una nuova facoltà di Ingegneria che punti sull’elettronica al NOI Techpark. Lugli disegna quindi un futuro industriale nell’hi-tech per il Sudtirolo, che a suo avviso deve sempre più ampliare i propri orizzonti. Anche guardando alle best practice – nell’economia come nel sociale – da tutto il mondo.

Salto.bz Lei ha assunto l’incarico da gennaio 2017. Manca poco alla fine dei dodici mesi. Si può già fare un primo bilancio?

Paolo Lugli “Nei sei mesi precedenti all’incarico venivo a Bolzano una volta a settimana, quindi a gennaio non ero proprio a digiuno. Posso dire che la situazione avevo già cominciato a conoscerla. Adesso, è passato quasi un anno, continuo a sorprendermi per le cose nuove, vuol dire che il mio apprendistato alla Lub sta continuando. Venendo dalla facoltà a Monaco, che da sola aveva 4.000 studenti, pensavo che l’impegno per il rettorato di un’università piccola, con pochi studenti (3.482 secondo i dati 2017, ndr) fosse equivalente e che mi permettesse di compiere anche attività di ricerca. Mi sbagliavo. L’impegno è maggiore. Ogni facoltà ha le sue caratteristiche per le quali va trovata la giusta mediazione. Inoltre, ci sono gli impegni connessi alla visibilità del ruolo, al rapporto con il territorio che giustamente richiede attenzione. L’università dialoga con le imprese, le associazioni, il teatro, ha grandi potenzialità di interazione”.

Potenzialità che non sono state sfruttate completamente?

“È così, le interazioni possono aumentare enormemente. Finora l’università è stata asserragliata nel suo fortino. Facendo cose egregie, ma è venuto il momento di portare la qualità fuori. Penso alle aziende: facciamo ancora poco assieme a loro. Il parco tecnologico di Bolzano sud è un’ottima opportunità”.

La potenzialità d'interazione dell'università con il territorio è sfruttata solo al 10%. Possiamo arrivare al 100% in quattro anni

Se dovesse dare una percentuale, a quanto corrisponde la potenzialità valorizzata oggi?

“Il 10%. Potremmo arrivare al 50% in uno-due anni, al 100% nei quattro anni di mandato. E non ci sono solo le aziende dell’industria, ma anche banche, associazioni, cooperative. Posso fare anche esempi concreti. Il corso di studio in ingegneria e logistica è stato aperto secondo il modello duale, gli studenti studiano e lavorano con orari che si adattano alle esigenze produttive. Abbiamo in programma anche un nuovo corso triennale della facoltà di Scienze e tecnologie assieme al settore dell’automotive di Brunico. L’unico nostro problema è attrarre gli studenti, perché ci percepiscono come periferici rispetto a poli universitari di Monaco, Vienna, Innsbruck, i Politecnici di Milano e Torino, le università di Padova e Bologna”.

La Lub ha comunque numeri di tutto rispetto: tre sedi, Bolzano, Bressanone e Brunico, 5 facoltà e un programma di studio su turismo e sport, quasi 3.500 studenti, 128 professori e ricercatori, 494 docenti a contratto, i corsi in tre lingue che sono un tratto distintivo. Ci sono però dei freni allo sviluppo?

“Soffriamo per gli spazi. Ci frenano al momento la capienza delle aule, le possibilità di alloggio per gli studenti, il numero di insegnanti, per il fatto come dicevo che vogliamo essere attrattivi ma siamo percepiti come periferici. Per ovviare partiamo ad esempio dal rapporto con le scuole. Molti studenti delle superiori in Alto Adige non hanno un’idea chiara di quanto siamo bravi in questa università. Io penso: facciamo venire gli studenti implementando il triangolo scuole, industria e ateneo”.

Siamo in sofferenza per gli spazi. Al NOI Techpark alloggi per gli studenti e una nuova facoltà di ingegneria che assorba quella di scienze e tecnologie

Vi servono nuovi spazi?

