Politik | Sud Sudan

"Servirebbe un Nelson Mandela"

Un collaboratore sudtirolese* organizza dall'Uganda gli aiuti umanitari nei campi profughi sudsudanesi.
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Foto: Cooperazione di sviluppo

* Il nome del cooperante non può essere pubblicato in rete, per non mettere a rischio la sua persona e l'intervento stesso. L'intervista è del Maggio 2017

Dove si trova al momento? 

Sono sempre a Kampala impegnato in acquisti, al fine di procurarmi i generi alimentari per i campi profughi in Sud Sudan. In quella zona soffriranno presto la fame assoluta. Al momento ci sono i mango, ma tra poche settimane gli alberi saranno svuotati del tutto. Poi diventerà difficile.

È fuggito in Uganda?

Sì, in febbraio. Erano venuti stranamente dei Dinka, per chiedermi dei viveri. Ciò mi aveva molto sorpreso, perché quel gruppo etnico sta al governo: i Dinka hanno il predominio, ma come missionario comboniano sostengo da anni i Kuku. Ai Dinka ho dato qualcosa da mangiare, e poi sono tornati ancora. Prevediamo aiuti umanitari per i Kuku, non posso dire ai Dinka di non avere più nulla da dargli. Nel momento in cui venissero a sapere che sostengo i Kuku, mi troverei in grosso pericolo. Perciò mi è stato consigliato di andare via.

Nel giovane stato africano non è ancora tempo per la democrazia?

Questo è il nostro compito: portare la democrazia attraverso le scuole. Al momento possiamo immaginarci la situazione come uno scontro tribale, nel quale ogni capo-tribù vuole il dominio sull'altro. In passato i Dinka mandavano i loro figli alle scuole Kuku: oggi sarebbe impensabile. Bisogna però dire che non tutti i Dinka sono d'accordo con quanto il governo sta facendo con le famiglie dell'altro gruppo etnico, ma nessuno dà una mano a cambiare la situazione. Localmente c'è troppo poco da mangiare per i Dinka, nelle carceri per esempio non c'è praticamente più cibo.

Il conflitto etnico armato si è tramutato in una carestia?

Sì, possiamo dire così. Ma il governo non fa marcia indietro. Si rischia la catastrofe dal punto di vista umanitario, se non succederà qualcosa.

L'ONU voleva inviare soldati in Sudan del Sud?

Sì, inizialmente l'intervento era stato accettato dal governo, ma poi il presidente lo ha impedito. Il paese al momento è stato consegnato nelle mani dei Dinka. Nessuno azzarda a fare previsioni.

Aveva pensato alla costruzione di una scuola a Kajo Keji?

Sì. I Kuku sono un popolo diligente, lavoratori e agricoltori, nonché allevatori di bovini. Una scuola è necessaria. Il conflitto però si acuì e allora decisi di chiedere alla Provincia di Bolzano il sostegno alla costruzione di una struttura per i profughi, da utilizzare in un secondo momento come edificio scolastico. Tutto era a posto, poi però arrivarono i soldati Dinka, il governo voleva controllare tutto, si sparò sui civili. I Kuku sono scappati vicino al confine con l'Uganda o in uno dei campi di Kajo-Keji. Questo iniziò circa un anno fa.

Ha trasportato i viveri nei campi profughi?

Non io. Ci sono persone che hanno trovato una via verso i campi. In questo week end sono stati consegnati dei carichi dalle 12 alle 17 tonnellate di generi alimentari, e sementi in modo che si possa anche coltivare qualcosa. Potevo unirmi alla carovana, ma era meglio di no. In Uganda cresce di tutto: ci sono molti frutti disponibili, c'è abbastanza pioggia. Anche nel Sud Sudan l'acqua non sarebbe un problema: un'azienda ha effettuato delle perforazioni per la ricerca dell'acqua. Pure dal punto di vista medico sono ben organizzati: gli infermieri seguono i pazienti e mandano la lista dei medicinali necessari.

Qualcun altro aiuta i Kuku?

Per il momento solo io, in tutti e tre i campi. Questo al momento mi è possibile grazie al sostegno finanziario della Provincia autonoma di Bolzano, nonché agli aiuti forniti dalla Diocesi di Bolzano, dal Centro missionario diocesano di Bolzano, dalla Caritas di Alto Adige e da donatori privati a seguito di una raccolta fondi. Si tratta di alleviare gli effetti della carestia.

Quanti Kuku vivono nei campi?

Dei circa 400 mila Kuku, nei tre campi vivono rispettivamente 4 mila, 10 mila e 28 mila profughi. Difficilmente si trova ancora qualcuno rimasto nei propri villaggi.

Tutti gli altri sono fuggiti in Uganda?

Si, a Kampala molti cercano lavoro. Nei campi profughi i sudsudanesi sono sostenuti da aiuti stranieri. L'Uganda ne approfitta, perché gli aiuti portano lavoro e generano un volume d'affari, anche se sono aiuti messi a disposizione dei campi. Un tempo era l'opposto: gli ugandesi scappavano da Idi Amin e da Joseph Kony in Sud Sudan: i due popoli si conoscono (e capiscono) molto bene. L'Uganda oggi è un paese stabile, le persone sono diligenti.

Anche Lei vive nella capitale?

No, a Kampala sono venuto solo per gli acquisti. Io vivo a Moyo, al confine con il Sud Sudan, 30 km da Gulu.Anche l'ospedale di Gulu, il Lacoro Hosptital, è sostenuto dalla Provincia di Bolzano. Oggigiorno, quando i sudsudanesi hanno bisogno d'aiuto, sono curati da medici e infermieri: nessuno viene a chiederti da dove vieni.

Di cosa ha bisogno il Sudan del Sud per trovare una strada percorribile verso il futuro?

Al momento solo di cibo, cibo, cibo. Politicamente invece ci vorrebbe un Nelson Mandela.

Contocorrente per offerte
Einsatz für Afrika - Helfen zur Selbsthilfe
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Informazioni sul conflitto in Sud Sudan

Originariamente il conflitto tra le popolazioni Dinka e Nuer ruotava attorno al rapimento di donne e a furti di bestiame compiuti con armi semplici. Nel corso della guerra per l'indipendenza, le etnie del nord hanno trovato un nemico comune – dal 2011 il Sudan del Sud è uno stato sovrano. Primo presidente è stato nominato Salva Kiir, un esponente dei Dinka, mentre il vicepresidente è Riek Machar, un Nuer. Il piano prevedeva, sulla strada della democrazia, di alternarsi al potere. Ma ben presto si è riacceso il conflitto originario tra i leader dei due fronti ribelli, al momento i politici più importanti del paese. Nel dicembre 2013 il presidente Kiir ha rimosso il vicepresidente Machar. Da quel momento il conflitto si è esteso a tutto il paese, i Dinka hanno cominciato ad attaccare altri gruppi etnici. Chi non sostiene il governo in carica è considerato un ribelle, anche i civili e le piccole minoranze etniche – come i Kuku – che si erano sempre tenute fuori dal conflitto. Anche i Kuku sono fuggiti agli attacchi dei Dinka. Là dove sorgono i tre campi di profughi Kuku nella parte occidentale di Kajo-Keji, nel sud del paese, in centinaia di migliaia hanno superato il vicino confine con l'Uganda. Accanto all'etnia Kuku, i campi ospitano altre tribù che vi hanno cercato rifugio al motto “se dobbiamo morire, allora che sia in patria”.