Kultur | saltoarts

Considerazioni sullo spazio pubblico – parte II

In questo secondo insieme di considerazioni puntiamo lo sguardo sull’apporto delle “sottoculture urbane” che hanno plasmato e reso propri alcuni spazi pubblici.

Un luogo temporaneo, il fenomeno del carnevale nella città tardo-medioevale, è spunto per iniziare il ragionamento. Tale festività ricorrente prevedeva che l’ordine sociale prestabilito venisse sospeso in favore di una redistribuzione dei ruoli di potere per alcuni giorni. Emblematica è l'immagine della consegna delle chiavi della città al capo della compagnia carnevalesca. Approfondendo brevemente tale spunto in quanto metafora, notiamo che durante il medioevo la città era un luogo contraddistinto da regole spaziali ben definite, aveva una forma urbis perché recintata da mura. Di conseguenza era accessibile tramite un portale dotato di chiave. Il concetto di spazio pubblico momentaneo può essere usato come chiave interpretativa per tutti quei fenomeni in cui una comunità si riuniva (riunisce) per celebrare riti e feste ricorrenti aperti a tutti. Nella città barocca,  il cui motto era tutto è teatro, anche le facciate degli edifici formano la scenografia dello spettacolo della vita pubblica.

Facendo un salto temporale affrontiamo ora fenomeni più contemporanei. Nelle nostre città si incontrano i cosiddetti offspaces, luoghi in cui comunità dallo stile di vita alternativo hanno provato a costruire uno stare insieme, una vita pubblica differente rispetto ai canoni convenzionali. Due esempi storici sono il Kunsthaus Tacheles di Berlino e la Città libera di Christiania a Copenaghen. Tali due esperienze - un centro sociale/polo d’arte contemporanea occupato sin dal 1990 nel quartiere di Mitte e un quartiere parzialmente autogovernato da una comunità improntata a uno stile di vita basato sui collettivi - sono significative perchè diventate a loro volta dei landmarks alternativi all'interno delle città di appartenenza.

Importante, ai fini del ragionamento, è lo stile di vita delle comunità di nomadi in Europa (Rom, Sinti, Kale etc.). La realtà nomade, nonostante alcune di queste comunità abbiamo ormai scelto stili di vita stanziali, rappresenta un modo diverso di stare nello spazio pubblico. Piazzali, argini dei fiumi, parchi vengono (ri)scoperti e usati come luogo dedicato all’abitare, allo stesso tempo queste comunità portano sempre con sé il proprio luogo pubblico, quello della socialità che è sostanzialmente legato all’insieme delle proprie relazioni sociali.

 

Rivolgiamo ora il nostro sguardo al fenomeno dell'occupazione di case inutilizzate. Si tratta di un fenomeno polarizzante, una parte dell'opinione pubblica infatti non accetta questa pratica in quanto sovverte i rapporti di proprietà comunemente intesi, un'altra ne condivide lo spirito redistributivo – togliere ai ricchi per dare ai poveri. Se, rispetto alla normativa vigente, è indubbia la natura illegale di chi occupa la proprietà altrui, la mano pubblica avrebbe d’altro canto l’obbligo morale di garantire il diritto alla casa. Prendiamo ad esempio il caso di lotti edificabili o di edifici costruiti (a Bolzano vicino alla Camera di commercio in via Alto Adige, una parte dei fabbricati sorti sull'ex area Fiat in piazza Adriano) e abbandonati da anni per motivi legati a dispute legali, fallimenti o per mera speculazione finanziaria o fondiaria. Nei suddetti casi lo sdegno di molti è suscitato dal mancato impiego di risorse e spazi. Una soluzione sarebbe una normativa che prevede l'esproprio per pubblica utilità nel caso in cui grandi aree/fabbricati siano lasciati inutilizzati per lungo tempo.

 

Affrontiamo un argomento scomodo, il cosiddetto degrado. Talvolta l’intervento di un investitore privato per riqualificare uno spazio pubblico degradato è visto come una presa di posizione in opposizione al paventato lassismo della mano pubblica. Chi scrive nell'opinione pubblica percepisce un'associazione immediata, pavloviana, tra i concetti di degrado e quello di luogo frequentato da stranieri. Passeggiando per le nostre città, molti luoghi pubblici, parchi, prati, piazze, aree con internet wi-fi gratuito sono sì frequentati quasi esclusivamente da stranieri, tuttavia questo è dovuto al fatto che gli autoctoni hanno mutato il loro modo di vivere la città in favore di un maggiore ritiro nel privato.

Un luogo comune,un  topos, della contemporaneità è rappresentato dagli spazi d'incontro in rete. Per quanto le possibilità offerte da Internet in termini di opportunità di contatto, conoscenza, comunicazioni dal vivo non siano da sottovalutare, il vulnus sta sia nella possibilità di celare la propria identità sia nella possibilità di veder violata la propria privacy. Nonostante anche nello spazio pubblico reale  il diritto alla privacy non sia sempre garantito, vi è tuttavia la possibilità di abbandonarlo senza lasciare tracce - a meno che non sia disseminato di telecamere come l'ossessione per la sicurezza va imponendo. Inoltre, mentre in una piazza pubblica i rapporti di proprietà, se non manifesti sono almeno spazialmente delimitati - questi tavolini appartengono a tale bar, quella panchina fa parte dell'arredo pubblico - nel foro virtuale non sappiamo dove si trovi né a chi appartenga il server centrale.

Parlando di arredo pubblico ricordiamo l'esempio della Panchina di Camden, volutamente scomoda per disincentivare cosiddetti comportamenti antisociali quali il bivacco. In questo caso le amministrazioni pubbliche scelgono di appropriarsi delle modalità tipiche dell'economia privata: vietato sostare, bagno ad uso esclusivo dei clienti e via discorrendo.

Per questo motivo gli slanci verso la difesa di pochi alberi nel parco della stazione risvegliano un sentimento di empatia. Se la consultazione popolare bolzanina fosse stata fatta prima della stesura del progetto e dell'art 55/quinquies, la popolazione bolzanina avrebbe potuto dare la propria opinione in maniera più obiettiva. Alla prossima occasione, tuttavia, ricordiamoci di non dimenticare gli spazi pubblici o di trascurarli per evitare che una proposta di trasformazione privata ne preveda la modifica o l’eliminazione.