“Stiamo valutando varie ipotesi assieme alle istituzioni. Il vecchio carcere, la caserma Huber che a me piace ma non è un’idea condivisa, il parco tecnologico dove si può collocare qualche funzione. Aiuterebbe a rivitalizzare con aule e alloggi per gli studenti l’area ex industriale. Io dal primo giorno ho detto che è la sede ideale per una nuova facoltà di ingegneria che assorba quella di scienze e tecnologie e che abbia un focus su automazione, energetica, sensoristica. In sinergia con le imprese, permetterebbe all’industria altoatesina di diventare estremamente competitiva. Parlo anche di nanotecnologie: la cosiddetta elettronica stampata, quella che è inserita nei telefonini o negli altri dispositivi, fatta di semiconduttori, si può realizzare tramite materiali nuovi anche con stampanti semplici. L’Europa ha perso capacità produttiva strategica in questo campo. Per l’Alto Adige la scommessa sarebbe fare ciò che si fa adesso solo in Cina o Stati Uniti. Le cose si possono fare a basso costo, anche in questa provincia. E non solo: si può pensare anche ai sensori utili per il controllo della Co2, il rilevamento nei metalli nei campi, la diagnostica medica”.

Riguardo ai fondi, il bilancio di previsione di dicembre 2016 indica il conseguimento del pareggio solo ricorrendo ai 7 milioni di euro dalle riserve accantonate. Esiste un problema nei finanziamenti sul medio termine?

“L’accordo di programma per 2017-2019 siglato con la Provincia di Bolzano conferisce alla Lub 180 milioni nel triennio. Vuol dire sessanta l’anno, per una spesa che nel 2017 si aggira sui 72-75 milioni a seconda del successo o meno delle operazioni sul reclutamento di alcuni professori. Oltre ai 60 pubblici abbiamo 2,5 milioni dalle tasse degli studenti e 2,5 da fondi terzi. Siamo sotto di 10 milioni che recuperiamo dalle riserve. Queste ci danno la possibilità di crescere, ma nel 2018-2019 saranno finite. Ergo, dobbiamo aumentare la quota dei fondi esterni, oggi bassa. L’università deve diventare virtuosa nel co-finanziamento, attirare fondi europei e delle imprese sia per la ricerca che per la didattica. Il messaggio alla Provincia è che non continueremo più a dipendere dall’ente al 95%”.

Cerchiamo fondi esterni, altrimenti in due anni finiremo  le riserve. Il messaggio alla Provincia è che non continueremo più a dipendere dall’ente al 95%

Lei, originario di Carpi, si è laureato in fisica all’Università di Modena e, in seguito, ha svolto un master e il dottorato di ricerca in electrical engineering alla Colorado State University, negli Stati Uniti. Successivamente ha insegnato e svolto ricerche sempre in Colorado, a Modena e a Roma Tor Vergata. Nel 2002, è stato chiamato a insegnare alla TU di Monaco di Baviera dove, fino a fine 2016, ha insegnato nanoelettronica alla Technische Universität. Alla luce della sua esperienza internazionale come valuta il Sudtirolo?

“Innanzitutto venire a Bolzano ha migliorato la mia qualità della vita. Vado al lavoro a piedi, in venti minuti, quando a Roma impiegavo a volte due ore e a Monaco una. Qui c’è sempre il sole, non piove mai, la bellezza delle montagne è ovvia per uno che viene dalla bassa modenese. Dal punto di vista delle reazioni, noto che il territorio fatica a recepire le novità, siano persone o iniziative. In questo l’università può aiutare, può dare un contributo all’apertura. Ad evitare una certa autoreferenzialità che esiste. L’Alto Adige è ricco ma non è altrettanto competitivo. Questo gap va colmato e si chiama innovazione, il mio campo. Andiamo a scoprire le best practice e letteralmente copiamole, laddove ci sono: Inghilterra, Svizzera, Baviera o ovunque”.

In Alto Adige c’è sempre il sole, non piove mai, la bellezza delle montagne è ovvia per uno che viene dalla bassa modenese. Ma il territorio deve aprirsi di più alle novità

Si dice che lei non ami le polemiche etniche e linguistiche dentro l’università, ad esempio nel caso della facoltà di scienze della formazione a Bressanone. È vero?

