Gesellschaft | Il convegno

Difendere i bambini

In un anno 150 le donne ospitate nelle case protette. Ancora sottovalutata la violenza assistita. Il progetto per Bolzano: 8 appartamenti per accogliere le vittime.
Violenza
Foto: upi

Assistere alla violenza perpetrata contro madri, sorelle o persone a cui si vuole bene provoca nei minori, prevedibilmente, disturbi gravissimi eppure ancora sottovalutati. Di questo si è discusso ieri (26 maggio) alla Libera Università di Bolzano in un convegno organizzato dalla Rete comunale dei servizi contro la violenza di genere in tandem con la Ripartizione politiche sociali della Provincia. Ad aprire la conferenza Martha Stocker insieme a Marialaura Lorenzini e Sandro Repetto; relatori sono stati assistenti sociali, forze dell’ordine, magistrati, psicologi, operatori, da Alto Adige e Trentino, con l’obiettivo comune di elaborare metodi di intervento per aiutare i più piccoli, vittime di questa forma di maltrattamento chiamata violenza assistita.

La prima definizione del fenomeno è stata introdotta in Italia dal Cismai (Coordinamento Italiano dei Servizi contro il Maltrattamento e l’Abuso all’Infanzia) nel 2003, mettendo in evidenza i traumi subìti dai bambini testimoni della violenza sulle madri e la necessità di intervenire tempestivamente. Secondo i dati ASTAT le donne ospitate insieme ai loro figli nelle case protette dell’Alto Adige sono passate da 107 (nel 2015) a 151 (nel 2016). I minori sono passati dai 130 del 2015 ai 140 del 2016, dato pressoché invariato quello realtivo alle consulenze: 562 lo scorso anno rispetto alle 560 dell’anno precedente.

A Bolzano si stanno costruendo altri 8 alloggi comunali per le donne vittime di violenza, “un sostegno per dare loro il tempo di riorganizzare la propria la vita”, spiega Stefano Santoro, direttore dell'Ufficio famiglia, donne, gioventù del Comune. L’assistenza, secondo Santoro, deve concentrarsi anche sui minori. Fra tutte le forme di maltrattamento “invisibile” verso i bambini quella della violenza assistita è, del resto, una delle più delicate e meno riconosciute. Lo psicologo, fondatore e direttore scientifico del Centro studi Hänsel e Gretel Onlus di Torino, Claudio Foti, sottolinea che l’impatto traumatico cresce esponenzialmente se il bambino è lasciato da solo con le emozioni che non può comunicare, motivo per cui è necessario che gli operatori sviluppino un’“intelligenza emotiva”. Per l’avvocato Marcella Pirrone, che collabora con l’associazione Gea di Bolzano, impegnata a contrastare la violenza contro le donne, anche quando la violenza non è subita fisicamente, le ripercussioni per i minori, fra violenza psicologica, paura, ansia e tensione, “sono allo stesso modo gravi, dobbiamo prendere molto sul serio questo fenomeno”.