Umwelt | Nuova legge

Una legge per le foreste

L'aumento della superficie forestale non è un bene in sé. Ecco perché serviva una norma per la gestione del bosco. Con un'intervista a Raoul Romano del CREA.
Wald
Foto: Suedtirolfoto.com / Othmar Seehauser
Mercoledì 24 gennaio il Parlamento ha dato il “via libera” al nuovo schema di decreto legislativo in materia di foreste e filiere forestali. Le commissioni riunite ambiente e agricoltura della Camera hanno approvato il testo del parere presentato dai due relatori (l'onorevole Enrico Borghi la VIII commissione e l'onorevole Giorgio Zanin per la XIII commissione), con un voto favorevole che ha visto l’astensione solo dell’unico deputato del Movimento 5 Stelle presente, Paolo Parentela, completando così l’iter di adozione del decreto legislativo, che ora passa al Consiglio dei Ministri per la definitiva approvazione e successiva pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale dopo la firma del Presidente della Repubblica. A quel punto, diverrà il "testo guida" per le Regioni e le Province autonome, chiamate a regolare la materia nell'ordinamento normativo locale.
All'articolo 1, è sancito -è una proposta di Enrico Borghi- “il ruolo sociale e culturale delle foreste”. Più avanti, si definisce che cosa s'intende per “gestione attiva del bosco”, uno dei cardini del provvedimento: essa sarà “l’insieme delle azioni silvo-colturali volte a valorizzare le molteplicità delle funzioni del bosco, a garantire la produzione sostenibile di beni e servizi ecosistemici”.
Le commissioni hanno inoltre stabilito che il pagamento dei servizi ecosistemici generati dalle attività di gestione forestale sostenibile e dall’assunzione di specifici impegni silvoambientali non sarà più facoltativo ma obbligatorio, e che le Regioni e Province autonome per definire i criteri di definizione di tali servizi dovranno rifarsi anche al Collegato Ambientale approvato con legge 221/2015. Un aspetto importante, in quanto prevederebbe che i beneficiari finali del sistema di pagamento dovranno essere gli enti locali, i parchi e i soggetti gestori dei beni collettivi.
 
Tra i passaggi significativi anche quello che riguarda la multifunzionalità imprenditoriale e le cooperative. Da un lato, infatti, il Governo viene impegnato a confermare la specialità della disciplina di cui all’articolo 17 della legge 97/94 (legge per la montagna), e delle leggi 228/2008 e 244/2007 che consentono l’affidamento a cooperative agricole e di lavoro agricolo forestale dei comuni montani di lavori nel campo della forestazione in deroga alle norme generali sui lavori pubblici sulla base di apposite convenzioni. Dall’altro, si chiarisce che le cooperative forestali e loro consorzi che forniscono in via prevalente (e non esclusiva, come nel testo originariamente licenziato dal governo) servizi in ambito forestale e lavori nel settore della selvicoltura (anche le sistemazioni idrauliche forestali) saranno equiparati agli imprenditori agricoli. Sarà un decreto del Mipaaf a disciplinare le modalità di equiparazione stabilite dalla norma.
Una modifica del Parlamento al testo iniziale proposto dal governo prevede inoltre che anche i fabbricati in stato di abbandono e le strutture presenti facciano parte del patrimonio per il quale valgono le forme di sostituzione della gestione e di surroga della proprietà assenteista, previste dall’articolo 12, per promuovere il recupero produttivo delle proprietà fondiarie frammentate e dei terreni incolti, silenti o abbandonati.
Importante anche una nuova norma che promuove la filiera produttiva locale. Secondo quanto previsto dal Parlamento, infatti, costituirà titolo preferenziale ai fini della concessione in gestione delle superfici forestali pubbliche la partecipazione di imprese aventi centro aziendale entro un raggio di 70 chilometri dalla superficie forestale oggetto di concessione.
L’onorevole Enrico Borghi (PD), co-relatore del provvedimento è soddisfatto: “Passa agli archivi una concezione datata che immagina il bosco come qualcosa da lasciare inselvatichire in una dimensione selvaggia e abbandonata a sé stessa. Al contrario, con questa legge affermiamo l’esigenza della promozione e della tutela dell’economia forestale, dell’economia montana e delle rispettive filiere produttive nonché lo sviluppo delle attività agro-silvo-pastorali attraverso la protezione e il razionale utilizzo del suolo e il recupero produttivo delle proprietà fondiarie frammentate e dei terreni incolti o abbandonati".
 
Tra quanti hanno apprezzato, anche se "con riserva, in attesa del parere del Consiglio dei ministri" il voto di ieri c'è anche Raoul Romano, ricercatore presso il Centro di Ricerca Politiche e bioeconomia del Consiglio per la Ricerca in Agricoltura e l'Analisi dell'economia agraria (CREA), esperto di economia e politica forestale, referente forestale per Ministero politiche agricole alimentari e forestali: "Oggi ultimo parere acquisito per la Legge forestale nazionale! Ora verso la promulgazione.... ma che fatica!" ha scritto su Facebook.
A Salto.bz, invece, Romano ha spiegato l'importanza di questa legge a partire da una considerazione sulle tre motivazioni per cui possiamo dire che un aumento della superficie forestale in Italia non è così positivo come tutti possiamo pensare e auspicare: il primo è un discorso paesaggistico-ambientale. La superficie forestale negli ultimi sessant'anni è triplicata, fino a 12 milioni di ettari, a discapito di superficie agricola e pastorale. L'abbandono delle attività agricole, silvicole e pastorali in aree montane, l'occupazione di spazi da parte dei boschi, comporta non solo una perdita di biodiversità e paesaggio, ma anche di culture e tradizioni. A differenza di altri Paesi, perché non siamo in ambito tropicale, le nostre sono storicamente foreste fortemente antropizzate, che hanno conosciuto la presenza dell'uomo, che ha gestito attivamente il bosco per millenni al fine di ottenere prodotti primari".
La seconda motivazione, spiega Romano, è "un problema legato al dissesto idrogeologico: il bosco sta distruggendo infrastrutture pubbliche e agricole di contenimento del suolo, come canalette e terrazzamenti, che mettono a rischio l'incolumità pubblica".
C'è, infine, un terzo "perché", quello economico: "L'Italia è il primo esportatore europeo di prodotti finiti in legno (mobili, materiale segato) -spiega a Salto.bz Raoul Romano-, ma è anche il primo importatore europeo e il secondo mondiale di legno e legname, sia quello per costruire quindi, ma anche la legna da ardere. Contemporaneamente siamo il Paese europeo con il livello di utilizzazioni più basso d'Europa: noi importiamo, e senza sapere dove e come vengono gestiti questi boschi, e rischiamo di incentivare con la nostra 'domanda' la deforestazione di altri Paesi, per non toccare i nostri boschi. Attraverso una 'gestione attiva' e nel rispetto delle norme potremmo alleggerire molto l’importazione estera. Oggi più che mai la gestione dei boschi non è solo una responsabilità politica ma in primo luogo sociale".