“Il tema delle lingue è complesso, vanno fatte alcune premesse. Primo, è sbagliato partire da dati sbagliati e raccontare cose false. Secondo, bisogna parlare della realtà attuale. Posso riconoscere, riguardo alla facoltà di Bressanone che serve il sistema scolastico territoriale in tre lingue, che nella fase iniziale ha avuto uno sbilanciamento a favore dell’italiano. Ma negli ultimi sette anni si è arrivati ad un bilanciamento, assumendo addirittura come se ci fossero delle quote, cosa che l’università non prevede perché si deve cercare solo la qualità. Il bilanciamento nell’insegnamento oggi c’è. Ci sono però alcune criticità. Facciamo fatica ad attirare dal mondo tedesco sia studenti, perché lì le università sono esentasse, sia docenti perché in Germania i trattamenti di stipendio, previdenziali, per la sanità non sono paragonabili a quelli italiani. Detto questo, siamo un’università trilingue e continueremo a esserlo: l’attuazione può presentare dei limiti talvolta ma è una grande opportunità”.  

Si preannuncia un cambio nel consiglio di amministrazione per i nomi indicati dalla giunta provinciale e Ulrike Tappeiner, docente a Innsbruck, è data per favorita alla presidenza. Qualcosa potrebbe avvenire già nella riunione del 15 dicembre. Il cambio al vertice la preoccupa?

“Prima di tutto il consiglio attuale scade nel marzo del prossimo anno. Il 15 dicembre ci sarà una riunione. Può darsi che alcuni membri si dimettano prima, ne prenderò atto se e quando avverrà. È inutile parlare del nuovo presidente quando non si sanno i nomi di chi entrerà nel cda. È un dibattito nel quale non mi immischio. Dico però che l’attuale presidente, Konrad Bergmeister, è una risorsa incredibile per questa università, è andato ben oltre il suo ruolo e intendo in senso positivo. Auspico che chi verrà dopo sia come lui nella conoscenza dell’ateneo e nello sforzo di far crescere l’università”.

Lasciamo da parte l’università e gli aspetti professionali. Come si trova per il suo tempo libero in Alto Adige e a Bolzano?

“Bene, mi sono iscritto alla stagione teatrale, dello Stabile in questo caso, come avevo fatto da studente 40 anni fa. In generale la cultura mi interessa e qui l’offerta riserva piacevoli sorprese, poi io sono bilingue, trilingue con l’inglese, e posso apprezzare tutte le rassegne. A Bolzano ho scoperto il gusto di camminare, purtroppo non scio perché da giocatore di basket semiprofessionista mi avevano proibito di sciare per evitare infortuni. Canto volentieri, come facevo in un coro, in Germania. Qui non riesco per questione di tempo ma in università ci sono due cori. Prima o poi..”.

Il romanzo Eva dorme di Francesca Melandri mi ha iniziato al Sudtirolo. E la sua terza opera, Sangue giusto, mi ha ricordato la storia di mio nonno morto in Abissinia

Libro sul comodino?

“Sangue giusto di Francesca Melandri che avendo scritto Eva Dorme è stata la mia introduzione all’Alto Adige. È stato un mio collega a suggerirmi quest’ultimo romanzo, quando si era saputo che sarei andato a Bolzano. Mi disse che dovevo assolutamente leggerlo. In effetti ho capito molto. Un mese fa sono andato alla presentazione di Sangue giusto, il suo terzo libro, che parla della questione dell’immigrazione e mi ricorda la vicenda di mio nonno, il padre di mia madre, deceduto in Abissinia dove era scappato dai fascisti. È morto là quando mia madre aveva sei anni, nel 1934. Le ho chiesto una dedica per lei, ancora non le ho dato il libro perché lo sto leggendo io (sorride, ndr)”.

In fatto di musica, cosa preferisce?

“Un po’ di tutto. Mio figlio si diletta con l’hip hop e ho iniziato a seguire qualcosa. Ho due figli, uno di 24 e l’altro di 21, stanno a Berlino e a Norimberga”.

La musica? Mio figlio si diletta con l'hip hop e ho iniziato a seguire

Nessuno è rimasto a Monaco?

“Mia moglie, che lavora là e tiene la casa”.