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Politik | Avvenne domani

Sette anni dopo

"In memoriam" di Silvius Magnago.

I sette anni trascorsi dalla morte di Silvius Magnago non sono bastati ancora ad avviare quel serio e necessario processo di analisi storica della sua carriera politica che, prima o poi, dovrà pur essere realizzato. Non è certamente il tempo ad essere mancato a coloro che potrebbero tracciare una sintesi seria e documentata del percorso umano e politico questo protagonista di primo piano nelle vicende altoatesine del novecento. Magnago è mancato sette anni fa ma in realtà era uscito dal cono di luce della grande politica quasi vent'anni prima. Nel 1989 aveva abbandonato l'incarico di Presidente della Giunta Provinciale, ritenendo, forse non a torto, che l'impegno amministrativo necessario per guidare un organismo in forte e tumultuosa crescita, fosse superiore alle sue energie residue. Un passaggio, verrebbe da dire, quasi naturale. Meno spiegabile, ancor oggi, il repentino abbandono, due anni più tardi, della guida della Suedtiroler Volkspartei, proprio in un momento cruciale, alla vigilia della chiusura della lunghissima fase di attuazione del "Pacchetto" e della relativa controversia internazionale. L'indomita energia con la quale nei mesi immediatamente successivi, Magnago continuò a far pesare il suo carisma, nei congressi del partito e nelle riunioni dell'esecutivo SVP, per mettere in condizione di non nuocere la corrente di chi, quella controversia, non l'avrebbe voluta chiudere mai e poi mai, dimostra che le capacità politiche del vecchio leader erano intatte. Doppiato il capo tempestoso della chiusura, Magnago si lasciò, non sappiamo quanto spontaneamente, mettere su un piedistallo e scivolò in quell'oblio dorato nel quale si avvolgono i padri della patria, quando i figli ingrati non ne gradiscono più l'ingombrante presenza. Credo ne soffrisse, anche se era troppo orgoglioso per farlo sapere pubblicamente. Aveva assimilato, come una seconda natura, l'imperativo categorico di non nuocere mai e per nessun motivo al suo partito. Restò fedele a questo comandamento sino alla fine.

Commentando le immagini dei solenni funerali, non potei non rilevare come, accanto alle presenze, più o meno illustri, di una larga parte della società sudtirolese, vi fossero delle assenze altrettanto significative che dimostravano come Magnago sia stato accompagnato, in vita e in morte, dal rabbioso rancore di una parte non indifferente del "suo" popolo. Mancavano, a quelle esequie, molti tra i sedicenti "patrioti" che al leader non avevano mai perdonato di aver loro sbarrato la strada, dal comizio di Castelfirmiano del 1957 in poi, trascinando con fatica il popolo sudtirolese al tavolo della trattativa con Roma. Il loro progetto era esattamente opposto. Per ottenere la fatidica autodeterminazione volevano far piombare a loro terra nel baratro di una guerra di liberazione nazionale. Hanno perduto, per fortuna, e tra gli artefici della loro storica sconfitta il principale è stato proprio lui,Silvius Magnago. Potranno, oggi, menar vanto di un'autonomia ottenuta e difesa contro la loro volontà, ma non hanno perdonato. Quando, la mattina del 12 aprile 1986, gli Schützen fanno irruzione nella sala dove si tiene il congresso annuale della Suedtiroler Volkspartei e soffocano il dibattito gridando "das Paket ist tot, Südtirol in not", è soprattutto a lui che gettano in faccia un rancore antico, un odio inestinguibile. Lui li osserva col volto ancor più terreo del solito, ma non accetta la provocazione, non scende al loro livello. Attende che il temporale si plachi e poi riprende a fare politica con la dura tenacia di chi ha sfidato e vinto ben altre tempeste.

Sono questi i ricordi di Silvius Magnago che conservo nella mia memoria di cronista che ha cercato di raccontare, come ha potuto, quegli avvenimenti e quegli anni. C'è il Magnago politico di vaglia, odiato insultato per anni anche da una certa parte del mondo politico italiano e poi, alla fine, apprezzato da tutti o quasi, esaltato con poco senso della misura. E c'è il Magnago "privato", sul quale si è detto, probabilmente, quasi tutto quel che c'era da dire, perché l'uomo è vissuto nella politica e per la politica. Ci sono però alcune storie minori che, a volte, val la pena di ricordare, se non altro per misurare quanto tempo è passato, come sono cambiati gli uomini e gli usi.

Il Magnago Presidente della Giunta si era risolto, ad un certo punto, a far installare nel suo ufficio un piccolo frigorifero dove conservare al fresco dell'acqua minerale e dei succhi di frutta da offrire agli ospiti che doveva ricevere. Quel frigo, mi si dice, era chiuso a chiave e la chiave era conservata nel taschino del Presidente, al quale, durante le lunghe sedute di Giunta, si doveva rivolgere l'assessore che avesse voluto dissetarsi con qualcosa di diverso da un bicchiere d'acqua di rubinetto.

Non vale la pena, su queste cose, impiantar lezioni di morale nei confronti di nessuno. Servano solo a ricordarci da dove tutti siamo partiti, dall'epoca nella quale l'Alto Adige era una tra le regioni  più depresse d'Europa, guidata sul cammino verso la ricchezza di oggi, da uomini che avevano ben chiaro cosa fosse la vera povertà.